di Tommaso Romano
Ma siamo nella bella
Italia del dolore ostello, come direbbe il Padre Dante, e ingnoriamo o
cancelliamo la intelligenze vive, scintillanti, preziose.
Si marginalizza nelle
frange, si legge poco e si studia meno, si affibiano cliches di zinco
sempiterni e scontati, si odiano le passioni nette, forti, le scritture
eleganti e incisive, il buon senso e il culto della icone della bellezza e
della tradizione. Una iconoclastica infame e miserabile.
Perfino coloro che
dovrebbero cercare l’Arca smarrita nella riva libera e in quella destra,
impegnati come sono nel loro “particulare” vuoto pneumatico, come chiusi in un
fortino di cartapesta, al massimo concedono qualche cenno, una labile
recensione, un dibattito sul come eravamo. Vili e nani nel cervello, bisce
nella vita.
Non troveremo Veneziani
neppure paludato, in onore, ai Lincei e non sappiamo peraltro se sarebbe stato
accolto alla Reale Accademia d’Italia.
Destino dei grandi. Sì,
perché Marcello – classe 1955 di Bisceglie, vivente tra Roma e Talamone - è un
grande scrittore, un pensatore eccellente, uno studioso attento, un pensatore
autonomo e profondo, un saggista verace e commentatore televisivo, opinionista
e giornalista mordace. E questo non va certamente a genio ai minuscoli
camaleonti, agli scrittori e soprattutto ai critici gonfiati artificialmente
nella greppia di laboratorio, ai protetti delle mafie saccenti delle egemonie
culturali, agli accademici laureati di Metastasio e ai copisti imbelli di tesi
di laurea altrui.
Che fare? Almeno
dichiarare la verità.
Ho letto tutti i libri
di Marcello Veneziani, avendo avuto anche l’onore – che vale l’intera avventura
editoriale di Thule (si è tanto originali nell’ambiente, che hanno perfino tentato di copiarne l’etichetta
viva ,vegeta e operosa sin dal 1971, pensate l’originalità e l’immaginazione a quale potere possano
aspirare!). di pubblicarlo per primo nella periferia del decadente impero, qui
a Palermo, nel 1976 con la sua Ricerca
dell’Assoluto in Julius Evola.
Da allora, Veneziani ci
ha consegnato un intero, raffinato scaffale, ricco di meditazioni, riflessioni
costanti, memorie, narrazioni, interventi. Ha diretto settimanali, periodici,
animando cenacoli, fondazioni e imprese nobilmente donchisciottesche e quindi
autentiche.
Un riferimento, anche
di stile umano e letterario, è stato ed è Veneziani.
Testi memorabili i
suoi, che si incrociano con gratitudine nella memoria, quali architravi
possibili e disponibili per avviare, almeno, una rinascenza delle idee che si
fanno azione (Jean Ousset) che, a parole, tutti
auspicano e a cui pochi mettono mano in realtà con sudore, fatica e
costanza.
Ne ricordo solo alcuni,
di questi volumi di Marcello Veneziani, per me paradigmatici a cui peraltro
ricorro spesso, ricordando inoltre le molte occasioni di presentazioni,
dibattiti, incontri in tanti angoli e anfratti dell’isola e della penisola: Processo all’Occidente, La rivoluzione
conservatrice in Italia, Comunitari o liberal, Di padre in figlio, USA e costumi, Elogio
della Tradizione, La cultura della Destra, La sconfitta delle idee, Contro i
barbari. Il secolo sterminato, Sud, I vinti, Rovesciare il ’68, Dio, Patria e
Famiglia, Dopo il declino, Lettera agli italiani e, ancora, dopo questi
saggi di filosofia politica e analisi metapolitica, non meno importanti i volumi
curati e quelli antologici, fino ai nodali dedicati a temi esistenziali, con
saggi filosofici e preziose scritture letterarie, come: Vita natural durante, La
sposa invisibile, Il segreto del viandante, Amor fati, Un’ora d’aria, Vivere
non basta, Anima e corpo, Ritorno a Sud.
