di Guglielmo Peralta
L'invito di Marzio Vittorio Barcellona a
presentare il suo romanzo mi è giunto in un momento "felice" dal
punto di vista creativo e di particolare distensione, avendo io, di recente,
pubblicato un saggio di estetica, che mi ha così tanto impegnato mentalmente,
fisicamente e spiritualmente che, una volta portato a compimento e pubblicato,
mi sono sentito come un guerriero in riposo dopo la lunga lotta fatta con le
armi della parola, della concentrazione, della riflessione e della meditazione.
Una grande curiosità, inoltre, ha suscitato in me il titolo del romanzo: "La
via del Dragone" che richiama in parte il titolo del mio saggio: "La
via dello stupore". Ho pensato che l'incontro con quest'opera di Marzio
non fosse casuale, che non fosse una pura coincidenza, ma piuttosto un invito a
riprendere la mia ricerca, a rimettermi in cammino verso la fonte della
meraviglia come se la mia "avventura" poetica non fosse terminata e
io fossi chiamato ad accogliere la ricca e straordinaria esperienza di Massimo
Adorni, il protagonista del romanzo, affinché, inebriato di bellezza, potessi
scalare insieme con lui il ripido versante della montagna della Conoscenza e
godere, dalla più alta vetta, di una maggiore elevazione spirituale.
Un mistero è nelle cose che,
inaspettatamente, ci vengono incontro e ci esplodono dentro con il loro carico d'inediti significati
annunciando un'epifania, una serie di rivelazioni che ci portano a una
riconsiderazione del nostro essere più profondo e della nostra vita. Un po'
così è stato per me questo romanzo, questo Personaggio-Guerriero, portato dal
destino e dal karma ad eccellere nelle arti marziali: nell'uso del corpo bene
addestrato, dell'arco, dei bastoni, dei bokken, della spada, mediante un lungo
faticoso esercizio, propedeutico, preliminare alla formazione e alla "durezza"
di uno spirito combattivo, in lotta con sé stesso, in grado di educere, di trarre fuori il meglio di
sé, di dotarsi dell'autocontrollo, di conformarsi alle regole dell'ottuplice
sentiero dettate dal Buddha ai suoi discepoli: la retta visione, la retta intenzione, la
retta parola, la retta azione, il retto modo di vivere, il retto sforzo, la
retta presenza mentale, la retta concentrazione per il raggiungimento della
perfetta conoscenza, del perfetto risveglio. Come questo
Guerriero-Sognatore è il Poeta, il quale eccelle nella scelta delle parole
illuminate dalla luce buona delle idee, delle figure retoriche, dei sogni, che
nutrono la realtà e nei quali abita una verità che s'intrattiene con l'essere
profondo, il quale pure attende di risvegliarsi. Come il Poeta è questo
"Drago Luminoso", che della potenza e della calma fa le sue migliori
virtù, le quali lo guideranno in un percorso di crescita e di conoscenza, in un
viaggio difficile, pericoloso e personalissimo. La lotta, il sogno, l'armonia,
la pace, la verità, la saggezza sono il suo "Do", e sono la "Via" del Poeta. Ed è questa Via
che giustifica il parallelismo tra il Poeta e il Dragone. Entrambi sono una
"palestra mentale", dove la lotta con i "fantasmi"
interiori - le idee/immagini che il Poeta cattura e trasferisce a fatica nelle
parole; le illusioni, le ansie, le lusinghe, le tentazioni, di cui il Dragone
deve liberare la mente - prepara, rispettivamente, all'evento dell'opera e
all'azione orientata a modificare il karma per giungere alla catarsi, alla
purificazione. Massimo è un poeta del sentimento che reagisce alle avversità e
alla cattiveria facendo prevalere il lato umano, rendendo manifesto il suo
ideale di bellezza. C'è poesia nel romanzo. E non la contraddice il nome
dell'autore, che molta ne elargisce al lettore. Infatti, se, da un lato, a
Marzio Vittorio si attaglia la locuzione "Nomen omen" in quanto i due
nomi evocano un destino di lotte marziali tutte vittoriose, un destino che si
concretizza in Massimo, alter ego
dell'autore; dall'altro lato, la frase latina si carica del significato
simbolico che il Guerriero assume con l'appellativo di "Dragone".
