di Antonio Martorana
Ancora fresco di stampa il saggio di
Sandra Guddo L’ Incontenibile versatilità.
Pensiero e Ricerca nei Saggi di Tommaso Romano. (San Cipirello, CO.S.MOS “
2016 ) non farà pensare certo ad un granello di sabbia che, trascinato dal
vento, va ad aggregarsi agli altri granelli di quell’imponente duna che è la
bibliografia contenuta nel repertorio Continuum. Bibliografia di e su Tommaso
Romano” a cura di Vito Mauro ( Palermo 2015 ).
A ben vedere, le due metafore da noi
usate, quella del granello di sabbia per il testo di Sandra Guddo e quello
della duna per la bibliografia romaniana, si rivelano assolutamente
inappropriate, visto che la sabbia evoca instabilità e dispersione. Qui, in
entrambi i casi, siamo in presenza invece di contributi testimoniali ed
ermeneutici che hanno la solidità della roccia, indicando in Tommaso Romano uno
tra i più autorevoli protagonisti della cultura del nostro tempo.
Il merito di Sandra Guddo, nel focalizzare
l’imponente e poliedrica produzione saggistica di Tommaso Romano, nella quale
ella ravvisa i segni di una “ incontenibile versatilità” speculativa e
creativa, consiste in una sorta di “ prolungamento” della comunicazione
autoriale, nell’intento, adattando al caso nostro le parole di Gérard Genette
<< di presentarlo, appunto, nel senso corrente del termine, ma anche nel
senso più forte: per renderlo presente, per assicurare la sua presenza nel
mondo, la sua “ ricezione” e il suo consumo, in forma, oggi almeno, di libro
>>( G.Genette, Soglie. I dintorni del testo, tr.it. Torino, Einaudi,
1987, p.3 ) .
Si tratta dunque di una forma che, senza
trasbordare dalla terminologia genettiana, potremmo definire di “
accompagnamento “, dall’ampiezza di una sessantina di pagine, il cui spessore ermeneutico e la cui cifra di
propedeuticità, tali da farci entrare nel vivo della densa problematicità dello
scrittore palermitano.
Fortemente pragmatico è dunque l’intento
di tale forma di accompagnamento, assimilabile alla pragmaticità di contributi
paratestuali di carattere liminare o “ vestibolare” ( un aggettivo coniato da
Borges), quali possono essere le introduzioni, le prefazioni e le postfazioni
allografe. L’aspetto funzionale del saggio, nella circolarità del suo percorso
ermeneutico, consiste nel rimandare all’incidenza prassica della
materializzazione grafica delle idee professate da Romano che non incise nel vento, destinate ad avere la vita
effimera di un volantino pubblicitario, ma rappresentano tasselli di una
weltanschauung dalla forte presa “ fattuale “ nel suo incardinarsi su tre
motivi essenziali: ricerca inesausta della verità, strenua difesa della dignità
dell’uomo, insopprimibile aspirazione
verso l’Assoluto.
Sandra Guddo evidenzia tutte le
preoccupazioni avvertite dal Nostro nel porsi dinanzi alle criticità del
presente e la sua consapevolezza di quali
siano gli anticorpi per combattere le patologie che affliggono la nostra
società. E’ da sperare veramente che, ove quegli anticorpi dovessero
rivelarsi vincenti, un giorno sarà
possibile vedere il personaggio kafkianoe di Gregorio Samsa che con una impressionante
metamorfosi è trasformato “ in un enorme insetto immondo”,alzarsi dal suo letto
completamente guarito.
E’ il profilo di un Romano combattivo e
pungente quello tracciato da Sandra Guddo, un Romano pronto a denunciare
storture, squilibri, inefficienze, improvvisazioni, come quelli che hanno
travolto il settore scolastico, acuendo la crisi di identità del mondo
giovanile o quelli che hanno procurato ferite ormai insanabili all’ambiente.
L’impegno di Romano sui vari versanti
risponde a precise ragioni di storicità empirica, che non escludono la
possibilità di riscatto, a patto , egli potrebbe dire, facendo sue le parole di
un suo Maestro e amico, Vittorio Vettori, << che l’individuo umano sappia
riconquistare la sua regale dignità nativa di “ pastore dell’essere”, e
restituire ai suoi luoghi il loro valore di mito >> ( V. Vettori, Un
inventore di miti: Galeffi, Palermo, Ila Palma, q987, pag.62).
E’ il paradigma valoriale di cui T. Romano
è portatore a conferirgli la dignità “ di pastore dell’essere” in grado di
stringere un legame indissolubile tra la simbologia salvifica del mito con
l’ontologia della propria terrestrità. Diciamo questo pensando ad un concetto
espresso da Heidegger nella sua famosa conferenza tenuta a Roma nel 1936 su Holderlin
e l’essenza della poesia: << Che cosa deve attestare l’uomo? La sua
appartenenza alla terra”.
Dalla monografia viene puntualmente
delineato il percorso formativo del Nostro, dalla tradizione speculativa
siciliana avviata da Gorgia ed Empedocle, ad Agostino e Tommaso, sino a
Giovanni Gentile e Martin Heidegger. Il Nostro sarà rimasto certamente colpito
dal linguaggio ispirato di Heidegger nell’affermare : “ I sentieri del pensiero
nascondono in sé un aspetto di mistero: noi li possiamo percorrere in un senso
o nell’altro; anzi proprio il percorrerli a ritroso consente di avanzare”.
E Tommaso Romano non ha esitato a
percorrere a ritroso i sentieri della Tradizione, sapendo che non si sarebbe
perduto, ma avrebbe potuto cogliere, e stavolta vogliamo usare le parole del
maestro di Heidegger, Edmund Hursserl, “ nello svolgimento storico il senso teleologico
perduto”.
L’esperienza in tal senso di Romano ci
riporta al significato di ogni umana avventura tesa alla conquista
dell’autocoscienza individuale, rintracciabile in interiore homine.
E’ proprio guardando ad un paradigma di
assoluto rigore comportamentale nella riscoperta, per ciascun individuo,
dell’identità autentica, che l’écriture di
Romano si carica di una tensione illocutoria, mirante ad incidere sulle coscienze.
