di Domenico Bonvegna
Ci sono tanti motivi per leggere un
libro, tra questi c'è sicuramente quello di poter arricchire le proprie
conoscenze, i propri studi. Ma leggere il “Pioniere. Leonardo
Murialdo tra i giovani e mondo operaio”, di Pier Giuseppe Accornero,
edizioni Paoline (1992), non è solo questione di conoscenza, ma rappresenta un
testo che può essere utile a chi opera nel sociale, nel campo educativo. Il
testo sul grande santo torinese dà ottime risposte all'emergenza educativa che
rimane, anche se lo ignoriamo, la questione delle questioni.
Accornero, sacerdote torinese
presenta in soli 300 pagine la poliedrica figura di San Leonardo Murialdo,
vissuto in pieno Ottocento nella capitale sabauda sotto il Regno di Sardegna,
nella società borghese liberale e massonica.
Dalla tavola cronologica, il lettore
percepisce la straordinarietà delle opere che il santo ha compiuto in tutta la
sua vita. Fu un pioniere in moltissimi campi della religiosità popolare, della
formazione dei giovani, della sociologia cristiana e questo per un sacerdote
rappresenta la normalità. Ma Murialdo, fu anche un pioniere nel sociale: fu
promotore dell'apostolato sociale, difensore della classe lavoratrice,
animatore della stampa cattolica e fondatore di un istituto religioso, la
congregazione di San Giuseppe.
Murialdo“è il più torinese, e
anche il più moderno – per nascita, mentalità, temperamento, formazione e
realizzazioni - fra i santi e i beati che nella prima capitale d'Italia hanno
vissuto e lavorato”. Esiste una copiosa letteratura sui tanti sacerdoti,
laici e vescovi che hanno ben operato in quel periodo a Torino. A questo
proposito, il compianto monsignor Franco Peradotto, vicario episcopale e
generale, e per una vita direttore de “La Voce del popolo” ha scritto
che si può parlare di una vera e propria“santità torinese del secolo scorso”,
una santità “contagiosa”.
Scrive Peradotto,“le provocazioni
della santità torinese, a partire da quella dei preti, ma non solo quella,
hanno sempre ispirato nuovi modelli. Basti pensare alla spiritualità del clero
diocesano che ha avuto un indelebile punto di riferimento in don Giuseppe
Cafasso; agli innumerevoli 'cottolengo' che accolgono malati, poveri
diseredati, non solo in Italia ma anche in Europa e in altri continenti; agli
oratori maschili e femminili che si rifanno a don Bosco; alle scuole
professionali di matrice cattolica che si ispirano alle esperienze del
Murialdo. Quella torinese è una santità non solo clericale ma anche
laicale”.
Per monsignor Peradotto il motto
paolino e poi cottolenghino: “Charitas Christi urget nos”, vale
per tutti questi santi. Inoltre il vicario episcopale sottolinea la
straordinaria e feconda attività che non nasce a tavolino, nei centri studi, o
nei laboratori sociologici,“ma è la traduzione concreta dell'evangelico
'farsi prossimo', presentato da Gesù. Sono profondi osservatori e scrutatori
della città. Creano supplenze e integrazioni. Provocano profeticamente, con
gesti e scelte che soltanto chi ha Dio con sé, e ci crede, è capace di
compiere”.
Questi santi secondo Peradotto,“camminano
con i tempi e scuotono lentezze e ritardi. Sono riformatori sociali alla loro
maniera: intuitivi più che programmatori. Guardano persone e cose come Cristo e
vanno avanti. E' una santità per modelli, proponibile e credibile, perchè
costruita sui fatti e non sulle parole, con un pragmatismo tutto
torinese, fatto spesso di energia apostolica e di dolcezza evangelica”.
Non poteva essere descritta meglio
questa vera scuola di santità, che ha visto tra i principali protagonisti
giganti come Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco e Leonardo Murialdo.
In un ben documentato articolo
apparso su Cristianità, ha trattato l'argomento anche il professore
Massimo Introvigne,“Nasce e si sviluppa in Piemonte e nella Savoia una ricca
cultura cattolica, un'autentica cultura della Contro-Rivoluzione, la cui
storia, in gran parte, non è ancora stata scritta”. (M. Introvigne,
San Murialdo (1828-1900), n.44, dicembre 1978, Cristianità). Una scuola
che secondo il sociologo torinese si contrappone a quel filone rivoluzionario
del Piemonte riformista ed eretico, giansenista e gallicano e successivamente a
quella “scuola di Torino” che va da Gobetti a Gramsci”.