Adesso, dopo aver letto
e assaporato Alla luce del mito. Guardare
il mondo con altri occhi (Marsilio, 2017),
si può confessare di restare francamente incantati dalle straordinarie
capacità di Veneziani di condensare, con
rara efficacia, ciò che altri studiosi hanno invece consegnato in tomi e
volumi, a volte illegibili o mal digeribili, tronfi di petulante specialismo.
La prosa aforistica di
Veneziani è invece sempre persuasiva nella profondità, in grado di avvincere
con stile letterario e linguaggio personalissimi, seppur debitori,
fortunatamente, di una lirica classicità. All’uomo di oggi, scrive Veneziani,
“il mito non offre profitti ma fondamenti, non assicura vantaggi ma
significati. Dona bellezza, irraggia gli eventi e illumina i volti”.
Il mito è ordine nella bellezza e tutta l’umana
avventura ha come origine e come perpetuità il mito: l’amore, l’infanzia, la
storia, la politica, ma anche il cinema e la pubblicità, gli atti significati
della nostra vita. Nel triste oblio del pensiero filosofico e delle certezze
una volta sostenuti dalla religione, davanti a scienza e tecnica egemoni non ci
resta, dice Veneziani, che il mitopensiero, come orizzonte e bisogno, odierno e
non antiquario, che comunque sopravvive, nel disastro della modernità, nel
“deserto del sistema globalitario”. Il mito non è ipotesi, è una trascendenza
possibile e non incapacitante, un bisogno di bellezza oltre il naturalismo, per
un racconto profetico che unisce ieri, oggi e domani e serve per elevare l’umano oltre l’economicismo, le
oligarchie finanziarie, l’utilitarismo e la povertà dei contenuti specie nella
politica odierna, che vivacchia senza grandi idee e motivazioni e con progetti
debolissimi, mortiferi di delocalizzazione
mentale, come uso dire.
Dai Greci ad Enea, a
Dante a Petrarca, dalla grande musica all’arte possiamo ripercorrere le vie che
evocano, non solo per conservare ma per riscoprire lo spirito, il sogno, per
una “pedagogia di massa per educare agli esempi”, ai modelli da riscoprire e valorizzare
di ciò che è “attiguo alla realtà”, diventando visione del mondo, di contro
alle mitizzazioni negative, alle mitomanie imperanti, del subumano, al falso
buonismo elevato ad assoluto, obliando il senso dell’equità e della giustizia.
Il mito non è la verità
ma aiuta a scoprila, e non è un’invenzione o, peggio, una finzione è, dice
ancora Veneziani, “la vista ulteriore che trasforma il nostro sguardo e apre
altri orizzonti”, e ancora, “il mito è illuminazione. Non si basa su fatti,
esperienze e giudizi, ma li illumina e li dota di senso, visione e destino. Oscurantismo
è pendere dalle sole labbra della ragione”, dopo “i dubbi della ragione
critica”, È, in sostanza, il “narrare e il pensare il mondo con altri occhi,
sotto altra luce”, e al contempo,
seguendo Vico, è l’universale che investe ogni civiltà, ed “è cosmico, non è
geo-storico”, si tramanda, può “fondare un nuovo sapere” sulle rovine.
Ed ecco perché,
aggiunge profeticamente Veneziani, “Occorre un pensiero possente per affrontare
la tecnica sconfinata e la mega-macchina. Il pensiero logico- matematico, al
pari di ogni filosofia della Praxis, conduce alla tecnica. Il
pensiero da solo non riesce a competere se non si apre all’universalità dei
miti, preparandone l’avvento. Solo un pensiero mitico potrà sfidare il potere
sovrano della tecnica (e della finanza). La potenza autonoma di un’altra
origine, di un’altra sovranità con un’altra destinazione”.