Potremmo definirla una scrittura produttiva, proliferante scrittura come significance. ( M.C. Cedern, Postfazione
a Genette, Soglie, cit. 411)
Parlare di scrittura produttiva significa
parlare di scrittura veicolante una cultura concreta ma noi preferiremmo usare
l’espressione tedesca Konkrete bildung, proprio
perché l’inversione, rispetto all’italiano, dell’aggettivo Konkrete che precede
il sostantivo Kultur, accentua il valore prassico dell’espressione.
Nell’accostarsi ai libri di Romano è come
se Sandra Guddo ottemperasse al precetto di Francis Otto Matthiessen, il famoso
autore di quel classico che è American Renaissance, del 1941: “ Tu non
tocchi un libro, tocchi un uomo” . Toccare l’uomo Romano ha significato per lei
entrare in sintonia con il mondo valoriale della sua ècriture, condividendone
soprattutto l’autenticità e l’apertura agli altri. Adottando tali termini
nell’accezione heideggeriana, l’autenticità( Eigentlichkeit ) è speculare
all’intento dell’ esserci ( Dasein ) di appropriarsi di sé, progettandosi ed
evitando di cadere “ nell’oblio di sé “, nel “ divertimento “ ed in quella “
chiacchiera “ che caratterizzata dalla genericità delle opinioni impersonali.
Proprio nell’intreccio dei citati sintomi di scadimento qualitativo della quotidianità
viene a manifestarsi la deiezione ( verfallen) .
Romano mostra di condividere il paradigma
heideggeriano, che, in un certo senso ci ricorda quello elaborato da un altro Maestro
a lui molto caro : Michele Federico Sciacca.
Cogliamo infatti una notevole affinità tra la
forte immagine heideggeriana del “ vortice della deiezione “ come condizione
esistenziale di inautenticità, e quelle che Sciacca addita come le due tendenze
“ inumane e mortifere “ dell’uomo contemporaneo, e cioè “ vivere nel tempo e vivere
fuori del tempo”, intendendo con la
prima espressione “ il tuffo nell’empirico, la sopravvalutazione del mondano”,
e , con la seconda, la scelta dell’isolamento, indice di svalutazione del mondo
e dell’umano”. Alla ricerca heideggeriana di autenticità corrisponde l’opzione
sciacchiana per “ vivere il tempo “. Ciò comporta riscattare il tempo
dall’empirico e dal mondano, eternandolo “ nell’immortalità della verità “ ,
per cui l’uomo è uomo ed è immortale “ ( M. F. Sciacca, L’Interiorità
oggettiva, Palermo, Epos, 1989, pp. 91-92 ).
E Romano nel vivere heideggerianamente in
modo autentico, è soggetto che
sciacchianamente “ vive il tempo”.
Per quanto riguarda l’apertura o “
aperturalità “ ( Erschlossenheit ) la familiarità di Romano nel
rapportarsi con gli altri rispecchia pienamente il concetto heideggeriano
indicante il carattere costitutivo di un esserci che è intrinsecamente un
esporsi al mondo, e , dunque un << essere- nel- mondo >> ( In –
der- Weltsein ) .
E’ dunque questo il bagaglio valoriale che
Romano porta con sé lungo la via in fondo alla quale dimora l’Essere. Ed in
questo suo cammino è come se egli ripercorresse il diagramma che Heidegger ha
tracciato, quando, in un momento epocale di crisi, ha individuato la soluzione
del problema capitale della cultura contemporanea nella necessità del passaggio
dalla parola della sapienza ( di una sapienza ormai scaduta nella banalità e
nella falsità ) alla sapienza della parola, (di una parola capace di sollevarsi
dal piano cartaceo alla luminosità del noumeno). La nostra saggista coglie
l’essenza di quella Weltanschauung, ossia di un mondo di valori
ultrasensibili, in cui si condensa la vita stessa del pensiero, inteso non come
speculum naturae, in base ad una formula intellettualistica, ma come potentia
et dominium, esplicantesi in un imperativo etico in stretta sinapsi con una
logica, per cui il particolare si inserisce nella trama dell’universale, di
quello che Romano definisce Mosaicosmo.
Aderendo a quella visione, Sandra Guddo
indica in Tommaso Romano un vero maìtre à penser, il senso del cui magistero
consiste nel non disperdere il retaggio “ della nostra più autentica tradizione
che non può essere messa in discussione da un pasticciato sincretismo svuotato
da ogni valore “. Si tratta di una scelta coerente che impone di non abboccare
alla lusinghe di un successo facile e di non salire “ sulla giostra della
vanità in cerca di plausi e di ipocriti consensi “. Pag. 8
L’impegno da parte di Romano a recuperare
la tradizione si riaggancia idealmente, a nostro avviso, alla ermeneutica gadameriana che trova la sua più significativa
testimonianza nell’opera Wahrheit und methode ( trad. it. Verità e Metodo,
Milano 1972).
Troviamo qui infatti una rivalutazione
piena del concetto di tradizione, nel convincimento che, come commenta Franco
Bianco, “ il compito cui attendere viene ad essere, capovolgendo l’itinerario
della fenomenologia hegeliana, la scoperta di ogni soggettività della sostanzialità
che la determina o in altri termini, l’ineliminabile appartenenza dell’autore e
del testo da interpretare al concetto di tradizione “.
E’ davvero illuminante il seguente passo
della citata opera gadameriana : “ Ciò che riempie la nostra coscienza storica
è sempre una molteplicità di voci, nelle quali risuona il passato. Solo nella
molteplicità di tali voci il passato c’è: questo costituisce l’essenza della
tradizione” ( H. G. Gadamer, Verità e Metodo, trad. it. , Milano Fabbri, 1972,
pag. 333).
La posizione nettamente rivalutativa da
parte del grande filosofo svizzero tende a colpire l’assurdità del disprezzo
illuministico nei confronti di una tradizione, considerata come avvolta dalle
nebbie dell’oscurantismo. A ben vedere , non si discosta da quella posizione lo
stesso Romano, come si evince dai toni fortemente polemici nei confronti
dell’illuminismo, nelle pagine introduttive di Antimoderni e critici della
modernità in Sicilia dal ‘700 ai nostri giorni ( Palermo, ISSPE, 2012 ).
