di Domenico Bonvegna
A volte la mia
difficoltà non è leggere un libro (che è uno sforzo lavorativo vero e proprio),
ma come giustificare la sua lettura e soprattutto la presentazione nei blog
dove collaboro. Anche se per la verità non devo rispondere a nessuno del mio
operato.
Pertanto a
fronte di una crisi che non smette di turbarci, come posso giustificare la
presentazione di libri che riguardano il cosiddetto “brigantaggio” dopo la
conquista del Sud ad opera dei garibaldini? Del resto occuparsi di politica è
scoraggiante visto come sta andando nel nostro Paese. Gli italiani non ne
possono più di vedere certe facce in tv, lo scriveva ieri Pansa su La Verità.
Rilevava che su Sky in una presentazione dei tre concorrenti alla segreteria
del Pd, l'ascolto è stato sotto il 3%.
Allora meglio
fare i conti con la nostra storia, a cominciare dal cosiddetto “brigantaggio”,
il “buco nero”, del Risorgimento. Per
anni i tutori del Risorgimento hanno cercato di nasconderlo e quando non
potevano lo hanno demonizzato, liquidandolo come reazione di delinquenti e
assassini di professione.
Casualmente ho
acquistato nella solita libreria milanese, due testi romanzati proprio sulle
brigantesse. Il primo, “La Briganta e lo sparviero”, di Licia
Giaquinto, Marsilio (2014) e “Le ragioni di Lucia”.
Passioni e lotte di una brigantessa”, di Edmondo Capecelatro, Rogiosi
editore (2013). I testi sono romanzi fino ad un certo punto, perchè
attraverso la vita di due ragazze, riescono entrando soprattutto nel contesto
della società di allora, a raccontare le ragioni politiche e sociali della
reazione popolare dei meridionali all'invasione dell'esercito sabaudo che è
sceso al Sud non per liberare il popolo del Mezzogiorno ma per normalizzarlo.
Licia Giaquinto,
scrittrice irpina, racconta la storia di Filomena, che nella
primavera del 1862, in un bosco lungo il fiume Calaggio, intreccerà il suo
destino con quello del brigante Giuseppe Schiavone, detto lo sparviero.
Filomena sfuggita da un palazzo di Sant'Agata di Puglia, dove è stata accusata
di essere ladra, e lui appena morso da una vipera. I due si innamorarono e
subito e iniziano una vita fatta di sacrifici e di peripezie. Inseguiti ovunque
dall'esercito piemontese, percorreranno in lungo e in largo i territori
montuosi tra la Basilicata, Campania e Puglia. Il testo della Giaquinto è bello
anche perché descrive con realismo l'ambiente del “meridione selvaggio”,
in lotta contro l'invasore. Nel libro vengono descritte vicende di personaggi
realmente esistiti, filtrate da una scrittura evocativa e affascinante. Allora
c'è posto per Carmine Crocco, Ninco Nanco, il sergente Romano,
Chiavone e poi i luoghi delle battaglie vere e proprie con l'esercito
piemontese dei vari generali Pinelli, Fumel.
Giaquinto nel
suo libro cerca di presentare la lotta dei briganti con realismo, non fa
dell'ambiente brigantesco come qualcosa di idilliaco, sa che in quell'ambiente
c'erano fior di delinquenti, violenti, dediti al saccheggio gratuito. Però non
manca di descrivere le ingiustizie che ha subito il popolo meridionale, in
particolare le violenze sistematiche sulle donne, e non solo sulle brigantesse.
La scrittrice descrive bene i particolari, come nella notte della cattura di
Giuseppe e un gruppetto di briganti, i soldati del nuovo regno non si sono
spaventati dall'incessante pioggia simile al diluvio universale:“I lupi
venuti dal nord erano più lupi veri, e non si erano lasciati spaventare dal
fatto che Dio avesse deciso, quella notte, di riprovarci con il diluvio[...]”.
Giuseppe viene fucilato, a Filomena e a tante altre donne rimane il carcere,
dove arrivano i fotografi che avevano seguito i piemontesi a caccia di uomini e
donne del brigantaggio.
Il secondo
libro, “Le ragioni di Lucia”, denso di notizie storiche e di
episodi di combattenti, ruota intorno a un centro ben preciso: Morrone,
un borgo in Terra del Lavoro, con il Monte Castello, un'altura
dove sorge un antico maniero. Siamo sulla strada per Caserta. Qui l'autore
costruisce il suo libro sulla vita di una ragazza, Lucia, che
lotta anch'essa come Filomena, per la
libertà, per il riscatto dalla condizione di donna e di contadina. Lucia non
esita ad imbracciare le armi per sostenere le sue idee. Dopo una iniziale
simpatia per Garibaldi, aderisce ad una formazione “partigiana” e diventa
brigantessa, addirittura lei stessa dopo la cattura del tenente Francesco
Correale, diventa il capo della banda, sfatando certe mentalità ataviche,
che condannava la donna a certe mansioni.