Quando i lavoratori fanno
finta di fare gli insegnanti e ricusano il ruolo di educatori perché incapaci,
cominciano ad impartire agli alunni da motivare eventualmente, luoghi comuni e
discettano che l’avvento della filosofia fu, finalmente, “il superamento del
mito, delle narrazioni fantastiche, dell’epica” che avrebbero oscurato
l’avvento, finalmente, della ragione liberatrice dalla caverna, appunto, del
mito, in tal pessimo modo il tragico si sposa con il grottesco, per terminare
nel delirio dell’ombra della ragione, che infatti così produce mostri. “La
perdita del mito genera ectoplasmi depressi o almeno annoiati. Senza mito la
vita gira a fari spenti nella notte”, nel “buio del pensiero negativo”. Per questo Platone induce a
ricordare, perché ogni conoscenza è reminiscenza, della baconiana sapienza degli antichi, e così che si
dota una comunità di un “autobiografia ideale”, facendo coincidere, con
Schlegel e i Romantici, la mitologia con la poesia che universalizzano
l’esperienza oltre l’individualismo egoistico. È, in sostanza, lo stato
aurorale che pervade. Dice ancora Veneziani, e noi lo sosteniamo dal nostro
punto visuale mosaicosmico: “Il mito a noi appare il ritorno all’armonia del Kosmos, una forma ideale di ordine
dell’universo, tutto meno che un caos: ogni cosa trova il suo rango e la sua
spiegazione e si colloca come epifania ricorrente nell’ordine perenne del
mondo. Non confusio ma connectio”.
Il mito è quindi extratemporale,
supera il tempo e le strettoie dell’io, gli altri sono futili surrogati
temporanei propri del sistema della menzogna e della degradazione del piacere,
come diceva Fausto Gianfranceschi, che drogano l’esistenza anche con la peste
chimica e con quella che si spinge all’indifferenza impotente.
L’incalzante e affascinante scrittura sapienziale di
Veneziani non si limita a percorre sentieri che possono sembrare solo astratti
o ideali, indaga e propone di rimeditare, nella pratica del divenire, una sorta
di risacralizzazione di tutto ciò che può rendere armoniosa la città di vita:
la musica, la poesia, il gioco, la pittura e la scultura, l’eros, lo sport, il
grande stile nell’architettura e nell’urbanistica, l’atto gratuito del pensare
oltre le proprie condizioni o frustrazioni, che non deve essere separato però
“dal desiderio puro e gratuito di
farlo, di cimentarsi”. Una purificazione possibile, che trova nel rito battesimale la liberazione dal
peccato originale per redimere “la creatura dalla sua impurità nativa e
restituirla al candore”, anche se “la purezza è fugace come la vita dei gigli”.
Ma, attenzione, non bisogna confondersi con il naturalismo storico di un
Rousseau, infatti il mito della natura è un mito moderno, non arcaico e per
giunta artificiale. La natura non è pura ma va purificata, come tutto ciò che
nasce al mondo. In origine è impura e feroce, come gli animali che la popolano
e gli elementi che si scatenano; la natura è anche escrementi e lordure, è
tutto ciò che è ancora grezzo, crudo e incolto; è l’opera umana, è il fuoco che
cuoce e purifica, è l’acqua con il sapore che la deterge, sono la società, la
storia, il rito, il processo chimico a redimerlo, detergerla, purificarla”.
Falsi miti accompagnano
le nostre pene quotidiane, costruite a tavolino con scientifica precisione
dagli strateghi perversi del villaggio globale, dagli illusionisti di falsi
paradisi perduti e ritrovabili nell’illusione alimentata nella corruzione, nel
vizio e nella trasmutazione antropologica e genetica (si pensi soltanto alla
diminuita potenza procreativa del maschio e ad una generalizzata
femminilizzazione che si propone con crescenti campagne mediatiche o quasi
terroristiche nel nome dell’indistinto, della liberazione sessuale assoluta e del progresso senza limiti,
che fanno pure arrivare a registrare punte record di violenza a tutti i
livelli, spesso senza alcune o risibili).