Nella cultura orientale il Drago non è una figura negativa; è simbolo di
saggezza, di perseveranza; è uno spirito-guida, un guerriero che protegge. Ma
il simbolo, qui, deve farsi Via per
la consapevolezza, per la
realizzazione del sé, per il
cambiamento; deve farsi carne, azione, vita, pienezza dell'essere, Verità,
Conoscenza. Affinché ciò sia possibile, Massimo, il Guerriero, deve liberare la
mente dai pensieri negativi, da ogni paura, dai legami terreni mediante le
tecniche di rilassamento, di concentrazione, di meditazione, ma anche educando
il corpo, temprandolo con la severa disciplina del karaTe-Do, delle mani nude,
cui fin da piccolo lo ha istruito il nonno; una disciplina che - scrive il
nostro autore - "imponeva considerazione per gli altri, protezione per i
deboli, accettazione e rispetto per le leggi della società ed omaggio
all'antico codice d'onore: il Bushi Do, la Via del Guerriero". Una mente
libera corrisponde ad una maggiore pace interiore. Ancora adolescente Massimo
amava passeggiare per il bosco, ascoltare la natura, percepirne l'armonia, la
spiritualità; sedeva in meditazione sul "tappeto di aghi di pino" o
"su di una roccia con la sola compagnia del suo cane". E così, con la
mente libera, si abbandonava a contemplare la vastità dell'universo e a
riceverne l'energia lasciando che il suo spirito si unisse all'Assoluto. La
natura, dunque, è anch'essa protagonista del romanzo e da sempre ispira i poeti
segnando con la sua bellezza la via, che sulle tracce del divino conduce allo
stupore e al godimento estetico. Essa è presente fin dall'incipit e accompagna
il nostro Personaggio nel corso della sua vita. È lo stesso amore che nutre
Siddharta, fondamentale per il suo cammino verso l'illuminazione. Al pari di
Siddharta, protagonista del bellissimo romanzo breve di Hermann Hesse, il
viaggio di Massimo è una ricerca e un'iniziazione alla Bellezza e la natura è
la sua prima maestra. Il suo contatto, infatti, è fonte di saggezza e
ispirazione e lo aiuta a comprendere la Via, ad essere uomo, ad ascoltare col
proprio Essere Interiore per sentirsi parte del Tutto, del creato. Per essere -
per dirla con Rilke - "spazio interiore del mondo" e abitare il proprio essere. E qui non possiamo non ricordare la lezione di Heidegger,
il quale attribuisce a ich bin (io
sono) il significato di io abito, che
trae da buan (abitare), l'antica
radice di bauen (costruire). Essere, dunque, è abitare; ed è l'atto
fondamentale per ordinare e organizzare al meglio la propria vita in armonia
con l'ambiente, con il mondo, con tutti gli esseri senzienti. Un sentimento
precoce, di delicatezza e bontà lega Massimo alla natura che percepisce dotata di
anima. All'età di sei anni "aveva immaginato l'essere che viveva in ogni
pianta come un essere senziente desideroso di cure, amore ed amicizia".
Dunque, egli obbediva, senza averne consapevolezza, al primo dei cinque ordini
morali della dottrina buddista, da seguire per risanare tutte le piaghe del
mondo moderno, e l'ordine è di evitare di fare volontariamente del male a
qualsiasi essere senziente.
Tutto questo è poesia. Massimo
cresce con quest'animo poetico, sensibile, ma la sua poesia deve fare i conti
con la sofferenza fisica e psicologica e con il karma ereditato da una vita
passata, la quale gli si rivela progressivamente in un sogno misterioso e
ricorrente, che lo metterà in cammino alla ricerca della verità, per acquistare consapevolezza della propria colpa e
del proprio destino, per rinascere, per rigenerarsi, per guarire e salvarsi.
