di Domenico Bonvegna
Studiando
la 1 guerra mondiale, tra i tanti temi mi ha incuriosito il fenomeno dei
processi più o meno sommari ai tanti e troppi ragazzi impegnati in una guerra
sanguinosa. Sulla prima guerra mondiale esiste una bibliografia sterminata,
oltre 60.000 titoli, ma uno solo ha analizzato specificatamente le sentenze
emesse dai tribunali militari. Si tratta del testo dello storico Alberto
Monticone e del giornalista Enzo Forcella, “Plotone
di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale”, edizioni
Laterza, (2014), che sono riuscito
casualmente a leggere perchè prestatomi da un amico.
Le
sentenze raccolte in questo volume sono 166, scelte tra circa 100.000,
contenute in due fondi dell'Archivio Centrale dello Stato in Roma.
Secondo Forcella,“Per circa cinquant'anni l'aspetto punitivo e repressivo
della prima guerra mondiale è stato pressoché ignorato dalla cultura italiana.
Storici illustri accennavano appena, quando vi accennavano, alle varie
manifestazioni del dissenso e ai modi con cui vennero fronteggiate. Da una
parte i documenti che avrebbero potuto far luce su queste vicende erano tenuti
gelosamente nascosti, dall'altra non v'era neppure l'interesse a
disseppellirli”. Le sentenze riguardano, diserzioni, ammutinamenti,
discorsi e corrispondenze disfattiste, casi di autolesionismo. Si tratta di
un“immenso cimitero di drammi umani”, scrive Forcella nella prefazione.
I
documenti pubblicati in questo libro sono delle testimonianze preziose, sino ad
oggi ignorate.“Se si eccettuano le poche lettere di combattenti già note (le
lettere anticonformiste, bloccate dalla censura o sfuggite al suo controllo,
non quelle edificanti dei vari epistolari a sfondo patriottico) e in una certa
misura le canzoni 'proibite', queste sentenze costituiscono la sola 'fonte' non
letteraria e non memorialistica per ricostruire la 'storia coscienziale' delle
classi subalterne durante la prima guerra mondiale, per conoscere e valutare i
vari fermenti di opposizione, le ribellioni e le proteste con cui la massa dei
contadini soldati reagiva ai sacrifici, alle sofferenze, alle crudeltà che le
erano stati imposti”.
E'
l'altra faccia della realtà della guerra, di quelli“che non vogliono
combattere o che combattono loro malgrado bestemmiando e piangendo: perchè non
condividono le idealità e gli obiettivi della guerra patriottica[...]”.
Forcella è abbastanza critico sull'oleografia interventista e smonta il mito
che univa le due Italie, un disegno sostanzialmente fallito. Tutti quei
contadini delle varie regioni obbligati a combattere da “una minoranza
audace e geniale che trascinerà per la gola questa turba di muli e di
vigliacchi a morire da eroi[...]”. Combattenti però con “alle spalle gli
spettri della polizia militare e di plotoni d'esecuzione”.
Per
Forcella“basterebbe una sola fucilazione per mettere a nudo la sostanza
autoritaria sulla quale poggia il preteso consenso delle masse combattenti”.
Peraltro basta leggere il bando di Cadorna per capire come le autorità militari
hanno paura dell'isolamento di fronte alla popolazione e quindi minacciano
pesantemente.
In
pratica Forcella sottolinea la gravità del numero di tutti quelli che hanno
avuto a che fare con la giustizia penale di guerra. Tra il 1915 e il 1918 ci
furono 870.000 denunzie all'autorità giudiziaria. “In tre anni e mezzo di
guerra circa il 15% dei cittadini mobilitati e il 6% di coloro che risposero
alla chiamata prestando effettivo servizio militare furono oggetto di denunzia
ai tribunali militari”. Sono cifre che non hanno bisogno di tanti commenti.
Le
descrizioni che emergono dalle sentenze sono significative, per esempio,“c'è
gente che non solo sfida il plotone d'esecuzione, ma accetta deliberatamente il
rischio di rimanere cieca per tutta la vita”, come i 19 contadini zolfatari
siciliani che “si presentano all'ospedale con gli occhi pieni di pus
blenorragico dopo essersi in precedenza procurati un tracoma strofinandosi gli
stessi occhi con indefinibili 'sostanze caustiche ed irritanti'”. Fenomeno
che con il passare degli anni acquista dimensioni di massa, tanto che bisogna
istituire in ciascun corpo d'armata degli speciali “Ospedali per
autolesionisti”.
Altro
capitolo squallido è la censura postale, “uno dei principali
collaboratori invisibili della giustizia militare, cioè il canale attraverso il
quale tanti combattenti finiscono sotto processo”. Senza trascurare poi la
censura preventiva sulla stampa. Infine un altro“collaboratore invisibile” dei
tribunali militari di cui fanno spesso riferimento le varie sentenze prese in
considerazione dal libro, è l'arma dei RR. Carabinieri, a cui
erano affidati i compiti di polizia militare. Praticamente i carabinieri
svolgono un ruolo ingrato, a volte si travestono da soldati per carpirne
confidenze. In pratica agiscono come una vera e propria polizia segreta. Per
questo sono odiati dai soldati.
Sempre
nella prefazione, Forcella si interroga sul perche questi soldati si
ribellano. Quali sono i sentimenti e le ragioni che inducono migliaia di
persone a compiere le azioni che le condurranno davanti ai tribunali di guerra.“In
nome di quali valori, nel quadro di quali ideologie affrontano il rischio delle
fucilazioni, delle lunghe pene detentive, delle compagnie di disciplina, della
vergogna civile?”.