Il testo di
Capecelatro, poco romanzato, è costruito intorno alla vita di Lucia, di Ciro
detto Ciruzzo e del tenente Correale, ci sono tutti i passaggi della
storia reale, dalla fine del Regno di Francesco II alla lotta per dieci anni
dei briganti contro i battaglioni savoiardi. Tre episodi fanno cambiare idea ai
due protagonisti, Lucia e Ciruzzo. Il licenziamento dei lavoratori presso
l'Officina di Pietrarsa, ad opera dei nuovi padroni piemontesi.
Questa officina era il più grande opificio industriale d'Italia. Ciro insieme a
tanti altri lavoratori è stato licenziato e poi rinchiuso in carcere della Vicaria
a Napoli per essersi ribellato al licenziamento. L'altro episodio è stato
l'irruzione dei garibaldini che sbrigativamente requisiscono tutti i generi
alimentari nella casa della famiglia di Lucia. “Ma non erano venuti a
portare la libertà?”.
Il terzo
episodio, la morte di Giovanni, fratello di Lucia, a Gaeta nell'ultima
resistenza del Re Francesco con Maria Sofia. Il tenente Correale porta la
notizia della morte alla famiglia.
“Ma perchè
sparare su dei vinti?” domandò sdegnosamente Lucia. “Perchè coloro che hanno
mandato qui giù quell'esercito, proclamandosi nostri liberatori, vogliono
soltanto conquistare la nostra terra, spogliarci dei nostri averi, calpestarci
come padroni”, riprese il tenente. Correale non si arrende e comunica a
Lucia di voler continuare la resistenza contro gli invasori. Decide di
rifugiarsi nel castello sopra Morrone.
Intanto la
famiglia di Lucia deve subire le angherie di Pietro Ajello, il potente
proprietario terriero del luogo, il nuovo padrone che aveva comprato a prezzi
stracciati le terre demaniali requisite dal nuovo Stato, magari alla Chiesa.
Per questo può cacciare via dal terreno e dalla casa la famiglia di Lucia. Per
evitare il tracollo economico il padre è costretto a mandare sua figlia a
lavorare nel palazzo di Ajello. Qui Lucia in pratica viene sfruttata e umiliata
al punto che la ragazza, per sfuggire alle avance del disdicevole personaggio,
esasperata, abbandona quella casa per rifugiarsi sul Monte Castello dove
c'erano i briganti.
Interessante il
dialogo tra la donna e il tenente Correale, per capire la forza degli ideali di
quei combattenti.“La resa senza combattere è dei vili o dei traditori e i
nostri generali hanno consegnato la nostra terra a chi l'ha usurpata[...] La
nostra lotta sarà forse inutile, ma mi resterà pur sempre l'appagamento di
poter dire io ci ho provato e l'orgoglio per non avere chinato il capo”.
Continua il tenente: “Ci chiameranno briganti, ma siamo partigiani e siamo
già in tremila, ed altri ancora si stanno organizzando, per sconfiggere chi ha occupato il nostro Paese e, se non ci
riusciremo, almeno la storia potrà parlare di orgoglio meridionale”. Lucia
era affascinata dai discorsi del tenente che parlava di ribellione, di un
futuro dove non ci sarebbero state ingiustizie. Entrambi ritornano ad avere
voglia di vivere, nonostante siano consapevoli di poter morire da un momento
all'altro.
Altrettanto
significativo è il momento quando il tenente insieme ad un drappello di briganti
costringe il potente Ajello a restituire il terreno al povero Luigi, padre di
Lucia, facendogli firmare l'atto di fronte a un notaio. Il libro di Capecelatro
è ricco di episodi interessanti da leggere, nonostante i suoi personaggi si
muovono nel ristretto territorio di Morrone, riesce a scrivere sinteticamente
quello che già da tempo tanti storici e studiosi con documenti alla mano hanno
scritto. Anche nel libro di Capecelatro, appare evidente lo scontro militare e
politico tra due mondi diversi: quello del nuovo regno di Sardegna e il
Mezzogiorno.“Ormai quella che si combatteva in tutto il Mezzogiorno d'Italia
era una guerra civile”. L'unità forzata del Paese, voluta e realizzata dai
Savoia,“aveva messo italiani contro italiani”. Scrive Capecelatro,“se
in un primo momento la rivolta era portata avanti da tradizionalisti fedeli al
Borbone, successivamente assunse un carattere di protesta sociale e, a questi, si
aggiunsero i delusi dal nuovo corso e tutti i perseguitati dall'oppressivo
regime piemontese”.