Scrive, a tale proposito, il nostro autore: "Ad ognuno di noi è dato,
nella vita, di percorrere uno specifico cammino ed assolvere ad un preciso
compito, verso il quale siamo indirizzati fin dalla fanciullezza (...) Certe
volte smarriamo il cammino, traviati dal lato oscuro che è in ognuno di noi,
così che la meta diventa difficile da raggiungere. Altre volte ancora,
occorrono più esistenze anche solo per comprendere lo scopo del viaggio che
siamo stati chiamati a compiere". C'è, in queste parole, il fulcro del romanzo
e della dottrina del buddhismo. Tutta la vicenda del nostro Personaggio è
incardinata sul mistero, il quale, mentre per gli occidentali è qualcosa che
non appartiene alla loro vita, che non agisce direttamente sulla loro psiche,
ma è solo una domanda senza risposta sul senso universale dell'esistenza, per i
buddisti, invece, è il "lato oscuro" che è in loro; un tarlo che rode
la mente; che abita e governa la vita di ogni individuo; fonte di malessere
psicofisico, di preoccupazione, di ansia. È questo intimo mistero che muove
Massimo alla ricerca della verità segreta; che fa di lui un MingLong, un
"Drago Luminoso", pronto a rischiarare quell' "oscurità"
che gli impedisce di abitare il proprio "essere" e diventare padrone
della propria vita. A questo volge il cammino, alla comprensione, che sola può
sciogliere il nodo karmico contratto nella vita precedente. Ed è questa vita
che lo chiama, che gli chiede in sogno di riscattarla e di risvegliarsi.
Dal nome ci rendiamo conto che il
Protagonista del romanzo è un italiano. E in Italia prende avvio ed è
ambientata per buona parte la vicenda, che si sviluppa anche in Giappone, in
Cina e in Corea. Sorprende che un tema del genere, intriso di cultura buddista
e Zen, aderisca così bene al nostro Personaggio fino a occuparne l'anima e la
mente, quasi egli fosse nativo di quelle terre e radicato nella dottrina e
nella tradizione orientali. Siamo abituati a vedere agire samurai e Guerrieri-
Dragoni in romanzi, quali, ad esempio, "Young Samurai - La via del
Guerriero", di Chris Bradford; in
film ambientati in Giappone e aventi come protagonisti eroi locali, e a seguire
storie del Buddha e d'iniziazione ascetica tipiche della cultura indiana.
Perciò ci incuriosisce, almeno inizialmente, questo Guerriero italiano;
nutriamo qualche perplessità sul fatto che la cultura orientale possa fare
presa su una mentalità e su un'anima occidentale. Infatti, lo stesso autore
dichiara che Massimo, il quale, oltre alle arti marziali, ha abbracciato la
medicina orientale di cui pratica i sistemi terapeutici, all'inizio della
seconda settimana di lezioni "si scontrava già con le peggiori tare della
mentalità occidentale: la diffidenza, la pigrizia fisica e mentale, l'abulia,
l'indifferenza, lo scetticismo, la critica continua verso gli altri, l'invidia,
la smania di possesso e l'insicurezza economica; atteggiamenti inculcati, fin
da bambini, dalle cattive dottrine della società del consumismo in cui
viviamo". Inoltre, per quanto riguarda le arti marziali, Massimo si sentirà
inadeguato a seguire una disciplina per la quale potrà essere criticato non
solo dagli orientali, ma soprattutto dagli occidentali che non potranno mai
capirlo e che - come dirà il Maestro Namikashi - lo considerano "uno
stolto che ha sprecato la propria esistenza". Massimo è un puro
"folle". Egli arriverà ad avvertire "la grande
spiritualità" dei luoghi della natura e proverà amore "per tutto ciò
che incontra, per le rocce, per gli alberi e le creature che in essi dimorano,
per gli animali e perfino per gli uomini accecati dai propri bisogni". Il
suo è un amore cosmico, francescano. E qui s'incontrano l'etica occidentale e
quella orientale: segno che la religione del cuore non conosce confini ma
abbraccia l'intero universo. Egli è simile a Parsifal alla ricerca del Graal:
la sacra coppa, cui attingere la Conoscenza Suprema, la profonda consapevolezza
di sé. E la ricerca è per lui il "Do", la Via del Dragone, riservata
a pochissimi eletti come lui. Il suo Graal è il potere latente, il Ki,
l'Energia interiore che imita l'Energia dell'Universo e armonizza la mente e il corpo.