Forcella
raggruppa il dissenso in due gruppi: le ribellioni di motivazioni
ideologiche-politiche, esplicite o abbozzate come quelle riguardanti il “processo
di Pradamano”. E quelle dei comportamenti “che pur non avendo nulla a
che fare con la “delinquenza comune”, rispecchiano una opposizione di tipo
preideologico e apolitico”.
Nell'ambito
della querelle degli interventisti e neutralisti, Forcella fa
riferimento ai principali protagonisti delle ribellioni politiche come i
socialisti e gli anarchici, ma mancano del tutto i riferimenti all'opposizione
cattolica. Anche se secondo gli autori del libro, non c'è stata una vera e
manifesta opposizione di cattolici. Per quanto riguarda la gerarchia
ecclesiastica, Forcella rileva un atteggiamento favorevole all'inizio della
guerra e poi una rassegnata obbedienza. Infine per Forcella, anche la frase che
definisce la guerra“inutile strage”, fatta da Benedetto XV, “aveva
una portata, per così dire, esclusivamente diplomatica e non intendeva
assolutamente costituire un incitamento alla disobbedienza civile e militare”.
Anche se per la verità i contadini soldati nelle trincee ne facevano ogni
giorno diretta esperienza dell'inutilità della strage e la interpretavano
proprio in questo senso.
La
giustizia in questa guerra di “massa, con forte caratterizzazione ideologica
e con una mobilitazione totale che investe oltre ai membri della popolazione
validi per il servizio armato tutta la società civile - per Forcella - è
qualcosa di molto relativo”. Il giudice non deve stabilire la verità tra le
parti, ma deve dare degli esempi e riaffermare la volontà del governo che ha
deciso la guerra. Le norme sono nello stesso tempo rigide ed estremamente
elastiche. Si colpisce da una parte con estrema durezza, fino alla pena
capitale; dall'altra,“si considera delittuoso qualsiasi comportamento
lasciando così ai giudici un amplissimo margine di discrezionalità”. Il
famoso bando del generale Cadorna, è un esempio tipico di
generalizzazione: sono punibili tutte le
espressioni anche generiche: denigrare le operazioni di guerra, disprezzare
l'esercito, oltraggiare persone, diffondere certe notizie, etc.
Praticamente
è abbastanza eclatante l'agghiacciante episodio dell'aspirante ufficiale che
finisce davanti al plotone di esecuzione per aver detto nel corso di una cena
con alcuni colleghi in una casa privata che non gli importava niente se i
nemici fossero arrivati a Milano. Forse non gli sarebbe toccata questa sorte se
non fosse stato di origine tedesca e non avesse lavorato in Germania.
“Al
fronte costituisce reato far sapere alla propria famiglia che la guerra sta
provocando una quantità di morti”.
Addirittura il governo decide e fissa quanti millimetri un giornale deve
dedicare agli annunci mortuari. Ecco perchè i giornali devono fare propaganda
sminuendo la crudeltà della guerra. “Denunciate alla stampa gli stranieri e
gli italiani sospetti”, raccomanda “La Voce”, la rivista fiorentina,
diretta da Prezzolini. Praticamente in quarantadue mesi di guerra,“la paura
del disfattismo rimbalza continuamente da un capo all'altro del paese, dà il
tono alla propaganda, influenza profondamente l'attività della censura e della
giustizia militare, diventa una ossessione”.
Nella
1 guerra mondiale emerge una caratteristica che poi sarà presente in tutte le
guerre rivoluzionarie ideologiche:“la nuova guerra ideologica, dai suoi
combattenti non pretende soltanto obbedienza ma anche entusiasmo, che non si
contenta di condannare ma pretende il ringraziamento dei condannati ai quali è
stata rivelata la verità e la luce, che trasforma i giudici in una compagnia di
predicatori e di pedagoghi”.
Un
giovane esponente dell'interventismo ricordava: “la storia ci ha
riservato il compito tragico di far trionfare, come i sanculotti francesi, le
idee di libertà sulla punta delle baionette”. Il giornalista conclude
sottolineando la nefandezza di questi ideali collettivi, che si presentano nel
cinquantennio successivo, e che cercano
di avanzare sulla punta delle baionette imponendosi con la “solidarietà
coatta”. “le pretese di questo tipo avanzate dai 'sanculotti' di
qualsiasi colore sono davvero tragiche[...]”.
In
una nota gli autori specificano che in questa antologia delle sentenze, sono
stati omessi i nomi dei condannati, dei quali si danno solo le iniziali, in
modo che non possano essere individuati. Questo criterio è stato adottato per
un senso di rispetto verso i condannati. Si è fatta eccezione alla regola di
tacere i nomi degli imputati solo in due sentenze di natura politica, nelle
quali la colpa è rappresentata da una affermazione di ideali. Una di queste è
il processo di Pradamano, il più importante processo politico di tutto il
conflitto. La sentenza del Tribunale militare prende in esame alcuni centri
sovversivi dell'esercito combattente in collegamento con altri centri
rivoluzionari dell'interno che avevano lo scopo di diffondere le idee affermate
nei convegni socialisti di Kienthal e Zimmerwald, dove si sosteneva
l'azione per una pace immediata e senza annessioni. I centri giovanili
socialisti dei quali provenivano o a cui avrebbero fatto capo gli imputati
erano quelli di Vicenza, Cremona, Schio e Messina.
Con
mia sorpresa constato che tra i 19 imputati ci sono un sottufficiale
domiciliato a S. Teresa di Riva e un ragioniere domiciliato a Mandanici.
Peraltro il militare santateresino risulta abbastanza attivo nel tessere i
rapporti con gli altri cosiddetti sovversivi, per questo viene condannato a
sette anni di reclusione militare ed alla dimissione del grado.
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