Nei primi mesi
di guerra furono oltre duemila i briganti o presunti tali passati per le armi,
quattordici paesi rasi al suolo o dati alle fiamme, molti gli arresti e
incarcerati. “Non male come inizio della nuova Italia unita sotto la corona
dei signori Savoia”.
Anche lo
scrittore napoletano non intende costruire una leggenda aurea intorno ai
borboni. E' consapevole che la caduta del Regno è anche colpa del sistema che
ruotava intorno al povero Francesco II. Tuttavia, Lucia era consapevole che“i
tanto vituperati Borbone avevano comunque assicurato a lei e alla sua famiglia
un'esistenza dignitosa, una casa, un lavoro[...]Ora, con Garibaldi prima e i
Savoia poi, tutto sembrava crollare, disgregarsi, come se il Mezzogiorno
d'Italia andasse abolito, cancellato con tutte le sue tradizioni di storia e di
civiltà che ne avevano fatto uno dei principali Stati europei”.
Lucia senza
saperlo diventò brigantessa , era stato Francesco a sconvolgere la sua
esistenza, ha scoperchiato la sua vera indole: quella di una donna che
aveva tutte le potenzialità per elevarsi al di sopra della massa,
ascoltare la voce del dissenso, di contestare le regole ingiuste. “E' per
istinto di conservazione che bisogna continuare a lottare, combattere”, diceva
Lucia. “Per lasciare qualcosa di noi[...]Perchè i nostri figli non abbiano a
maledirci, perché non si sentano traditi dai loro padri”. Francesco voleva
recarsi a Sorrento dalla sua famiglia, ma è stato tradito e catturato dai
soldati. Dopo ripetute violenze, ha la forza di polemizzare con l'ufficiale
piemontese, che gli aveva promesso la libertà se giurava fedeltà al suo re.“Che
strano concetto di libertà è il vostro. - ribatté Francesco – La libertà
è quella di pensiero, quella di poter disporre della propria vita, quella di
poter operare delle scelte. Schiavitù è prostrarsi innanzi al vincitore,
innanzi ai potenti, è violentare le proprie idee per sacrificarle ad un
effimero vantaggio. Ed allora io morirò da uomo libero anche penzolando da
una vostra forca, resterò un uomo libero anche se rinchiuso in una delle vostre
galere. Ma sarei uno schiavo se abbracciassi per convenienza le vostre idee”.
Parole piene di grande significato, che possiamo fare nostre; oggi non siamo
chiamati a combattere una battaglia armata, ma certamente siamo chiamati a
combattere una battaglia culturale, delle idee, pronti a non arretrare sui
valori che contano. Ce lo ha ricordato l'altra sera il presidente del Comitato“Difendiamo
i nostri figli”, Massimo Gandolfini al teatro Rosetum a Milano.
Il libro di
Capecelatro ricorda i funesti campi di concentramento dei Savoia, i lager
dei Savoia, li ha chiamati, lo storico Fulvio Izzo, dove sono stati
rinchiusi a morire i soldati napoletani di Francesco II. La più nota è
Fenestrelle, la lugubre fortezza, con tremilanocentonovantasei gradini,
a quasi duemila metri, dove il nuovo Stato italiano tentò di rieducare e far
diventare civili i napoletani. Qui furono deportati circa venticinquemila
meridionali che si opponevano alla conquista e alla successiva annessione delle
Due Sicilie al Regno di Sardegna. Se i re Borbone potevano vantare diversi
primati, come la ferrovia, il vapore, l'osservatorio astronomico,
l'illuminazione stradale a gas, addirittura la prima regolamentazione sulla
raccolta differenziata, ora i sabaudi potevano ostentare un loro primato: il
primo lager in Europa.
Con la scomparsa
di Francesco, Lucia riceve dal duca don Raffaele, il capo del Comitato
borbonico, l'incarico di guidare la banda dei briganti. Lucia in un primo
momento frena:“Ma voi dimenticate che sono una donna”, ribatté al duca.