Piena deve essere la condivisione, da
parte dello studioso palermitano, del tentativo autorevole di Gadamer di
spazzare via “ la duplice ipoteca del disprezzo illuministico e della riduzione
( della tradizione) all’ambito della fenomenologia folclorica”. “ La tradizione
“ avverte Gadamer “ possiede un certo diritto e determina in larga misura le
nostre posizioni e i nostri comportamenti “ ( op. cit.). Essa viene vista da
Romano come un immenso bacino aurifero di significati che non devono essere
recepiti passivamente, come lo stesso Gadamer avverte, perché trovano legittimazione
nel fatto di essersi manifestati in un passato più o meno lontano. La sua
comprensione si rivela dunque essenziale per dare senso a quell’invariante che
è la transizione di un patrimonio antropologico da un antecedente a un
conseguente.
Si tratta di una complessa fenomenologia
che Saint – Evremond, con una specie di fulgurazione
preromantica, aveva definito génie, come complesso di sentimenti e di idee
che germinano nella tensione degli eventi e sono soggetti a mutamenti lungo il
corso della storia, costituendo un patrimonio comune del popolo. Romano si è
sempre battuto contro i tentativi di mummificazione di quella fenomenologia,
come se si trattasse di un semplice reperto museale. Sa che essa va collocata “
sul tapis roulant della storia, attraverso un processo di conservazione/
innovazione nel quale si realizzano in modo diversamente tematizzati, le
molteplici possibilità di inserimento del passato nel presente “ ( Carlo Prandi
).
Proprio in Tommaso Romano, come sottolinea
Antonino Buttitta, in un passo riportato nella monografia, va vista l’ultima
propaggine della grande tradizione
speculativa siciliana, che da Gorgia ed Empedocle giunge a Giovanni Gentile,
Pietro Mignosi, Julius Evola e Michele Federico Sciacca.
Romano guarda a quella tradizione
intuendone la duplicità: da un lato il filone allineato sulle posizioni della
modernità, dall’altro una “linea antimoderna”, annoverante una schiera di
spiriti attestati su posizioni rigorosamente tradizionaliste in una trincea che
ai tempi nostri, per usare le sue stesse parole, “ quasi indiscriminatamente e
con altezzosa superiorità intellettuale si vuole misconoscere e/o annullare o,
al massimo citare storicisticamente , come una specie di curiosità, una
stravaganza frutto di élites marginali che il tempo, il progresso, inteso appunto
come culto, hanno provveduto a delegittimare, cancellando senza neppure un
confronto, perché ritenute insignificanti e sostanzialmente antistoriche,
velleitarie” ( T. Romano , Antistorici e critici della modernità).
Quella del Nostro è dunque l’appassionata
difesa dei membri di una “ genealogia” sulla cui pelle l’infame gnome di
tribunali eretti sotto l’egida delle nuove veggenze del filosofare, inneggianti
alla ragione e al progresso, aveva impresso un marchio di oscurantismo,
condannandoli all’emarginazione e all’oblio. Era la ritorsione scellerata per
avere essi osato muovere all’assalto dei possenti bastioni di una logica
intorbidata dal veleno dell’empietà e assunta a vessillo del nuovo corso del
pensiero europeo dopo il successo della Rivoluzione Francese.
A costoro Romano rende giustizia, consegnandoli
alla memoria collettiva nella galleria di ritratti allegata in quel vademecum
che è la citata ricerca “ Antimoderni e critici della modernità “.
E’ ravvisabile in loro, la traccia
indelebile di quel “ filosofare perenne come scoperta della verità” di cui
parla Michele F. Sciacca, precisando: << Scoperta non sviluppo: la
filosofia come sviluppo della verità e dell’idealismo storicista, che in
definitiva lo nega perché in partenza annulla ogni vero. La filosofia come
scoperta della verità è di un altro idealismo, di quello oggettivo che non fa
nascere quest’ultima dallo sviluppo del pensiero, ma fa nascere lo sviluppo del
pensiero dalla verità, come tale superstorica. >> ( M. F. Sciacca “ L’Interiorità
oggettiva , Palermo, Ed. Epos, 1989, p.18).
Significativo è il tentativo, da parte di
Romano di coniugare l’aspirazione di Julius Evola alla “ ricostruzione del
mondo delle tradizioni”, una realtà superstorica basata sui valori del sacro e
dell’eterno, con lo spirito dell’Enciclica Aeterni Patris ( 1879 ) tramite la
quale Leone XIII afferma la perenne validità della filosofia di San Tommaso.
Consapevole dunque che il tomismo è la
dottrina che meglio si armonizza con la visione cristiana del mondo, Romano si
riaggancia alla lezione dei grandi pensatori siciliani che in quell’orbita si
muovono, come Francesco Orestano, Pietro Mignosi, Carmelo Ottaviano e Michele
F. Sciacca. A quest’ultimo egli attribuisce il merito di aver individuato il
germe di un “ autentico ateismo” nascosto nelle pieghe del moralistico
trascendentalismo kantiano e di avere individuato in quel pensiero che
cartesianamente conferma la nostra condizione di esseri pensanti, la prova
antropologica dell’esistenza di Dio che è, in un certo senso, l’umanizzazione
della prova ontologica di Sant’Anselmo. Definendo l’autocoscienza come “ la
specificazione primale dell’interiorità oggettiva o della verità prima “. ( M.F.
sciacca L’Interiorità Oggettiva, op.cit. p.84 ) , Sciacca rileva come essa
nel suo stesso seno , “ negli elementi unificati che la costituiscono :
Esistenza – Idea- presenta quanto basta per inferire oggettivamente l’esistenza
di Dio, che è verità” (Ivi p.85).
Sandra Guddo richiama l’attenzione sulla
centralità che, nella scia della lezione sciacchiana, ha, nella riflessione del
Nostro, il nesso indissolubile tra dimensione temporale e dimensione
trascendentale. Così come centrale è pure il riconoscimento del valore della
Persona, che sicuramente riteniamo di potere collegare al personalismo di
Emmanuel Mounier, centrato sul binomio libertà – trascendenza, nel segno
dell’apertura agli altri e al divino. Lungi dall’essere una monade nel
Mosaicosmo romaniano, la Persona si
realizza in una comunità che, nella visione di Mounier è “ persona collettiva “
o “ persona di persone “.
