di Luca Fumagalli
I necromanti (The necromancers), pubblicato nel 1909, a soli due anni di distanza da Il padrone del mondo, è l’unico romanzo della vasta produzione di R. H. Benson ad affrontare in senso critico-apologetico lo spiritismo.
Ambientato tra il 1901 e il 1902, il testo narra la vicenda di Laurie Baxter, ex universitario di Oxford convertito al cattolicesimo e ora tirocinante presso uno studio legale a Londra. La sua carriera sembra orientata al meglio, ma Amy Augent, la promessa sposa, muore improvvisamente e il ragazzo cade in una profonda depressione. Maggie, la sorella adottiva, cerca di aiutarlo a sostenere il peso del lutto facendo leva sulla comune appartenenza alla Chiesa di Roma. Nel frattempo Laurie viene a conoscenza di come un certo signor Vincent riesca a evocare le anime dei morti. Preso contatto con la cerchia del celebre occultista, il ragazzo partecipa ad alcune sedute giungendo in un’occasione a materializzare l’amata. Assaporata, anche se solo per un istante, la gioia di rivedere Mary, Laurie dedica tutto se stesso allo spiritismo e abbandona la pratica cristiana. Ma tutto questo ha un prezzo: tornato a casa alla vigilia di Pasqua per trascorrere le vacanze in famiglia, il giovane è chiaramente mutato; taciturno e apatico, il suo volto mostra i segni di quella creatura demoniaca che si sta lentamente impossessando di lui. Maggie, resasi conto del pericolo che corre Laurie, è costretta dalle circostanze a ingaggiare una disperata battaglia contro le forze del male potendo contare solo sull’amore che prova per il fratellastro.
I necromanti narra del conflitto tra due mondi inconciliabili – quello della Fede e della magia – che, cortocircuitando, generano i mostri di un romanzo dalle tinte cupe, che non trova paragoni in nessun’altra opera di Benson.
Il tema della narrazione era stato anticipato da alcuni articoli pubblicati dallo scrittore britannico sulle colonne del “Dublin Review”. Affrontando la questione del soprannaturale secondo il punto di vista cattolico, Benson si dichiarava certo dell’esistenza degli spiriti, capaci di incarnarsi o di offrire un’interazione vera e immediata con i vivi.
Sui pericoli dello spiritismo anche la Chiesa si è pronunciata in diversi frangenti, a partire dalla costituzione Coeli et terra Creator di Sisto V, emanata nel 1585. Le condanne si sono susseguite nel corso dei secoli e, tra l’altro, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento si possono trovare conferme in tal senso.
La Chiesa non nega in via teorica la possibilità di mettersi in contatto con i defunti attraverso pratiche magiche. Il vero problema non sono gli inganni dai ciarlatani, quanto capire che dietro tali azioni si cela il desiderio compiaciuto dell’autodivinizzazione e, non meno importante, il rischio di perdere l’anima: «Il cristianesimo definiva beati coloro che, pur non avendo visto, credevano. Lo spiritismo sosteneva che l’unica credenza ragionevole era quella che nasceva dopo aver visto». Non a caso, dopo aver istruito Laurie sulla pratica dell’evocazione, il signor Vincent schernisce la devozione cristiana: «Ciò che chiamiamo preghiera è, in realtà, un tributo che la nostra immaginazione paga alla debolezza della nostra natura umana. Segua la via più breve. Imponga la sua … la sua unicità». La via breve ipotizzata dallo spiritista è quella che conduce al deperimento fisico e mentale, alla negazione di sé e alla dannazione eterna.
Lo spiritismo era approdato in Inghilterra a metà del XIX secolo, quando dall’America giunsero alcuni famosi medium come le sorelle Fox. Il termine venne coniato da Allan Kardec che nel volume Il libro degli spiritine elaborò per la prima volta una dottrina sistematica. Lo spiritismo divenne presto un fenomeno di moda, un’opportunità per sfuggire al ferreo razionalismo dell’età vittoriana, stemperando le tensioni sociali e liberandosi dalle repressioni morali. Proprio per queste ragioni chi partecipava alle sedute non era interessato alla veridicità della natura paranormale del fenomeno, ma cercava più semplicemente lo stupore, l’evasione dalla banalità del quotidiano.
Gli incontri, che spesso si tenevano nei salotti dell’alta società, avevano come scopo quello di evocare lo spirito di un defunto. La stanza era preventivamente purificata con l’incenso e, per aiutare la concentrazione dei convenuti, luci soffuse e candele completavano l’atmosfera. La seduta era guidata da un capogruppo, un medium capace di mettersi in contatto con il mondo degli spiriti, mentre tutti gli avvenimenti erano registrati da un segretario. Non rara era anche la presenza di un medico, pronto a intervenire in caso di necessità.