Non è quindi la luce
del mito da riconquistare, una pretesa di purezza assoluta, aggiunge Veneziani,
la quale invece si “accompagna di solito al fanatismo e all’utopia del paradiso
in terra, cioè della perfezione nella vita e nel mondo. Talvolta la
contaminazione, l’incrocio, è una ricchezza per le persone, i popoli, le cose
rispetto la persistenza inerte nella purezza. (…). La vita stessa sorge dalla combinazione delle
differenze, dall’incrocio tra due corpi e due vite; la fecondazione è
un’ibridazione tra un seme e un ovulo. Vivere è mescolarsi, la vita stessa
sorge dall’incontro fra diversi. Parole chiave, assai chiare, contro ogni
razzismo, ogni teoria aprioristica, a favore della vita. La pretesa di ridurre
nel numero l’umanità, porta alla crescita sottozero, voluta da tempo immemore dallo
gnosticismo laicista e libertario di falsi e scienziati che, invece, applaudono
allo svuotamento “umanitario” di interi continenti onde sovvertire le feconde
identità e costruire una pseudo e
sradicata cittadinanza mondiale con un governo dei “puri”, mondialista a guida
tecnocratica.
La società perfetta è
solo possibile nella mente di utopisti e futurologi senza realismo rispetto
all’umano e sfocia o nell’impotenza a migliorare l’esistente o, peggio, nelle
ghigliottine giacobine degli “illuminati”, degli “incorruttibili”, senza inoltre
dimenticare che il perfettissimo è
pure considerato dalla Chiesa stessa – almeno fino ad oggi, perché la mutazione
investe radicalmente anche l’Ecclesia
tutta – un peccato. Ascendere, aspirare alle vette, purificarsi, contemplare,
ricercare e godere la luce sono, invece, vettori possibili di orientamento,
necessari all’umano che, con la pratica della virtù, vuole sinceramente
migliorarsi ed elevarsi nell’ambito di un consorzio civile.
L’esortazione
evangelica vale, a tal guisa, ancora: “essere come serpenti e candidi come
colombe”.
Tuttavia, nessuno può pretendere
di possedere il monopolio della verità, pur sussistendo la Verità e il suo
Principio, e Marcello Veneziani non manca di riferirsi, nel suo libro, anche e
giustamente a San Tommaso d’Aquino e a Vico.
Certo “il pensiero
mitico non offe soluzioni né affronta problemi ma cerca vie d’uscita, una volta
compresa l’essenza tragica della vita, che non ha scampo. È la religione a
prospettare soluzioni, è il pensiero critico a sollevare obiezioni. Il mito non
pone obiezioni è una via d’uscita dal mondo, dal tempo, della condizione umana.
Non fa della vita il valore supremo e il paradigma assoluto, perché è destinata
a finire, come tutte. Se la vita decade e infine cessa, il mito invece
continua. La vita si proietta nel mito. È, in sostanza, il costante riferimento
di Veneziani che si coniuga con l’amor
fati, con un destino che ci trascende. Il mito è, quindi, in tale ottica
“visione dell’invisibile”. Per questo bisogna, oltre e contro il nichilismo, poetizzare la vita, con mente eroica,
interrogare il Mistero e nutrire fiducia nel Ritorno che, per il cristiano, è la Parusia, il rimanifestarsi in
terra di Gesù Cristo.
Per queste e molte
altre ragioni Veneziani, con il tono solenne che si addice alle grandi e
decisive opere, scrive: “Il mito attualizza l’eterno, eternizza l’attuale.
Esporta la terra in cielo. È un ponte e consente passaggi di sponda altrimenti
impossibili”.
Ed è questo- fuori
dagli schermi dell’ovvio o del fanatismo che non ci riguardano - che Marcello Veneziani
ci propone costantemente di fare, per conservare almeno il senso e la verità
della Bellezza.
Una lezione, insomma.
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