Sandra Guddo evidenzia la scelta
coraggiosa da parte di Romano, di andare controcorrente, rivelandosi egli una
di quelle forze, per usare un’espressione di Alfred Weber , “ capaci di
interrompere il procedere della notte” ( A. Weber, Storia della cultura come
sociologia della cultura, tr. It. Palermo, Novecento, 1983, p.491). E quell’oscurità incombente sembra
prefigurata dall’immagine agghiacciante della “ morte della luce” che oggi, in
tempi di globalizzazione, di pensiero debole e di società liquida, si associa
all’altra della “ perdita del centro “.
Romano non demorde, fiero di non piegarsi
alle forze egemoniche che detengono il controllo dell’odierno panorama
culturale e che mirano a canalizzare i consensi in direzione di quel paradigma
onnivoro che è “ il pensiero unico “.
E’ il pensiero unico ad imporre i suoi
parametri ai media ad alla manualistica scolastica, occultando quelle verità che
potrebbero metterne in discussione la credibilità per indurre all’assuefazione
ad un sapere trasformatosi in rapporto di potere. Romano, nel denunciare questa
continua aggressione all’autonomia critica degli individui , troverebbe un
alleato in Franco Ferrarotti, uno dei pochi spiriti liberi che non ci stanno a
quel gioco. L’illustre sociologo ha levato infatti la sua voce autorevole
contro la “ differenziazione qualitativa tra ricercatori e gruppi umani che
sono oggetto di ricerca “. E’ una differenziazione, egli avverte, “ spacciata
come metodologicamente ineliminabile che, alla fine si traduce in un rapporto
di dominio nel senso che istituisce un rapporto ad una via soltanto, dai
ricercatori agli oggetti di ricerca, riducendo questi ultimi alla fissità
passiva ( … ) del minerale. Il sapere si trasforma così in un rapporto di
potere. L’etnocentrismo si nutre di questo rapporto a - simmetrico e giustifica anche a livello inconscio, una
situazione di subalternità e di dipendenza a carico dei gruppi umani
analizzati. La ricerca viene così a porsi come un processo di dominazione “.
Nella propria azione di contrasto alle
distorsioni ed alle menzogne imposteci dalla gestione imperialistica dei
saperi, il Nostro punta tutto sulla costruzione di categorie mentali che siano
il filo di Arianna per farci trovare l’uscita dal labirinto dell’omologazione e
per consentirci la riappropriazione delle matrici antropologiche e dei valori
fondanti della grande tradizione culturale siciliana e meridionale.
Romano si configura dunque come l’accesa
espressione resistenziale contro la colonizzazione culturale il cui obiettivo
primario è l’omologazione delle minoranze tramite l’introduzione di modelli
valoriali eteronomi ( morals ) , in sostituzione di quelli tradizionali ( mores
). Opportunamente l’Autrice richiama allora l’attenzione sul significato che
assume nel Nostro, il richiamo alla memoria, rilevando come questa non consista
“ nella melensa nostalgia rivolta al passato con il cieco rifiuto di quanto la
moderna tecnologia oggi ci offre “ ma
vada considerata come argine a “ salvaguardia di valori assoluti fondanti la
nostra identità culturale e spirituale” ( pag. 88 ).
Da qui la conflittualità ingaggiata da
Romano contro quell’autentico “ tritatutto dove non c’è spazio per il ricordo “
che è “ la macchina mediatica “ ( pag.5 ). Egli, peraltro, è consapevole che
pervenire al controllo della memoria e dell’oblio, è stato sempre l’obiettivo
primario dei gruppi egemoni nelle società storiche e che, come avverte Jacques
Le Goff , gli oblii della storia non fanno che disvelare i meccanismi di
manipolazione della memoria collettiva. L’insistenza sul tema della
manipolazione fa intravedere, se ci è consentita una chiosa personale,
suggeritaci peraltro dalle stesse considerazioni dell’Autrice, l’ampio
orizzonte di riferimento cui si riallaccia idealmente la posizione di Romano, a
cominciare da Georges Orwell, il romanziere noto per avere coniato l’immagine
del “ Grande Fratello “ , alludente ad un potere occulto capace di coordinare i
mezzi di comunicazione per piegarli ai propri fini politici ed economici.
Evidentemente Romano si pone con piena
autonomia nella scia di una corrente di pensiero che fa capo alla “ teoria
critica della società “ elaborata dalla scuola di Francoforte nonché al
sociologo statunitense Vance Packard ( I Persuasori Occulti, 1957). Si
spiega la sua tenacia nel mettere in guardia dal pericolo che la potente
oligarchia di tecnocrati, sfruttando sofisticate tecniche motivazionali (
opinion makers ) gestisca l’ audience appeal subliminale in modo da inibire
l’autonomia critica del destinatario, riducendolo ad un “ esemplare generico
assolutamente sostituibile “ a “ consumatore in servizio permanente effettivo
“. Egli avverte allora la necessità di costruire “ un rettangolo di
ammutinamento “, ossia, scrive Sandra Guddo “ un vero baluardo di resistenza
che non può cedere il passo ai burattinai dei poteri occulti che si nascondono
dentro le potenti organizzazioni delle multinazionali che, attraverso un
processo di appiattimento, depauperamento ed annichilimento dei valori legati
alle nostre tradizioni, ci impongono modelli di comportamento basati sulla
omologazione, annullando la peculiarità di un popolo “ . (pp. 7-8 ).
Ad una società smarritasi, inseguendo le
evanescenti falene dell’effimero, Romano contrappone il luminoso palinsesto
dell’infinito, quella rizomatica rete tessuta da mani invisibili che Egli rende
con la possente metafora ricavata dalla fusione di due termini ( mosaico – cosmo ) : Mosaicosmo.
E’ lì che va a sciogliersi come nebbia al
sole ogni vicenda storica, regolata dalla gerarchia del prima e del dopo e
contrassegnata dal paradigma ripetibile delle scansioni di sviluppo e
decadenza, di migrazioni e ritorni, di fermate e ripartenze, per ricomporsi in
un sistema armonico di coerenze dove nulla è marginale e tutto è centro.
La simbolica superficie mosaicata che
riveste le pareti della Casa Celeste, non è soggetta alle incrinature e ai
cedimenti ai quali non sfuggono, sulla terra, “ i grandi zoccoli immobili e
muti” delle continuità secolari di cui parla Foucault. Niente può scalfire la
singola tessera microcosmica incastonata nel macrocosmo. Ciò significa che
anche il più oscuro individuo che Romano definisce “ milite ignoto dell’ordinario”
rappresenta, commenta l’Autrice, un “ tassello vivo che contribuisce alla
costruzione del complessivo disegno di quel mosaico di cui è corresponsabile,
senza alcuna differenza tra il grande Napoleone e il piccolo raccoglitore di
lattine: entrambi, ognuno a modo proprio, trovano posto nel mosaicosmo “ (
pag.11 )
Possiamo dedurre come la cosmologia
romaniana si regga sull’ordo amoris,
quell’amore ordinato di cui parla S.
