mercoledì 18 gennaio 2017

Marzio Vittorio Barcellona, "La via del dragone" (Ed. Europa edizioni)

di Guglielmo Peralta

L'invito di Marzio Vittorio Barcellona a presentare il suo romanzo mi è giunto in un momento "felice" dal punto di vista creativo e di particolare distensione, avendo io, di recente, pubblicato un saggio di estetica, che mi ha così tanto impegnato mentalmente, fisicamente e spiritualmente che, una volta portato a compimento e pubblicato, mi sono sentito come un guerriero in riposo dopo la lunga lotta fatta con le armi della parola, della concentrazione, della riflessione e della meditazione. Una grande curiosità, inoltre, ha suscitato in me il titolo del romanzo: "La via del Dragone" che richiama in parte il titolo del mio saggio: "La via dello stupore". Ho pensato che l'incontro con quest'opera di Marzio non fosse casuale, che non fosse una pura coincidenza, ma piuttosto un invito a riprendere la mia ricerca, a rimettermi in cammino verso la fonte della meraviglia come se la mia "avventura" poetica non fosse terminata e io fossi chiamato ad accogliere la ricca e straordinaria esperienza di Massimo Adorni, il protagonista del romanzo, affinché, inebriato di bellezza, potessi scalare insieme con lui il ripido versante della montagna della Conoscenza e godere, dalla più alta vetta, di una maggiore elevazione spirituale.
                  Un mistero è nelle cose che, inaspettatamente, ci vengono incontro e ci esplodono dentro con    il loro carico d'inediti significati annunciando un'epifania, una serie di rivelazioni che ci portano a una riconsiderazione del nostro essere più profondo e della nostra vita. Un po' così è stato per me questo romanzo, questo Personaggio-Guerriero, portato dal destino e dal karma ad eccellere nelle arti marziali: nell'uso del corpo bene addestrato, dell'arco, dei bastoni, dei bokken, della spada, mediante un lungo faticoso esercizio, propedeutico, preliminare alla formazione e alla "durezza" di uno spirito combattivo, in lotta con sé stesso, in grado di educere, di trarre fuori il meglio di sé, di dotarsi dell'autocontrollo, di conformarsi alle regole dell'ottuplice sentiero dettate dal Buddha ai suoi discepoli: la retta visione, la retta intenzione, la retta parola, la retta azione, il retto modo di vivere, il retto sforzo, la retta presenza mentale, la retta concentrazione per il raggiungimento della perfetta conoscenza, del perfetto risveglio. Come questo Guerriero-Sognatore è il Poeta, il quale eccelle nella scelta delle parole illuminate dalla luce buona delle idee, delle figure retoriche, dei sogni, che nutrono la realtà e nei quali abita una verità che s'intrattiene con l'essere profondo, il quale pure attende di risvegliarsi. Come il Poeta è questo "Drago Luminoso", che della potenza e della calma fa le sue migliori virtù, le quali lo guideranno in un percorso di crescita e di conoscenza, in un viaggio difficile, pericoloso e personalissimo. La lotta, il sogno, l'armonia, la pace, la verità, la saggezza sono il suo "Do", e sono la  "Via" del Poeta. Ed è questa Via che giustifica il parallelismo tra il Poeta e il Dragone. Entrambi sono una "palestra mentale", dove la lotta con i "fantasmi" interiori - le idee/immagini che il Poeta cattura e trasferisce a fatica nelle parole; le illusioni, le ansie, le lusinghe, le tentazioni, di cui il Dragone deve liberare la mente - prepara, rispettivamente, all'evento dell'opera e all'azione orientata a modificare il karma per giungere alla catarsi, alla purificazione. Massimo è un poeta del sentimento che reagisce alle avversità e alla cattiveria