Teme di non essere obbedita dagli uomini, di non riuscire nell'impresa. Ma il duca dà una
risposta solenne:“Il peggior schiavo è chi
è prigioniero di se stesso. Per spezzare le catene che lo imbrigliano
dovrà sapere innanzitutto sconfessare i vincoli cui è sottoposto e mi rendo
conto di quanto possa essere difficile rinnegare condizionamenti di una vita.
Ma chi vuole essere libero deve trovare il coraggio e la forza per farlo”.
E qui si sfata un luogo comune che si considera i legittimisti, i seguaci del
Borbone dei retrogradi e nemici del progresso.
A questo punto è
bello ascoltare Lucia, le sue prime parole da capo ai suoi uomini:“Chi è qui
non per lottare per un ideale, ma per se stesso, abbandoni tutto e vada via. Queste
persone non ci servono, costoro hanno già perso senza combattere. La nostra
è la lotta contro l'emarginazione di un popolo e, di fronte al bene comune,
nulla valgono gli egoismi personali[...]”.Questa, “è la lotta delle
donne e degli uomini delle Due Sicilie contro chi ha voluto strapparci la
nostra patria non in nome di un'unità di popoli ma di una sopraffazione tra
loro, contro chi fa ricorso allo stupro e alla tortura verso chi chiama
fratelli. E' la lotta di contadini senza terra, di soldati senza
esercito, di madri senza figli. Noi combattiamo perchè l'oblio non cancelli
la nostra storia, perché calunnie e falsità non la consegnino vilipesa ai
nostri figli. Se alziamo le nostre bandiere lo facciamo per difendere la
nostra identità, non per offendere quella degli altri. Noi combattiamo in
nome di chi ha saputo anteporre i doveri di Stato a qualsiasi ambizione. Io
sarò soltanto la referente di queste istanze di tutti, così come lo è stato il
tenente Correale e, se credete che non possa esserlo solo perché donna, è
inutile che combattiate per istanze sociali, non ha senso che vi ribelliate ai
soprusi del forte sul debole perché starete facendo esattamente quello di cui
accusate i nostri nemici”. Un vero manifesto programmatico, di cui valeva
la pena citarlo per esteso.
Il nuovo regno
ha impiegato dieci anni per debellare il brigantaggio. Ma quanto è costata
questa guerra, voluta dai nuovi padroni, dai Piemontesi, quanti morti, quanti
paesi distrutti. Capecelatro quantifica in 123.860 morti, qualcuno ha esagerato
scrivendo 1 milione. Certamente sono state molte di più rispetto a tutte le
guerre risorgimentali.
Ritornando al
personaggio principale del libro, Lucia e la sua banda di briganti alla fine
vengono sconfitti, lei stessa catturata dopo aver subito uno stupro brutale dai
“liberatori”, viene incarcerata e tiene il figlio, frutto della violenza subita
dalla soldataglia sabauda.
Mi piace
concludere con delle splendide parole di Lucia, dopo aver catturato sei
militari dell'esercito piemontese, in uno dei tanti conflitti contro i
militari, con tono fermo, rivolgendosi ai prigionieri disse: “Veniste da
fratelli a volerci portare una libertà che non vi avevamo chiesto, e quella che
voi chiamate libertà è stata per noi morte, devastazione, stupro.
Veniste da italiani a volerci portare una nuova patria, ma ci avete portato
un'Italia costruita sul sangue e sull'odio. E quello che oggi è odio sarà
domani rabbia e rancore. Ci chiamate briganti! Ma è brigante chi ruba la vita
degli altri o chi difende la propria? E' brigante chi incenerisce case, poderi,
paesi o chi in quelle case brucia? E dov'è adesso il vostro coraggio, perché
sui vostri volti si è spento quel sorriso beffardo?”. Quei poveri diavoli
erano pronti a morire, ma la donna con grande lealtà, concluse: “Adesso
andate! La banda di Francesco Correale, così come tutti coloro che combattono
per difendere la propria terra e non per offendere quella altrui, non spara su
uomini inermi e disarmati”.
Il terzo libro
che ho letto è un'ottima sintesi storica sociale e culturale del brigantaggio,
scritto dallo storico e valente studioso nonché dirigente di Alleanza
Cattolica, Francesco Pappalardo, “Il Brigantaggio postunitario.
Il Mezzogiorno fra resistenza e reazione” (D'Ettoris Editori). Il breve
saggio ha il pregio di essere sintetico, da una visione completa della guerra
che ha insanguinato tutto il Sud dal 1860 fino al 1870. Naturalmente rinvio ad
un prossimo intervento la presentazione dell'opera di Pappalardo.
Nessun commento:
Posta un commento