Agostino al quale Romano costantemente si richiama. Si tratta di un ordo che ,
come precisa Remo Bodei, è il risultato della libertà umana e dell’obbedienza a
un comandamento divino. Illuminato il passaggio degli uomini attraverso le
angosce di questo mondo, spremuto come in un frantoio dalla macina della fame,
della guerra, della morte li guida verso il Paradiso, dove il desiderio potrà
finalmente placarsi senza spegnersi e ognuno, rimossa l’opacità della carne,
conoscerà finalmente se stesso” ( R. Bodei, Ordo Amoris. Conflitti terreni e
felicità celeste, Bologna , Il Mulino 1991 ).
Sappiamo del legame spirituale di Romano
con S. Agostino. Se il Vescovo di Ippona
è “ un tenace e inflessibile combattente, in continua lotta contro gli eretici
e i pagani, un formidabile organizzatore del consenso in difesa dell’ortodossia
“ ( R. Bodei, op. cit. p.44 ), Romano è in perenne conflitto con i manipolatori
delle coscienze ed i nuovi barbari, rivelandosi nel contempo un formidabile
organizzatore del consenso in difesa della tradizione. E’ interessante
constatare, poi, come Romano ammiri gli
anacoreti, così come li ammira S. Agostino ( R. Bodei, op.cit. p. 181 ).
Toccando poi il tema del viaggio, così
caro al Nostro, Sandra Guddo rileva come, nella sua ottica, “ il viaggio è un
avventuroso percorso per raggiungere la completezza, la perfezione che in
questa terra ci sono negate” , aggiungendo che esso “ talora è inteso anche
come ricerca delle nostre più lontane radici, come accade in “ Pellegrino al
Pellegrino “ ( 1998) , dove l’uomo ritrova nelle grotte di Alcantara la
testimonianza delle sue origini” (p.12 ). E così il preistorico abitatore di
quegli anfratti, osservato dal crinale della paleontologia, rientra
prepotentemente per Romano, nell’area del dibattito cosmologico e teologico, al
pari del sinantropo scoperto nel 1926 dalla spedizione scientifica in Cina, di cui faceva parte Pierre Teilhard de
Chardin. Nel cavernicolo dell’Addaura, parente stretto del sinantropo, si
manifesta, ancora impercettibilmente tra scheletro e pelle , un fremito
segreto, quasi un brivido, che è
tensione verso l’Assoluto: a quell’obiettivo entrambi tendono in modo
inconsapevole. E’ la meta finale che Theilard chiama “ punto omega”, ossia il
Cristo cosmico, punto di aggregazione dell’umanità tutta ( “ cristo sfera” )
mentre Romano la chiama Mosaicosmo. Trova finalmente appagamento, per Theilard
come per Romano, la ricerca veritativa di chi ripone il proprio destino nel
supremo dogma dell’Essere. Il binomio verità – trascendenza costituisce così
l’asse portante del pensiero di Romano, così come lo è per Theilard. Quest’ultimo, nel
suo Esquisse d’un Univers personnel, del 4 maggio 1936, così si esprime, con parole
che Romano accetterebbe totalmente, trovando una prospettazione armonica dell’
Universo, con tutte le sue interrelazioni, che coincide perfettamente con il
Mosaicosmo: << La Verità non è altro che la coerenza totale dell’Universo
in rapporto ad ogni punto. Perché dovremmo mai avere in sospetto o
sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli
osservatori? Si continua ad opporre una
certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva . E’ una
distinzione illusoria. La verità dell’Uomo è la verità dell’Universo per l’Uomo,
cioè semplicemente, la Verità>>.
Sandra Guddo sa rilevare con intuizioni
felici la pregnanza speculativa della dialettica microcosmo – macrocosmo che è
quanto dire immanenza – trascendenza, e, alla luce, di tale visione, chiarisce
l’influenza dell’estetica Kantiana sul pensiero estetico di Romano per il quale
“ è possibile affermare che l’arte rappresenta la perfetta sintesi che mette in
contatto il mondo fenomenico con il noumeno realizzando così la più compiuta
operazione trascendentale il cui risultato è appunto l’opera d’arte: non solo
immanente né solo trascendente ma fusione di entrambe che conferiscono così all’opera
d’arte valore universale” ( Pag. 42 ).
I vari scritti sul Bello di Tommaso Romano
rappresentano l’ultima germinazione di una cultura estetica che proprio in
Sicilia ebbe la sua nascita, se si considera che spetta a Gorgia da Lentini il
merito di aver formulato la prima teoria estetica. A sottolinearlo è Luigi
Russo Junior che, intervistato da Bent Parodi, fa notare come il rapporto
primigenio della Sicilia con l’estetica giunga
fino a noi - e qui ci va di pensare proprio a T. Romano, attraverso nessi
numerosi e ramificati . ( conversazione riportata da Niccolò d’ Alessandro in La situazione dell’arte in Sicilia “(1940
– 1988 , Palermo, 1991, p. 197 ).
L’ideale supremo di Gorgia fu quello
dell’innalzamento della cultura tramite l’effetto psicagogico della parola ed
il suo magico potere di incantamento.
Sulle tracce di Gorgia , Romano oggi
ribadisce il potere di incantamento dell’arte ed il suo valore rigenerativo
rispetto all’esistente, parole che si rivelano in sintonia con l’esortazione di
T. W Adorno : “ facciamo in modo che la sua carica trasgressiva e creativa
governi i nostri atti quotidiani , che la esteticità non venga relegata entro
spazi ben definiti e resa innocua, ma possa, accanto alle altre dimensioni
dell’esistenza, aiutarci a violare il principio dell’immutabilità del mondo. “
Le parole di Adorno vanno dunque in
direzione della società estetica integrata preconizzata da Marcuse. Anche
Romano sarebbe d’accordo su una prospettiva in cui l’estetica verrebbe ad avere
un ruolo totalizzante, solo che, rispetto alla visione marxista che connota le
posizioni dei pensatori di Francoforte, la sua ottica è assolutamente
spiritualista, Perciò ci sembra che non potrebbe non condividere una
riflessione di un artista che rappresenta una bandiera dello spiritualismo:
Kandinsky: “ La vera opera d’arte nasce dall’artista in modo misterioso,
enigmatico, mistico. Staccandosi da lui assume una sua personalità e diviene un
soggetto indipendente con un suo respiro spirituale e una sua vita concreta. Diventa
un soggetto dell’essere. Non è dunque un fenomeno casuale, una presenza anche
spiritualmente indifferente ma ha, come ogni essere, energie creative attive.