facendo prevalere il lato umano, rendendo manifesto il suo ideale di bellezza. C'è poesia nel romanzo. E non la contraddice il nome dell'autore, che molta ne elargisce al lettore. Infatti, se, da un lato, a Marzio Vittorio si attaglia la locuzione "Nomen omen" in quanto i due nomi evocano un destino di lotte marziali tutte vittoriose, un destino che si concretizza in Massimo, alter ego dell'autore; dall'altro lato, la frase latina si carica del significato simbolico che il Guerriero assume con l'appellativo di "Dragone". Nella cultura orientale il Drago non è una figura negativa; è simbolo di saggezza, di perseveranza; è uno spirito-guida, un guerriero che protegge. Ma il simbolo, qui, deve farsi Via per la consapevolezza, per la realizzazione del sé, per il cambiamento; deve farsi carne, azione, vita, pienezza dell'essere, Verità, Conoscenza. Affinché ciò sia possibile, Massimo, il Guerriero, deve liberare la mente dai pensieri negativi, da ogni paura, dai legami terreni mediante le tecniche di rilassamento, di concentrazione, di meditazione, ma anche educando il corpo, temprandolo con la severa disciplina del karaTe-Do, delle mani nude, cui fin da piccolo lo ha istruito il nonno; una disciplina che - scrive il nostro autore - "imponeva considerazione per gli altri, protezione per i deboli, accettazione e rispetto per le leggi della società ed omaggio all'antico codice d'onore: il Bushi Do, la Via del Guerriero". Una mente libera corrisponde ad una maggiore pace interiore. Ancora adolescente Massimo amava passeggiare per il bosco, ascoltare la natura, percepirne l'armonia, la spiritualità; sedeva in meditazione sul "tappeto di aghi di pino" o "su di una roccia con la sola compagnia del suo cane". E così, con la mente libera, si abbandonava a contemplare la vastità dell'universo e a riceverne l'energia lasciando che il suo spirito si unisse all'Assoluto. La natura, dunque, è anch'essa protagonista del romanzo e da sempre ispira i poeti segnando con la sua bellezza la via, che sulle tracce del divino conduce allo stupore e al godimento estetico. Essa è presente fin dall'incipit e accompagna il nostro Personaggio nel corso della sua vita. È lo stesso amore che nutre Siddharta, fondamentale per il suo cammino verso l'illuminazione. Al pari di Siddharta, protagonista del bellissimo romanzo breve di Hermann Hesse, il viaggio di Massimo è una ricerca e un'iniziazione alla Bellezza e la natura è la sua prima maestra. Il suo contatto, infatti, è fonte di saggezza e ispirazione e lo aiuta a comprendere la Via, ad essere uomo, ad ascoltare col proprio Essere Interiore per sentirsi parte del Tutto, del creato. Per essere - per dirla con Rilke - "spazio interiore del mondo" e abitare il proprio essere. E qui non possiamo non ricordare la lezione di Heidegger, il quale attribuisce a ich bin (io sono) il significato di io abito, che trae da buan (abitare), l'antica radice di bauen (costruire). Essere, dunque, è abitare; ed è l'atto fondamentale per ordinare e organizzare al meglio la propria vita in armonia con l'ambiente, con il mondo, con tutti gli esseri senzienti. Un sentimento precoce, di delicatezza e bontà lega Massimo alla natura che percepisce dotata di anima. All'età di sei anni "aveva immaginato l'essere che viveva in ogni pianta come un essere senziente desideroso di cure, amore ed amicizia". Dunque, egli obbediva, senza averne consapevolezza, al primo dei cinque ordini morali della dottrina buddista, da seguire per risanare tutte le piaghe del mondo moderno, e l'ordine è di evitare di fare volontariamente del male a qualsiasi essere senziente.
