di Domenico Bonvegna
Mentre imperversa sulle
nostre teste la crisi economica e quella politica del nostro Paese, chissà se
abbiamo tempo e voglia di ricordare la grande tragedia che hanno subito
migliaia di italiani tra il 1943 e il 1945 nelle terre giuliane, istriane e
dalmate. Dopo l'istituzione nel 2004 della “Giornata del Ricordo”,
dovremmo essere tutti al corrente del massacro di italiani che è stato compiuto
dalle forze partigiane comuniste guidate dal maresciallo Josip Broz Tito
(i titini).
Il mio contributo al ricordo
delle vittime delle foibe è la presentazione di un libro che ho trovato
recentemente nei miei consueti raid presso il solito outlet librario milanese.
Il saggio è scritto da Giuseppina Mellace,“Una grande tragedia
dimenticata. La vera storia delle foibe”, Newton Compton (2015),
riproposto dalla Biblioteca Storica de Il Giornale.
L'autrice, avvalendosi di
diversi studi, soprattutto quelli di Raul Pupo, di Roberto Spazzali,
ma anche di testimonianze scritte di intellettuali triestini, ha realizzato un
buon testo documentato che ci offre una sintesi sui fatti che coinvolsero le
popolazioni italiane dei confini orientali.
Le foibe rappresentano una
storia dimenticata, negata, volutamente rimossa per decenni. La scrittrice
romana è andata alla ricerca delle cause del fenomeno foibe, rivolgendo
l'attenzione in particolare alla condizione delle donne, “da sempre
testimoni silenziose e vittime mute della violenza della guerra”. Infatti
alla fine del libro, nelle appendici, la Mellace, con un lavoro certosino, di
ricerca, di confronto paziente di elenchi, dedica molte pagine a loro:“le
donne infoibate, deportate, scomparse o condannate dai tribunali speciali”.
Un elenco dettagliato di
nomi in ordine alfabetico, vittime degli slavi, vittime dei nazifascisti.
Seguono poi una serie di documenti o stralci che illustrano meglio gli
avvenimenti esposti nel libro.
“Le prime a sparire, proprio
come accadeva per gli uomini, furono le donne legate alle istituzioni: non a
caso le insegnanti furono particolarmente perseguitate e i loro cadaveri offesi
e martoriati. Infatti era prassi ucciderle e poi impiccarle a un albero,
talvolta per i capelli”.
Purtroppo capita spesso che
siano proprio le donne a pagare un caro prezzo in tutte le guerre. Loro oltre a
perdere la vita, spesso vengono irrimediabilmente ferite e violate nella loro
intimità, così è capitato alla povera Norma Cossetto, o alle tre
sorelle Radecchi. Albina, Caterina e Fosca.
Per affrontare il tema degli
infoibamenti e delle deportazioni, la Mellace, tratteggia, a grandi linee, la
fase storica in cui tale fenomeno è avvenuto. Siamo nella II guerra mondiale,
con la lotta degli Alleati e la Russia contrapposti al nazifascismo, poi alla
fine del conflitto, inizia un'altra battaglia, quella della “guerra fredda”. In
questo contesto c'è il Partito comunista italiano di Togliatti che appoggia la
linea politica del maresciallo Tito. Inoltre accenna alla questione economica,
a quella immobiliare, e poi all'espansione slava della zona, che ha influito
sull'esodo degli italiani, oltre 350 mila italiani fuggirono dall'Istria, dalla
Dalmazia e il Friuli Venezia Giulia.
Interessante il capitolo che
affronta l'esodo, un dramma dove intere comunità strappate alla proprie
radici, per la Mellace, non fu “una migrazione, bensì una frattura, un punto
di non ritorno, scelta politica e fu, per molte zone, plebiscitario, sebbene
manchi, ancora oggi, una storia complessiva di tale fenomeno”. I numeri
degli italiani che abbandonarono le terre dalmate giuliane e d'Istria sono
impressionanti, a Fiume su 60.000 abitanti, 54.000 scappano. Pola su 34.000
abitanti, abbandonano in 32.000. Zara su 21.000, lasciano 20.000. Capodistria
su 15.000 abitanti lasciano, 14.000 e via di questo passo per gli altri centri.
La Mellace, avendo ripreso
lo studio di Pupo, racconta come il fascismo cercò in tutti i modi di
“fascistizzare” quei territori, attraverso le scuole. In queste zone, il
fascismo cercò di plasmare la società secondo il proprio modello culturale,
introducendo tutte quelle opere che aveva fatto nel resto d'Italia. S'interessò
soprattutto dell'istruzione dei giovani, con la riforma Gentile contribuì
all'italianizzazione e quindi all'eliminazione delle lingue salve dalla scuola.