Vive, agisce e collabora alla creazione della vita spirituale. ( Lo spirituale nell’arte,
tr. it Bari, 1976 ).
A colpire è la precisione esegetica con la
quale Sandra Guddo sa andare al cuore dei problemi, procedendo sul filo di una
minuziosa tassonomia che le dà modo di illustrare i vari versanti in cui spazia
la multiforme attività di Tommaso Romano. Esemplare per quanto concerne la
ricerca della verità, è l’indipendenza di giudizio con cui Romano affronta la
ricerca storica in contributi da considerare ormai fondamentali sulla storia della
Sicilia, come per i testi Sicilia 1860- 1870. Una storia da riscrivere (
Palermo ISSPE, 2011 ), Dal Regno delle
Due Sicilie al declino del Sud ( Palermo Thule, 2010 ) , Vittorio Amedeo II di Savoia Re di Sicilia ( Palermo ISSPE 2013) e il corposo
contributo biografico- antologico Contro la rivoluzione la fedeltà. Il
marchese Vincenzo Mortillaro cattolico e tradizionalista intransigente ( 1806.
1888) , Palermo ISSPE 2012
Riferendosi proprio allo studio su
Mortillaro, Sandra Guddo vi ravvisa, cogliendo nel segno, un’esemplare
applicazione del metodo euristico nell’approccio ad un vero protagonista della
vita politica e culturali dell’ottocento in Sicilia.
Va riconosciuto a Romano il merito,
nell’ambito della dichiarata necessità di una “ riscrittura “ della storia di
Sicilia per il decennio cruciale 1860-1870, di aver restituito piena dignità a
quella figura di intellettuale, scienziato, ideologo e leader di parte
legittimista – borbonica nel decennio citato, sottraendola finalmente alla
nebulosa approssimazione di dati biografici sommari e talora distorti per
l’effetto di alterazioni ideologiche tese ad una sua marginalizzazione.
Il lavoro assume dunque una chiara valenza
risarcitoria a fronte dell’offesa arrecata alla memoria storica di un
personaggio di altissima levatura politica, culturale e morale,la cui “ unica e
costante preoccupazione … fu, comunque, esercitare sempre lo spirito di
servizio verso la Sicilia, che egli credette bene servire con il consueto senso
di indipendenza, a volte rifiutando lauti compromessi soprattutto nell’ultimo
decennio del Regno borbonico, accettando di contro incarichi di alto livello
burocratico, ma certo pari al suo valore ( pag.49 ).
Il testo nella sua strutturazione
storico-antologica, riporta pagine di grande interesse degli scritti del
biografato, che ci consentono di ripercorrere l’” arco lungo e tempestoso”
(p.69) che conobbe la gloria del “ turbinio di pubblici incarichi “ , e poi,
con il disarcionamento, il sapore amaro della polvere.vL’esatta posizione di
estrema coerenza e lealtà che Mortillaro seppe tessere nelle vicende
post-unificazione, quando fu oggetto di denigrazione e di persecuzione, è per
Romano un obiettivo essenziale , al fine di colmare “ una lacuna anche
interpretativa “ a fronte delle molteplici realtà che componevano un
frastagliato arcipelago. Quella lacuna, egli precisa, avrebbe finito per
eclissare figure rappresentative, per la loro fermezza ed intransigenza, di
quell’universo variegato dei dissidenti, patrioti operanti in Sicilia, critici
quest’ultimi dell’Unità considerata come deliberata conquista del Sud o,
magari, malsano conseguimento di un ideale che causò disagi, malesseri e
rivoluzioni spesso colpevolmente silenziati o manipolati ad uso ideologico ( P
31).
Le pagine polemiche di Mortillaro contro
gli effetti disastrosi per il sud dello statalismo del regno Unitario,
sembrerebbero inserirsi in quella dialettica poesia- prosa presente in
innumerevoli scritti del tempo, per cui nell’ottica di Alberto Asor Rosa, “ la
nostalgia dell’età eroica … e la deprecazione della meschina età presente …
diventano quasi subito componenti fondamentali dell’atteggiamento degli
intellettuali italiani, preparando i pericolosi sviluppi successivi” ( La
cultura in Storia d’Italia, vol. iv, Torino, 1975, p. 824).
Evidentemente Mortillaro ha in comune con
costoro solo la deprecazione e non certo la nostalgia per i sommovimenti
rivoluzionari e le guerre che, a partire dalla fine del settecento, portarono
l’Italia a diventare una ed indipendente. Quando egli denuncia “ la prosa del
presente” e cioè le varie criticità dinanzi alle quali il governo centrale
mostra tutta la sua impreparazione ed inadeguatezza, non ha esitazione ad
indicare la causa nell’” innaturale” processo di unificazione.
Mortillaro nelle sue rigorose ricognizioni
sulla realtà economica del tempo, chiamava in causa le deficienze
istituzionali, la pochezza morale della classe politica e le responsabilità
amministrative nell’insostenibile aggravamento dello squilibrio economico Nord-
Sud.
Così egli finiva per toccare temi che
sarebbero stati ripresi dagli studioso più autorevoli della letteratura
meridionalistica.
Pensiamo ad Antonio Gramsci, che, nel
parlare esplicitamente di colonizzazione , faceva notare come le masse popolari
del Nord non si rendessero conto del fatto che “ l’Unità non era avvenuta su
base di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno nel rapporto
territoriale città- campagna, cioè che il Nord concretamente era una piovra che
si arricchiva alle spese del Sud” ( Lettere dal Carcere ).
E pensiamo anche a Francesco Saverio
Nitti, quando avvertiva che l’unificazione del mercato nazionale aveva
“spezzato la schiena al Mezzogiorno “ e che il trasferimento al Nord dei beni
espropriati si configurava come un autentico sacco.