       Tutto questo è poesia. Massimo cresce con quest'animo poetico, sensibile, ma la sua poesia deve fare i conti con la sofferenza fisica e psicologica e con il karma ereditato da una vita passata, la quale gli si rivela progressivamente in un sogno misterioso e ricorrente, che lo metterà in cammino alla ricerca della verità, per acquistare consapevolezza della propria colpa e del proprio destino, per rinascere, per rigenerarsi, per guarire e salvarsi. Scrive, a tale proposito, il nostro autore: "Ad ognuno di noi è dato, nella vita, di percorrere uno specifico cammino ed assolvere ad un preciso compito, verso il quale siamo indirizzati fin dalla fanciullezza (...) Certe volte smarriamo il cammino, traviati dal lato oscuro che è in ognuno di noi, così che la meta diventa difficile da raggiungere. Altre volte ancora, occorrono più esistenze anche solo per comprendere lo scopo del viaggio che siamo stati chiamati a compiere". C'è, in queste parole, il fulcro del romanzo e della dottrina del buddhismo. Tutta la vicenda del nostro Personaggio è incardinata sul mistero, il quale, mentre per gli occidentali è qualcosa che non appartiene alla loro vita, che non agisce direttamente sulla loro psiche, ma è solo una domanda senza risposta sul senso universale dell'esistenza, per i buddisti, invece, è il "lato oscuro" che è in loro; un tarlo che rode la mente; che abita e governa la vita di ogni individuo; fonte di malessere psicofisico, di preoccupazione, di ansia. È questo intimo mistero che muove Massimo alla ricerca della verità segreta; che fa di lui un MingLong, un "Drago Luminoso", pronto a rischiarare quell' "oscurità" che gli impedisce di abitare il proprio "essere" e diventare padrone della propria vita. A questo volge il cammino, alla comprensione, che sola può sciogliere il nodo karmico contratto nella vita precedente. Ed è questa vita che lo chiama, che gli chiede in sogno di riscattarla e di risvegliarsi.  
          Dal nome ci rendiamo conto che il Protagonista del romanzo è un italiano. E in Italia prende avvio ed è ambientata per buona parte la vicenda, che si sviluppa anche in Giappone, in Cina e in Corea. Sorprende che un tema del genere, intriso di cultura buddista e Zen, aderisca così bene al nostro Personaggio fino a occuparne l'anima e la mente, quasi egli fosse nativo di quelle terre e radicato nella dottrina e nella tradizione orientali. Siamo abituati a vedere agire samurai e Guerrieri- Dragoni in romanzi, quali, ad esempio, "Young Samurai - La via del Guerriero", di Chris Bradford;  in film ambientati in Giappone e aventi come protagonisti eroi locali, e a seguire storie del Buddha e d'iniziazione ascetica tipiche della cultura indiana. Perciò ci incuriosisce, almeno inizialmente, questo Guerriero italiano; nutriamo qualche perplessità sul fatto che la cultura orientale possa fare presa su una mentalità e su un'anima occidentale. Infatti, lo stesso autore dichiara che Massimo, il quale, oltre alle arti marziali, ha abbracciato la medicina orientale di cui pratica i sistemi terapeutici, all'inizio della seconda settimana di lezioni "si scontrava già con le peggiori tare della mentalità occidentale: la diffidenza, la pigrizia fisica e mentale, l'abulia, l'indifferenza, lo scetticismo, la critica continua verso gli altri, l'invidia, la smania di possesso e l'insicurezza economica; atteggiamenti inculcati, fin da bambini, dalle cattive dottrine della società del consumismo in cui viviamo". Inoltre, per quanto riguarda le arti marziali, Massimo si sentirà inadeguato a seguire una disciplina per la quale potrà essere criticato non solo dagli orientali, ma soprattutto dagli occidentali che non potranno mai capirlo e che - come dirà il Maestro Namikashi - lo considerano "uno stolto che ha sprecato la propria esistenza". Massimo è un puro "folle". Egli arriverà ad avvertire "la grande spiritualità" dei luoghi della natura e proverà amore "per tutto ciò che incontra, per le rocce, per gli alberi e le creature che in essi dimorano, per gli animali e perfino per gli uomini accecati dai propri bisogni". Il suo è un amore cosmico, francescano. E qui s'incontrano l'etica occidentale e quella orientale: segno che la religione del cuore non conosce confini ma abbraccia l'intero universo. Egli è simile a Parsifal alla ricerca del Graal: la sacra coppa, cui attingere la Conoscenza Suprema, la profonda consapevolezza di sé. E la ricerca è per lui il "Do", la Via del Dragone, riservata a pochissimi eletti come lui. Il suo Graal è il potere latente, il Ki, l'Energia interiore che imita l'Energia dell'Universo e armonizza la mente e il corpo.