Nel terzo capitolo, la Mellace, accenna anche ai campi di internamento e di
concentramento italiani. In questo frangente mentre infuriava la guerriglia
partigiana e quindi le varie rappresaglie, in Slovenia, si distinsero due
generali italiani, Mario Roatta e Mario Robotti, quest'ultimo ordinava sempre
più rigore e più fucilazioni. Ci furono deportazioni, anche qui è impossibile
quantificare l'esatta cifra, il numero oscillerebbe tra i 25.000 e i 100.000
mila, tutto questo per stroncare la guerriglia partigiana. Poi arrivò la
pesante invasione tedesca, con l'armistizio dell'8 settembre 1943, e così la
popolazione italiana, si trovò presa tra due fuochi, da una parte i tedeschi,
dall'altra il Movimento di liberazione del partito comunista jugoslavo.
Il maresciallo Tito
richiedeva ai suoi uomini un'incrollabile fede comunista, che doveva essere
comprovata, in territori come l'Istria e la Dalmazia che già si sentivano
jugoslavi prima del crollo dell'Italia fascista, prefigurando una
bolscevizzazione della zona. Pertanto chi non dimostrava una fede comunista
sarebbe stato passato per le armi nel più totale silenzio.“La propaganda –
scrive Mellace - fomentava il forte spirito nazionalista slavo che il
fascismo aveva tentato di annientare. I partigiani, conquistato un territorio,
ponevano come condizione alla classe dirigente locale, per la maggior parte dei
casi italiana, la totale collaborazione, abbracciando la causa slava, oppure la
sparizione o l'eliminazione fisica come 'nemici del popolo': una categoria che,
non avendo una caratterizzazione definita, era applicabile a chiunque, e creava
un diffuso senso di paura e di incertezza per il domani”.
Nel libro la Mellace parla
di tre stagioni di violenze in una catena di furore popolare e di resa dei
conti, sempre all'interno degli anni della seconda guerra mondiale. La prima
all'indomani dell'8 settembre '43, le vittime oscilleranno tra le 500 e le 700,
tutti concentrati sull'Istria,“caratterizzate da una ferocia disumana in
special modo sulle donne, quasi a voler colpire gli uomini, gli italiani e
quindi i fascisti, nei loro affetti più cari”. La seconda stagione, va dal
1 maggio 1945, con l'arrivo delle truppe di Tito a Trieste e l'ultima dopo la
fine del conflitto mondiale.
Il 19 capitolo è dedicato ai
“luoghi dell'orrore”, si comincia con la foiba di Basovizza
e poi via via con tutte le altre. "Le foibe - scrive l'autrice - fornivano l'opportunità di uccidere
in maniera celere senza grande dispendio di denaro per le munizioni",
diventando in pratica delle "fosse comuni".
“La maggior
parte delle vittime tra gli italiani apparteneva alla borghesia, gli oppositori
più ferrei del partito comunista”.
In questi grandi “inghiottitoi
naturali, propri dei terreni carsici, poco visibili poiché spesso la
vegetazione copre le stesse voragini”, venivano scaraventati uomini e donne
spesso legati l'uni agli altri da un fil di ferro. Nella maggior parte dei
casi, bastava sparare al primo della fila che, cadendo, avrebbe trascinato con
sé il resto dei prigionieri con lui legati. Per certi versi, scrive la Mellace:
“ la celerità della sepoltura ne sviliva tutta la ritualità a essa legata,
compresa l'elaborazione del lutto, e cancellava il diritto alla memoria del
defunto”. Poi con la “spoliazione, prima dell'esecuzione, aggiungeva un
ulteriore oltraggio alla vittima”. Questi morti non rappresentano un
conflitto di razze, ma piuttosto ideologico, che si stava disputando per il
controllo del territorio. Per la Mellace,“l'obiettivo non era eliminare i
fascisti ma la classe dirigente italiana, in modo di creare il vuoto di potere
che gli slavi si apprestavano a colmare”. E' interessante a questo
proposito, l'intervista al professore Guido Rumici, che considera gli eccidi
delle foibe sicuramente diversi dagli altri, ma non propende per una “pulizia
etnica”. Infatti secondo lui in questa tragedia, ci sono anche “fattori
nazionali, politici ed ideologici che si mescolano tra loro in un intreccio
molto complesso che andrebbe visto in una prospettiva più ampia [...]”.
“Quante furono le
vittime?”. La
Mellace non sa rispondere a questa domanda, per la verità, nessuno degli
storici ancora ha risposto. In realtà, non sapremo mai con precisione quante
furono le vittime delle foibe. Nessuno ha potuto quantificarle. I motivi sono
tanti, innanzitutto perchè hanno distrutto i catasti, la documentazione, in pratica
i titini hanno fatto tabula rasa per ricostruire un futuro diverso. Si creò una
snazionalizzazione al contrario di quello che aveva tentato di fare il
fascismo. Molti archivi sono andati
distrutti durante e nell'immediato dopoguerra. Inoltre le fonti slave sono
state disponibili da poco tempo, dopo la fine della federazione jugoslava.
Comunque sia il numero delle vittime oscilla tra un minimo di 5.000 e un
massimo di 16.000.
Tuttavia si può scrivere,
che“anche se rilevante, il numero degli infoibati è certamente inferiore a
quello delle numerose stragi e sistematici stermini che si sono avuti nel corso
della seconda guerra mondiale, ma la loro morte rimane pur sempre un crimine
esecrabile e particolarmente sentito dai giuliani ancor oggi”.
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