di Aldo Gerbino
Leggere
Non saltare giù dal letto prima di
mezzogiorno, che Francesco Maria Cannella ha pubblicato per le Edizioni
Thule, mi ha fatto pensare alle parole usate da Giuseppe Baretti, il temibile
Aristarco Scannabue, quando, nella sua settecentesca «Frusta
letteraria», asserisce, - scagliandosi contro la ‘piatta’ e noiosa “Vita del
Cellini” scritta dell’anatomista Antonio Cocchi, - d’essere questa, in modo
assoluto, tutto il contrario della viva autobiografia celliniana. «Già ho detto»,
asserisce, «che Benvenuto Cellini ha scritto un meglio stile che non alcun
altro italiano; uno stile più schietto e più chiaro, perché più secondo l'ordine
naturale delle idee, le quali non ne presentano mai il verbo prima del
nominativo, e non ce lo collocano mai in punta a' periodi e a una gran distanza
da quello». E soprattutto – va ricordato – come questo poliedrico artista del Cinquecento
abbia fatto un uso ‘pre-moderno’della lingua quotidiana, ricca di verve, fuor
dalla gabbia d’uno stile. Una scrittura, quella accolta nella sua “Vita”, affidata
e confezionata con un linguaggio personale, da “boschereccio”, come amava
definirsi lo stesso Cellini, in virtù di quella sua abilità a offrirsi in una
sorta di impavido manufatto a tutto tondo, e ancora per quel suo valore
intrinseco, già messo con forza in evidenza da Bruno Maier (per il quale la
‘Vita’ del Cellini è, paradossalmente, “un capolavoro di stile”), e, dove i
termini appaiono composti là dove debbono stare, fuori da particolari ambiguità
letterarie, con climax di cuspidi oscillanti tra celebrazione e denigrazione. E
di climax narra la giovane lingua di questo contemporaneo outsider, mescolata nella
anomalia spastica di un polimetro gergale e ostentatamente beffardo, alimentato
da dolori giovanili, da eccessi tradotti in iperboli e metafore. Si ricalcano
vie già percorse dai nostri sperimentalismi: dal futurismo alla stessa esperienza
siciliana dell’Antigruppo, dove la lingua, pur non depurata, vive, – in quella
misura amata da Céline, – dell’orrore della quotidianità, e di una certa ansia
che Bàrberi Squarotti, nel suo autografo per Cannella, rintraccia come scrittura
intensa e “vitalissima”.
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RispondiEliminaBaretti resta vincolato a una cultura classica e razionalista e a una lingua non contaminata dal rispecchiamento della realtà sociale. Non a caso riscopre e ripropone alla lettura la Vita di Benvenuto Cellini, di cui loda la scrittura viva e pittoresca, ed esalta in lui l'“irregolarità” e la forza drammatica delle passioni, segni, a suo giudizio, di quel “genio inventivo” che si manifesta spontaneo nei veri artisti e che non ha bisogno di sostegni culturali. È interessante notare come la posizione del Baretti anticipi le teorie romantiche sull'“artista genio”.
RispondiElimina[così anche in Shakespeare]
Grazie Aldo,
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RispondiEliminaDimenticavo. Grazie ancora Aldo per l'ulteriore riferimento a Bruno Maier, grandissimo del Novecento, quando a proposito del Cellini parla di senso egolatrico della personalità, di boccaccismo e dell'elemento comico-realistico; la religiosità e il cosiddetto surrealismo, l'elemento sentimentale e affettivo. Nonché quello dell'originalità della lingua.
EliminaAltra dimenticanza. Il termine OUTSIDER è matematicamente perfetto. Avrei voluto, in itinere, incontrare sia il Prof. Romano sia il Prof. Gerbino per parlare di questa 'mia' condizione esistenziale: così, senza pretese - eppure per corresponsione il tutto era già stato reso - anticipato al nascere... sorpreso fuori dalla logica dei rapporti funzionali, eh... eh...
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