Padre Antonio Rosso, in uno studio
accurato,“Piemonte santo”, conta non meno di 90 tra santi e beati,
venerabili e servi di Dio. In questa schiera vi sono rappresentati tutti gli
strati sociali della popolazione: due regine, un principe e una principessa; 12
laici di cui 4 coniugati, e tra questi laici il campione più affascinante e
simpatico è Pier Giorgio Frassati. Seguono poi nei “super registri” del
paradiso, cardinali, vescovi, parroci, religiosi e religiose. Inoltre, a questi
bisogna aggiungere, un secondo elenco di uomini e donne di spicco per la loro pietà
e per il loro apostolato sociale: si tratta di oltre 200 “santi” in gran parte
laici e laiche.
Questa straordinaria ricchezza umana
e cristiana, innervata di industriosità e di eroismo, l'ha capita al volo, e
non poteva essere così, il grande Giovanni Paolo II. Infatti nelle due visite a
Torino, papa Wojtyla, ha fatto esplicito riferimento all''anima di Torino”,
alle dimensioni spirituali a misura d'uomo, aperta ai valori del bello, del
bene, del vero”. Parlando ai torinesi, il papa si esprimeva: “Mi viene
incontro l'anima cristiana, cattolica di Torino, di cui sono testimonianza la
diffusione del messaggio evangelico nella città e nelle valli, la straordinaria
fioritura delle abbazie medievali, la tradizione di un'ordinata vita
parrocchiale”. E poi non poteva mancare il riferimento chiaro alla Torino
che ha dato al mondo le figure come il Cottolengo, Cafasso, don Bosco,
Murialdo, Maria Mazzarello.
Accornero sottolinea nel suo libro
che nei nove discorsi che ha fatto il papa polacco, spesso ha citato Leonardo
Murialdo per l'apporto che ha offerto nel campo della promozione umana,
dell'educazione dei giovani, della difesa degli apprendisti, della
valorizzazione del laicato, dell'impulso al movimento sociale dei cattolici
italiani.
“Torino è stata all'avanguardia della
formazione professionale della gioventù che è andata di pari passo con quella
religiosa e morale[...]”. Giovanni Paolo II si lascia andare a una riflessione spontanea ma
calzante:“Perchè tanti santi qui a Torino?” Che cosa significa questo ai
nostri giorni? “Che cosa vuol dire la presenza di san Giovanni Bosco, san
Giuseppe Cafasso, san Giuseppe Benedetto Cottolengo, san Leonardo Murialdo e
tutti gli altri santi e sante a Torino? Vuol dire una sola cosa: la divina
chiamata alla conversione”. In pratica per Giovanni Paolo II questa
esplosione di santità significava un riferimento efficace per una nuova
evangelizzazione e un ulteriore arricchimento di santità.
Accornero nel testo racconta
meticolosamente la straordinaria figura di san Murialdo, sottolineando, in
particolare, la sua“scelta preferenziale per i poveri”, facendosi povero, lui che proveniva da una famiglia
borghese e ricca. Una scelta che peraltro hanno condiviso le altre figure
esemplari contemporanee a lui.
Leonardo Murialdo, Giovanni Bosco,
Giovanni Cocco, sono i tre grandi, “capofila di una rivoluzione che cantano
fuori dal coro”, tutti e tre intuiscono, più degli altri, i problemi della
città, della nuova realtà urbana, in particolare,“i drammi dei giovani, ai
quali si dedicano anima e corpo, per favorire in loro una trasformazione da
ragazzi abbandonati, discoli, dequalificati in lavoratori professionalmente
attivi, capaci di inserirsi positivamente nel movimento dello sviluppo, in
cittadini onesti e in bravi cristiani”. I problemi si ripetono. Attorno a
loro gravitano decine di sacerdoti, collaboratori laici e benefattori.
Nasceva una nuova classe di sacerdoti
che dimenticando la loro provenienza si sentivano affratellati nel comune
lavoro di educazione popolare negli oratori o nelle opere congiunte come
l'assistenza durante il lavoro, nelle malattie o nelle carceri.
A questo proposito don Pietro Stella,
il maggior storico di don Bosco, osserva: “ la loro è una risposta civile e
religiosa al tempo stessa. Con i loro oratori, i corsi di avviamento
professionale, le scuole, i collegi, le tipografie, tutti e tre, seppure con
personalità, sensibilità e stili spiccatamente diversi – si aggiudicano il
titolo di 'benefattori della cultura popolare'”.
Continua.
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