Lo scenario di un’economia meridionale
depradata e dissanguata dalla rapacità onnivora dello Stao unitario, era già
stato tracciato da Mortillaroin severe considerazioni circa il gravame
economico, la pressione fiscale ed il debito pubblico che la Sicilia, rispetto
al Regno delle Due Sicilie, dove “ il ben fare è impossibile nell’attuale
periodo di progresso che cade a spron battuto verso l’abisso” (p.76 ) Il
lealismo di Mortillaro, dettato dalla convinzione del ruolo dei Borboni come garanti di uno sviluppo economico già
avviato con successo - la qualcosa trova conferma nelle ricerche di storia
economica condotte da studiosi di varia estrazione ideologica, come Milone, Capecelatro
e Carlò – non significò. precisa Romano, un miope irrigidimento su posizioni
reazionarie ma seppe aprirsi anche ad ipotesi innovative, non escludenti una
soluzione confederale da preferire al “ modello centralista e giacobino offerto
dalla conquista sabauda. Non è difficile intravedere sul contributo di Romano
l’omaggio empatico del tradizionalista di oggi, attento a non perdere di vista
i valori fondanti della politica, all’ethos, all’intelligenza critica, alla
profondità del sentimento religioso, alla sterminata varietà di interessi
cultural e scientifici, all’erudizione sempre proiettata nel presente, del
tradizionalista di ieri, che della fedeltà ai citati valori fondanti , fece una
ragione di vita.
Nel recupero memoriale delle giovanili
conversazioni con l’amico e Maestro Giuseppe Tricoli, l’Autore confessa la
propria venerazione per quell’aristocratico dal “ sentire profondo … il quale
propose, nell’arco lungo e tempestoso della sua vita, un ritratto di uomo
consapevole delle sue irrinunciabili e non negoziabili posizioni di autentico
tradizionalista nutrito dalla certezza nella fede cattolica e dalla sostanza
del Vangelo, quest’ultimo inteso sempre come verità e ammaestramento per ogni
uomo e per le genti tutte “( p.69).
Si potrebbe pensare che l’” intuizione
empatica “ da parte dello storico-biografo non faccia che inverare certe considerazioni
di Becker: “ la materialità della storia è sempre scomparsa, e i fatti della
storia, qualunque cosa fossero un tempo, sono solo immagini ideali o quadri che
lo storico compone per comprenderli … e i fatti della storia non esistono per
la storia fino a quando egli non li crea, e in ogni fatto che egli crea ha
parte la sua personale esperienza”. ( C.L. BECKER, Storiografia e politica, a
cura di V. de Caprariis, Venezia, 1962, p. 118).
Un dato innegabile è contenuto in queste
parole, quello della partecipazione diretta dello storico con il vibrante
coinvolgimento del proprio vissuto. E questo vale pure per Romano, quando
attente alla composizione del ritratto dell’aristocratico siciliano.
Sorgerà allora spontanea la domanda se non
rimanga definitivamente preclusa ogni possibilità, da parte sua, di conseguire
quell’obiettività che Marc Block, in Apologia della storia, non smette di
raccomandare pur nella consapevolezza di una sfida all’utopia, come un dovere
primario di ogni storico.
Ma la sfida di Romano all’utopia è
vincente nel momento in cui egli riesce
a contenere il proprio abbandono empatico, imponendosi tutto un sistema
di regole riconducibili proprio alla lezione delle Annales circa la visione totalizzante
della storia ed anche al nuovo orientamento storiografico affermatosi come
contestualismo. Quest’ultimo, il cui pioniere è l’inglese John Pocock, richiede
la precisa focalizzazione dei testi documentari nel loro concreto contesto
storico, esigenza, questa avvertita anche da due grandi filosofi
particolarmente cari a Romano, Martin Heidegger e l’allievo di questi Hans
Georg Gadamer ( è un aspetto su cui richiama l’attenzione Paolo Pastori, alla
notan. 20 del suo saggio introduttivo allo studio di Romano, p.29).
La ricognizione effettuata su quel “
colossale lavoro di antropologia dalle Opere e dalle Rimenbranze di Mortillaro
di giunge nell’ambito di un lavoro, direbbe Febvre, “ alla frontiera” dei vari
settori disciplinari coinvolti( antropologia storica, economia, etnostoria,
costituzionalismo, religione e senso del sacro, psicologia, tradizione orale
ecc..) . Tutto ciò nell’ottica di una
ricostruzione “ totale “ delle forme in seno alle quali si “ è espresso “
l’illustre biografato.
Ponendosi fuori dal coro dei plaudenti
alle “ magnifiche sorti e progressive” che sembravano arridere ad un’Italia
unificata sotto lo scettro sabaudo, l’aristocratico siciliano si è espresso
smascherando l’illusione annidata nel “ pensamento” di cui fu “ iniziatrice …
l’italica contrada … volendosi ad ogni costo la nazione una ed indivisa “ ( La
Fusione , in op.cit. , p. 104). Qui la sottolineatura “ad ogni costo”, stava ad
evidenziare la forzatura astratta e velleitariadi un progetto sostenuto dalla “
bramosia “ del benessere materiale ed ottusamente proiettato “ a cangiare
faccia a tutto in un momento”.
Sandra Guddo attribuisce allo studio di
Romano un valore paradigmatico sotto il profilo dell’indagine biografica,
mentre Paolo Pastori si spinge più oltre, vedendovi senza esitazione un modello
di corretta contestualizzazione per gli studiosi di storia risorgimentale : “
Ed è quanto gli storici dovrebbero fare, particolarmente in Italia, a proposito
della stria del nostro Risorgimento, purtroppo annebbiata da astrazioni e
generalizzazioni ideologiche, dicotomiche, bi-polari riduttive, della
complessità8 anzitutto interiore ai singoli personaggi o momenti storici) la
quale dovrebbe invece essere oggetto di attenta indagine, ed appunto di una
esegetica contestualizzazione “ ( p.15).