        Rimasto orfano, all'età di tre anni, di entrambi i genitori, morti in un incidente d'auto dove egli è rimasto miracolosamente illeso, è stato educato dai nonni ai valori dello spirito, e crescendo ha mantenuto il candore dell'innocenza. Tuttavia, egli è figlio del nostro tempo, della civiltà tecnologica, di una società malata di potere, di fanatismo religioso, di bullismo, dedita al possesso e al consumismo, votata agli eccessi e alle trasgressioni, incurante di osservare quei cinque ordini morali della dottrina buddista cui egli era stato educato e che imponevano, oltre al rispetto e all'amore verso tutti gli esseri senzienti, di "annullare l'illusione del possesso, rispettando le proprietà altrui, ed essere disposti alla generosità, di evitare i comportamenti morbosi connessi ai desideri, quello sessuale prima di tutti, evitare di criticare gli altri, di esprimere giudizi negativi  controllando la parola scritta e pronunciata che può uccidere, può essere più tagliente di una lama, e, infine, alimentarsi in maniera sana, evitando alcol, sostanze inebrianti, tossiche, tabacco, droghe". Anche per un puro, come Massimo, non mancano, dunque, le tentazioni, il rischio della caduta nel vortice dei paradisi artificiali e delle seduzioni, anche tecnologiche, in cui la vita è diventata maestra alla cattiva scuola degli uomini, succubi e schiavi dei loro stessi marchingegni infernali.
        Nel suo viaggio non è solo. Gli è fedele compagno l'amico Yuici, giapponese, nipote del Maestro Nakata, dal quale Massimo apprende i primi rudimenti delle Arti Marziali. Successivamente frequenta la Scuola Tao Shu, dell'arte del combattimento, con la guida del Maestro Namikashi e impara a diventare forte allenando anche l'anima. Contemporaneamente alle lezioni di lotta segue gli studi di medicina orientale diventando esperto nelle tecniche di riflessologia, nello Shiatsu, nell'agopuntura, in omeopatia. Egli, dunque, oltre alla passione per le arti marziali nutre un grande interesse per la medicina non convenzionale, basata sui principi naturali, perché crede nella forza guaritrice della natura. A Massimo sta a cuore la guarigione, l'aiuto che può dare agli altri alleviando le sofferenze del corpo. Da buon guerriero della luce egli ricerca incessantemente l'amore di qualcuno. E l'amore si presenta nella figura di Caterina, sua compagna di liceo, che ritroverà dopo averla persa di vista e finirà per sposare dopo che ella si sarà separata dal marito, e con la quale avrà due figli. Tanti altri personaggi popolano questo romanzo, molti dei quali sono antagonisti, nemici e lottatori che il nostro Guerriero affronterà in occasioni diverse e in tornei uscendone sempre vittorioso.
        Non stiamo qui a svelare il finale, cui si arriva dopo una serie di sorprese e colpi di scena. Fin dal prologo, l'autore ci porta nel cuore della vicenda, a un antefatto che dà avvio alla narrazione, la quale procede "velatamente", con un'aria di mistero che è trasversale a tutto il romanzo, dove quell'evento passato diventa motivo dominante e racconto, nella forma del sogno, dentro il più vasto racconto della vita presente e reale di Massimo Adorni. Si tratta, lo abbiamo accennato all'inizio, della rivelazione di una vita precedente che getta Massimo nell'angoscia, lo turba profondamente presentandosi come qualcosa che si sottrae alla sua comprensione e che egli non desidera e non accetta. In quel sogno egli avverte qualcosa di familiare; intuisce che le visioni che lo agitano scaturiscono dal profondo della sua anima e, infine, ha la netta sensazione di essere stato chiamato per completare "qualcosa che era cominciato quattro secoli prima, in una vita passata". È chiaro che siamo in presenza di una reincarnazione, in linea con la dottrina filosofica del buddhismo e che la vita di Massimo, lungi dall'essere contingente, è necessariamente destinata e condizionata da un'esistenza precedente non esente dai processi del karma, per la cui risoluzione necessita una nuova vita. Massimo è il risvegliato - nel senso qui di essere rinato - che però deve acquistare consapevolezza del proprio compito, deve fare  luce dentro le tenebre in cui ha smarrito il contatto con sé stesso. E se «La Via della luce appare oscura» - come afferma l'antico filosofo cinese Laozi (o Lao Tse) -  egli deve agire e fare le sue scelte conformi al proprio modo di essere, perché - scrive Barcellona in epigrafe - «sono le azioni compiute e le scelte fatte, a fare un uomo». E di un uomo - aggiungo con Paulo Coelho - un "guerriero della luce", il quale deve avere «il coraggio di guardare le ombre della propria anima» sapendo che «l'Universo intero trama a favore di ciò che desideriamo».