Tra gli eredi e i continuatori dell’opera di Allan Kardec figura Arthur Conan Doyle, narratore e saggista, celebre per aver creato il personaggio di Sherlock Holmes, l’investigatore emblema del positivismo ottocentesco. L’incontro con lo spiritismo fu per Conan Doyle l’occasione per liberarsi dalla depressione che lo aveva colpito nei primi anni del XX secolo a causa della morte, nel giro di pochi anni, della moglie, del fratello e di altri membri della famiglia. Ben presto, in aperto contrasto con il mondo accademico del tempo, dedicò al fenomeno un romanzo, Il paese delle nebbie, e un importante studio, The History of Spiritualism, scritto e pubblicato nel 1926; a esso seguirono altri opuscoli di minore importanza sul tema della psicologia, dell’esistenza delle fate e dei presunti poteri soprannaturali di Hudini, leggendario mago americano e amico personale dello scrittore.
Queste, in sintesi, le coordinate entro cui si muove la polemica contenuta nelle pagine de I necromanti. Secondo Benson lo spiritismo può compromettere l’integrità fisica e morale di coloro che vi si accostano imprudentemente. Il pericolo della follia non è solo uno spauracchio per allontanare ingenui curiosi, ma il dramma reale di chi ha osato stuzzicare il demonio: «Lady Laura rimase in silenzio. Non era soddisfatta. Di recente si era imbattuta in uno o due casi penosi. Una ragazza molto promettente, figlia di un gestore di un pub dei sobborghi, aveva sviluppato lo stesso tipo di poteri e tutto si era concluso con una scenata terribile in Baker Street. Ora era ricoverata in un manicomio. Anche una sua amica aveva iniziato di recente a tenere delle conferenze contro il cristianesimo usando parole molto inopportune».
D’altro canto anche il signor Vincent «era conscio che questo processo presentava dei rischi» e, esattamente come accade a Laurie, «aveva visto spesso venir meno il senso etico e indebolirsi i poteri della mente».
Il giovane Baxter vive infatti nell’inganno di trovare consolazione nelle pratiche spiritiche. Pensa ingenuamente di poter resuscitare Amy facendo affidamento unicamente sulle proprie facoltà. Non solo lo sforzo è destinato a fallire – la promessa sposa si incarna solo per momenti limitati, restituendo tutt’al più un simulacro della vita reale – ma compromette anche la salute del giovane e, soprattutto, l’integrità della sua anima. Laurie si nutre di un amore egoistico, si rifiuta di scorgere nella tragedia i segni della Provvidenza; reso cieco dalla disperazione, pretende di aver ragione della natura, non rendendosi conto di essersi infilato in una spirale autodistruttiva.
Fortunatamente per lui sulla via della perdizione si affaccia Maggie. Intenzionata a salvare l’anima dell’amato, aiuta Laurie con l’apporto indispensabile del signor Catcarth, l’unico che, da ex spiritista, prende sul serio i rischi dell’occultismo: «Oh, è davvero reale. […] È proprio questo il pericolo» .
Di contro padre Mahon, il parroco locale, tratta la fanciulla con sufficienza a causa di una buona dose di scetticismo e vigliaccheria: «Non ho quasi mai incontrato un prete che prenda sul serio queste cose. In teoria, sì, ovviamente; ma non praticamente. […] E nel peggiore dei casi resta sempre il fatto che i sacerdoti hanno un enorme potere, se solo se ne rendessero conto». Il sacerdote è incapace anche solo di pensare alla possibilità di un contatto diretto tra il diavolo e l’uomo. Quando Maggie lo consulta sui pericoli dello spiritismo, l’unica risposta che ottiene è un poco rassicurante «Non credere che in tutto ci sia il diavolo» .
La polemica contro certa superficialità cattolica innanzi a questioni tanto spinose continua quando, più avanti, il signor Vincent parla con Morton, l’avvocato presso cui lavora Laurie: «Mio caro amico, ovviamente i cattolici non ci credono. Nemmeno uno su mille. Vorrei che le prendessero sul serio. È proprio questo il punto. Ma ci ridono sopra, ci ridono sopra!» .
Anche l’anziana signora Baxter, arroccata nel suo formalismo anglicano, tratta l’intera faccenda con una preoccupante leggerezza. La fede per lei inizia e termina con i libri e le convenzioni sociali, tutto il resto è irrazionale, fantasia, un magma di superstizioni appartenenti al passato che nel mondo moderno non hanno più diritto di cittadinanza: «La religione era per questa signora quel che il giardinaggio era per Meggie, salvo ovviamente il fatto che era assai importante, mentre il giardinaggio non lo era. Spesso si meravigliava che Maggie sembrasse non comprendere: ovviamente andava a messa ogni mattino, cara ragazza; ma di certo la religione era più di questo; uno dovrebbe poter rimanere due o tre ore su di un libro nel salotto, davanti al fuoco, con una matita d’argento».
Maggie si trova dunque sola contro il male che ha preso possesso di Laurie, «due anime combattevano con un nemico dalla forza sconosciuta e dai poteri inimmaginabili». Alla ragazza, che sta soccombendo sotto i colpi del demonio, in un ultimo e disperato tentativo non resta che invocare il nome di Cristo, di colui che con il proprio sacrificio ha redento l’umanità e sconfitto la morte. Davanti alla gratuità di un amore così alto e generoso, Satana crolla miseramente.
La mattina seguente Maggie osserva Laurie. Stremata, contempla con gioia il suo innamorato, finalmente libero dalla possessione e ritornato pienamente in sé: «Allora la donna parlò. “É Pasqua Laurie”» .
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