sabato 18 febbraio 2017

Anna Maria Guidi, "E-marginati" (Ed. Book Editore)

di Guglielmo Peralta

       
Quando la poesia dipinge nascono "ritratti" che nulla hanno da invidiare alla pittura. Questa silloge di Anna Maria Guidi è una "galleria d'arte", ma al posto dei "quadri" ci sono esseri in carne ed ossa che percepiamo con tutti i sensi. E ci sentiamo invasi dalla loro sorte, dal loro essere fuori, "E-marginati", ridotti a scampoli di vita, sì che ne proviamo com-passione. La descrizione dei loro tratti psico-somatici è così precisa, incisiva, concreta da restituirci di ognuno l'intera persona in corpo e anima, con un accentuato realismo da trompe l'oeil, che li ri-trae, fuori dal non-luogo in cui sono confinati, nel versante poetico, dove essi sono un'umanità grondante di abbandono e di solitudine, stretti in un grido di dolore taciuto, nella loro silenziosa richiesta d'amore e di aiuto. Questi umiliati e offesi, crocifissi dal silenzio e dall'indifferenza, hanno la consolazione dello sguardo pietoso della Guidi, che li restituisce all'esistenza traendoli dall'oblio e consegnandoli alla poesia, la quale li riscatta in testi che li nominano uno per uno e sono la loro denuncia e testimonianza. Perché essi vi parlano con la voce dell'Autrice. E il lettore, che conosce questa condizione dis-umana, non può che lasciarsi coinvolgere emotivamente da tanto amara rappresentazione, resa con linguaggio tanto figurato quanto concreto, scultoreo e inventivo, intriso di pathos e di sanguigno furore.
        Non manca in questa silloge l'invettiva contro la società globalizzata, in cui viene meno la comunicazione interpersonale a vantaggio di quella mediata dai mezzi tecnologici sempre più sofisticati e dove l'uomo finisce per restare ingabbiato nel labirinto virtuale. Ed ecco che di fronte al pericolo rappresentato dalla tecnica che consente all'uomo di estendere e imporre la propria egemonia sulle cose manipolandole, asservendole, stravolgendone la natura e il fine originario per cui sono state create, l'accenno, alla fine della silloge, alla Gelassenheit heideggeriana, è l'indicazione della via da seguire per evitare di con-cedersi "al varco senza scampo / del limite postremo"; è l' atteggiamento speculativo di fronte alla realtà: «l'abbandono» e il raccoglimento che lascia-essere gli enti, le cose così come sono, senza trasgredire e modificare l'ordine in cui sono state costituite e collocate. E qui, il riferimento va oltre gli enti materiali, nella direzione dello spirito, la cui assenza a causa della meccanizzazione del nostro intimo ci fa pendere sull'abisso confinandoci tutti al "margine" della vita, in prossimità di quel "varco senza scampo", ossia della morte, che tuttavia, per Heidegger, può liberare l'uomo se egli si abbandona agli enti e rinunciando al boomerang del "progresso" tecnologico si apre al mistero della verità dell'Essere e alla possibilità di approdare, attraverso il progetto dell'essere-per-la morte, a una vita più autentica, che, per la Guidi, significa sottrarsi al destino di E-marginati, rendere l'uomo "innamorato d'eterno".  

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