Nel porre l’accento sulla complessità del
lavoro e nel precisare che essa è “ anzitutto interiore ai singoli personaggi e
momenti storici “, Pastori coglie un merito indiscutibile di Romano, quello di
non avere trascurato, nella sua visione à part entière, la dimensione
psicologica dell’esistenza sia a livello individuale ( Vincenzo Mortillaro )
che collettivo ( il disagio delle popolazioni del Mezzogiorno nel vedere
tradite, con l’unificazione, le loro aspettative.) L’indagine introspettiva è
un tassello che non può mancare nel mosaico di una ricerca storica condotta su
basi storico- antropologiche, e questo lo hanno capito gli studiosi che si
muovono nella scia della rottura epistemologica che, secondo Lacan, Freud ha
compiuto con il passato. Senza voler dare a detta indagine quella centralità
che alcuni finiscono per darle ( pensiamo a Walter Reich che applica la sua
conoscenza clinica della struttura caratteriale umana alla scena sociale e
politica nel classico lavoro Psicologia di massa del fascismo. ) Romano sente
di non poter fare a meno di calarsi nella profondità dell’animo di Vincenzo
Mortillaro , cogliendo “ il ragionevole lamento dell’uomo male collocato”
dinanzi alla tristezza dei tempi: “ E’ veramente spiacevole e duro nascere in
epoche così sovversive ed immorali; nelle quali è impossibile trovare verità e
sentimenti, accordo tra le parole e le azioni, sicché un uomo onesto si trova
male collocato e prende, senza volerlo un grande disgudto della specie umana” (
Le false dottrine , p.27)
Eppure mai viene meno in lui la speranza
dell’avvento di tempi migliori, confortata da una fede adamantina: “ Che i
nostri figli almeno abbiano quella felicità, che il cielo a noi a da grande
tempo ricusata! E sì che la vittoria è certa pei credenti “.
Con la oculata scelta di passi, Romano
entra nella profondità dell’animo di questo grande Siciliano, manifestando
un’esigenza introspettiva che già era avvertita dallo stesso Benedetto Croce
quando, parlando delle trasformazioni che lo storico è tenuto a ricostruire,
dava particolare rilievo a quelle che avvengono “ nella profondità degli animi
… nelle virtù e nei sentimenti via via formati lungo i secoli e ancor vivi e
operosi in noi ( B. Croce La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza,
1938, p.109).
La sofferenza esistenziale di Mortillaro è
emblematica del profondo disagio che covava, in larghi strati della società
italiana, Nel rutilante clima della Belle
époche, dietro la fantasmagorica spettacolarità di sontuose feste,
imponenti parate, solenni inaugurazioni di monumenti, mostre e ricorrenze
celebrative: e questo nell’intento di trasferire “ tutto nell’uniforme universo
dell’idea nazionale “ ( N. Trangolgia , in AA. VV. Italia moderna , 1860-1900,
vol.IV, Milano, Banca Nazionale del Lavoro, 1982,p.26).
L’approccio di Romano, per la molteplicità
delle angolazioni, avviene dunque sul filo di una metodologia scientifica,
senza essere scientista, nel segno di una logica determinata, senza essere
deterministica, al riparo di quel metalinguaggio dogmatico ed astratto in cui
trovano enunciazione le presenti leggi
del divenire storico-sociale . E’ quello il metodo che connota il corpus di
ricerche che il Nostro dedica alla storia di Sicilia, nell’intento di scrostarla
dai topoi convenzionali e dalle falsità accumulatesi nel tempo. Per questo il
titolo che suggeriamo si potrebbe dare a quel corpus è “ Antistoria dei
Siciliani, considerata la forte carica polemica che fa pensare al fortunato
libro di Giordano Bruno Guerri, Antistoria degli italiani ( Milano, Mondadori,
1997). Qui il prefisso anti assume una forza contrastiva rispetto alle
manipolazioni spesso ricorrenti nelle prospettazioni anche di storici togati.
Acuta lettrice di tutta la produzione
saggistica del Nostro, Sandra Guddo non poteva trascurare “ Cafè de Maistre “,
uscito prima che si pubblicasse la sua monografia. “ Sfogliare questo libro
intenso e bellissimo, ricco di vibrazioni messianiche ed escatologiche, è come
aprire uno scrigno pieno di gioielli rari e preziosi”. ( pag.48 ).
Nell’ultimo paragrafo della sua monografia
“ I nuovi strumenti di comunicazione” , l’Autrice fornisce un opportuno
chiarimento circa il rapporto di Romano con i nuovi canali di comunicazione,
portatori di conoscenze capaci di calarsi nella rete di interstizi in cui si
articola la struttura del mondo. Romano ha colto a volo le possibilità di
crescita offerte alla Persona qualora, si faccia un corretto uso di detti mezzi
che non vanno demonizzati. Ecco perché ha dato vita ad una decina di siti, come
Thuleggi.blogspot.it; Cosmospirituale.blogspot.it e
Mosaicosmoromanoblogspot.it “ che danno
la possibilità a chiunque di usufruirne in modo gratuito e gratificante ( … )
Una sfida che Tommaso Romano ha vinto in quanto la media delle visualizzazioni
è ottima anche grazie alla qualità
degli artisti, scrittori, poeti, saggisti, filosofi, sociologi, intellettuali
che danno quotidianamente il loro contributo concettuale”( pag. 52 ).
Con i suoi blog e i suoi siti, Romano ha
così aperto un orizzonte capace di offrire infiniti spazi di libertà e di auto
espressione a quanti vogliono accedervi, mossi dalla consapevolezza che questi
ultimissimi media tecnologici sono, come aveva affermato Mc Luhan e, sulle sue
orme, il Bruner, un prolungamento ed un arricchimento dei media naturali.
Sandra V. Guddo evidenzia in tal modo la capacità di mediazione da parte di
Romano tra il luminoso retaggio del passato ed i processi mutativi che
investono tumultuosamente il versante della comunicazione. Noi avvertiamo che
la linea scelta saggiamente dal Nostro, risponde al presupposto che, come
avvertono i Grinberg, la migliore strategia per gestire i processi mutativi sia
quella di evitare “ la disintegrazione dell’oggetto totale che sta cambiando,
così che le parti che non cambiano assimilano il nuovo mantenendo la coerenza
dell’identità” ( Grinberg L - Grinberg R., Identitad y cambio, Nova Buenos Aires
1975; trad, it. Identità e cambiamento, Roma , Armando, 1992 ).
Ironica, come l’ Autrice stessa ammette,
la conclusione finale “ bloggo ergo sum” con evidente riferimento all’apertura
di Tommaso Romano alla galassia semiologica di questo nostro tempo.
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