Rimasto orfano, all'età di tre anni, di
entrambi i genitori, morti in un incidente d'auto dove egli è rimasto
miracolosamente illeso, è stato educato dai nonni ai valori dello spirito, e
crescendo ha mantenuto il candore dell'innocenza. Tuttavia, egli è figlio del
nostro tempo, della civiltà tecnologica, di una società malata di potere, di
fanatismo religioso, di bullismo, dedita al possesso e al consumismo, votata
agli eccessi e alle trasgressioni, incurante di osservare quei cinque ordini
morali della dottrina buddista cui egli era stato educato e che imponevano,
oltre al rispetto e all'amore verso tutti gli esseri senzienti, di
"annullare l'illusione del possesso, rispettando le proprietà altrui, ed
essere disposti alla generosità, di evitare i comportamenti morbosi connessi ai
desideri, quello sessuale prima di tutti, evitare di criticare gli altri, di
esprimere giudizi negativi controllando
la parola scritta e pronunciata che può uccidere, può essere più tagliente di
una lama, e, infine, alimentarsi in maniera sana, evitando alcol, sostanze
inebrianti, tossiche, tabacco, droghe". Anche per un puro, come Massimo,
non mancano, dunque, le tentazioni, il rischio della caduta nel vortice dei
paradisi artificiali e delle seduzioni, anche tecnologiche, in cui la vita è
diventata maestra alla cattiva scuola degli uomini, succubi e schiavi dei loro
stessi marchingegni infernali.
Nel suo viaggio non è solo. Gli è
fedele compagno l'amico Yuici, giapponese, nipote del Maestro Nakata, dal quale
Massimo apprende i primi rudimenti delle Arti Marziali. Successivamente
frequenta la Scuola Tao Shu, dell'arte del combattimento, con la guida del
Maestro Namikashi e impara a diventare forte allenando anche l'anima.
Contemporaneamente alle lezioni di lotta segue gli studi di medicina orientale
diventando esperto nelle tecniche di riflessologia, nello Shiatsu,
nell'agopuntura, in omeopatia. Egli, dunque, oltre alla passione per le arti marziali nutre un grande interesse per la
medicina non convenzionale, basata sui principi naturali, perché crede nella
forza guaritrice della natura. A Massimo sta a cuore la guarigione, l'aiuto che
può dare agli altri alleviando le sofferenze del corpo. Da buon guerriero della
luce egli ricerca incessantemente l'amore di qualcuno. E l'amore si presenta
nella figura di Caterina, sua compagna di liceo, che ritroverà dopo averla
persa di vista e finirà per sposare dopo che ella si sarà separata dal marito,
e con la quale avrà due figli. Tanti altri personaggi popolano questo romanzo,
molti dei quali sono antagonisti, nemici e lottatori che il nostro Guerriero
affronterà in occasioni diverse e in tornei uscendone sempre vittorioso.
Non stiamo qui a svelare il finale, cui
si arriva dopo una serie di sorprese e colpi di scena. Fin dal prologo,
l'autore ci porta nel cuore della vicenda, a un antefatto che dà avvio alla
narrazione, la quale procede "velatamente", con un'aria di mistero
che è trasversale a tutto il romanzo, dove quell'evento passato diventa motivo
dominante e racconto, nella forma del sogno, dentro il più vasto racconto della
vita presente e reale di Massimo Adorni. Si tratta, lo abbiamo accennato
all'inizio, della rivelazione di una vita precedente che getta Massimo
nell'angoscia, lo turba profondamente presentandosi come qualcosa che si
sottrae alla sua comprensione e che egli non desidera e non accetta. In quel
sogno egli avverte qualcosa di familiare; intuisce che le visioni che lo
agitano scaturiscono dal profondo della sua anima e, infine, ha la netta
sensazione di essere stato chiamato per completare "qualcosa che era
cominciato quattro secoli prima, in una vita passata". È chiaro che siamo
in presenza di una reincarnazione, in linea con la dottrina filosofica del
buddhismo e che la vita di Massimo, lungi dall'essere contingente, è
necessariamente destinata e
condizionata da un'esistenza precedente non esente dai processi del karma, per
la cui risoluzione necessita una nuova vita. Massimo è il risvegliato - nel senso
qui di essere rinato - che però deve
acquistare consapevolezza del proprio compito, deve fare luce dentro le tenebre in cui ha smarrito il