[1] Anche qui c'è poesia. D'altra parte, il "viaggio" di Massimo Adorni è la grande metafora della ricerca interiore, volta ad approdare alla Conoscenza suprema, a raggiungere e realizzare il benessere psicofisico, l'armonia tra la mente e il corpo legata ai ritmi naturali, a liberare dalla sofferenza e porre termine al samsāra, al ciclo delle rinascite, per risvegliarsi a una nuova condizione esistenziale che trascenda i confini dell'io e trovi pace  e compiutezza nel legame con gli altri e con l'universo. La Via del Dragone è la Via della Poesia, che mette d'accordo tutte le religioni e tutti gli ateismi e dà senso e valore alla vita. Ed è la grande Bellezza di quell'unico spazio interiore del mondo che lega interno ed esterno, che abbraccia tutti gli esseri senzienti e non senzienti e che - per dirla con Rilke - è anche la nostra interiorità, sì che possiamo percepire il volo degli uccelli dentro di noi e vedere crescere in noi l'albero che sta fuori. Nella bellezza c'è tutto lo stupore di cui dobbiamo riempirci la mente e gli occhi. Un tale ammaestramento troviamo già nelle prime pagine del libro, e sono parole che esaltano la natura, nella poesia del "sogno" che fa da prologo: "Non lasciare che la noia della fatica chiuda la tua mente alle meraviglie che incontriamo". Insomma, il romanzo, nonostante le sue quattrocento pagine, molte delle quali sono teatro di lotte di Karate, di combattimenti e duelli, anche violenti, con tanto di bokken, spada, pugnale, scorre con grande leggerezza arricchito da sontuose descrizioni di paesaggi che sembrano immersi in una luce magica, tanto sono idealizzati, spiritualizzati, animati. Gli alberi, soprattutto, sono figure emblematiche della vita naturale e hanno una funzione epifanica, il potere di suscitare in Massimo ricordi e riflessioni e d'invitarlo alla meditazione. Un solenne silenzio sovrasta e ammanta i luoghi e i personaggi di primo piano (Massimo, Yuici, Caterina, i Maestri Nakata e Namikashi) perché una segreta saggezza custodisce e ispira la natura e una voce interiore parla nei dialoghi.
          Marzio Vittorio Barcellona si rivela un maestro nel caratterizzare i suoi personaggi la cui descrizione si fa specchio della loro anima rivelandone la personalità, le inclinazioni, i turbamenti, la lotta interiore, le delusioni, le aspettative, le passioni, la generosità. Egli, inoltre, fornisce una ricca terminologia, relativa agli ambiti specifici delle discipline buddista e Zen, che consente un approccio linguistico, semantico e cognitivo a queste filosofie sollecitandone l'interesse e lo studio. E ancora, il romanzo ci riserva pagine che potrebbero costituire un manuale della salute fisica e mentale da promuovere e tutelare mediante la medicina non convenzionale, naturale. Barcellona ci "istruisce", ampiamente, sui sistemi terapeutici dell'omeopatia, che, come abbiamo visto, vengono insegnati e praticati da Massimo, il quale fonderà una nuova "Scuola di Medicina Orientale" insieme con i suoi amici e Caterina nel grande villaggio che accoglierà anche le abitazioni della sua famiglia, di quella di Yuici, del Maestro Namikashi e del Dottor Chang Zong Feng.
          Quando la vicenda sembra volgere alla fine lasciando prevedere il riposo del guerriero, il quale avverte "per la prima volta attorno a sé l'amore di una vera famiglia", l'autore ci riserva l'ultimo colpo di scena, che ci tiene in grande suspense, facendoci vivere quella spannung, quel momento di massima tensione, tipica dei migliori racconti di magia, cui segue lo scioglimento finale. E qui concludo senza nulla svelare per non togliere il piacere della lettura.


[1] Paulo Coelho, Manuale del guerriero della luce

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