contatto con sé stesso. E se «La Via della luce appare oscura» - come afferma
l'antico filosofo cinese Laozi (o Lao Tse) -
egli deve agire e fare le sue scelte conformi al proprio modo di essere,
perché - scrive Barcellona in epigrafe - «sono le azioni compiute e le scelte
fatte, a fare un uomo». E di un uomo - aggiungo con Paulo Coelho - un
"guerriero della luce", il quale deve avere «il coraggio di guardare
le ombre della propria anima» sapendo che «l'Universo intero trama a favore di
ciò che desideriamo».[1]
Anche qui c'è poesia. D'altra parte, il "viaggio" di Massimo Adorni è
la grande metafora della ricerca interiore, volta ad approdare alla Conoscenza
suprema, a raggiungere e realizzare il benessere psicofisico, l'armonia tra la
mente e il corpo legata ai ritmi naturali, a liberare dalla sofferenza e porre
termine al samsāra, al ciclo delle rinascite, per
risvegliarsi a una nuova condizione esistenziale che trascenda i confini
dell'io e trovi pace e compiutezza nel
legame con gli altri e con l'universo. La Via del Dragone è la Via della
Poesia, che mette d'accordo tutte le religioni e tutti gli ateismi e dà senso e
valore alla vita. Ed è la grande Bellezza di quell'unico spazio interiore del mondo
che lega interno ed esterno, che abbraccia tutti gli esseri senzienti e non
senzienti e che - per dirla con Rilke - è anche la nostra interiorità, sì che possiamo percepire il volo degli uccelli dentro
di noi e vedere crescere in noi l'albero che sta fuori. Nella bellezza c'è
tutto lo stupore di cui dobbiamo riempirci la mente e gli occhi. Un tale
ammaestramento troviamo già nelle prime pagine del libro, e sono parole che
esaltano la natura, nella poesia del "sogno" che fa da prologo:
"Non lasciare che la noia della fatica chiuda la tua mente alle meraviglie
che incontriamo". Insomma, il romanzo, nonostante le sue quattrocento
pagine, molte delle quali sono teatro di lotte di Karate, di combattimenti e
duelli, anche violenti, con tanto di bokken, spada, pugnale, scorre con grande
leggerezza arricchito da sontuose descrizioni di paesaggi che sembrano immersi
in una luce magica, tanto sono idealizzati, spiritualizzati, animati. Gli
alberi, soprattutto, sono figure emblematiche della vita naturale e hanno una
funzione epifanica, il potere di suscitare in Massimo ricordi e riflessioni e
d'invitarlo alla meditazione. Un solenne silenzio sovrasta e ammanta i luoghi e
i personaggi di primo piano (Massimo, Yuici, Caterina, i Maestri Nakata e
Namikashi) perché una segreta saggezza custodisce e ispira la natura e una voce
interiore parla nei dialoghi.
Marzio Vittorio Barcellona si rivela
un maestro nel caratterizzare i suoi personaggi la cui descrizione si fa
specchio della loro anima rivelandone la personalità, le inclinazioni, i
turbamenti, la lotta interiore, le delusioni, le aspettative, le passioni, la
generosità. Egli, inoltre, fornisce una ricca terminologia, relativa agli
ambiti specifici delle discipline buddista e Zen, che consente un approccio
linguistico, semantico e cognitivo a queste filosofie sollecitandone
l'interesse e lo studio. E ancora, il romanzo ci riserva pagine che potrebbero
costituire un manuale della salute fisica e mentale da promuovere e tutelare
mediante la medicina non convenzionale, naturale. Barcellona ci
"istruisce", ampiamente, sui sistemi terapeutici dell'omeopatia, che,
come abbiamo visto, vengono insegnati e praticati da Massimo, il quale fonderà
una nuova "Scuola di Medicina Orientale" insieme con i suoi amici e
Caterina nel grande villaggio che accoglierà anche le abitazioni della sua
famiglia, di quella di Yuici, del Maestro Namikashi e del Dottor Chang Zong
Feng.
Quando la vicenda sembra volgere alla
fine lasciando prevedere il riposo del guerriero, il quale avverte "per la
prima volta attorno a sé l'amore di una vera famiglia", l'autore ci riserva
l'ultimo colpo di scena, che ci tiene in grande suspense, facendoci vivere quella spannung, quel momento di massima tensione, tipica dei migliori
racconti di magia, cui segue lo scioglimento finale. E qui concludo senza nulla
svelare per non togliere il piacere della lettura.
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