di Antonino Martorana
Un’ epopea post moderna borghese.
Colpiscono le analogie con autori
riconducibili all’esperienza del “ Nouveau roman “ che fa da vero spartiacque
nella narrativa del Novecento, come l’antesignano Georges Bataille, Samuel Beckett e Nathalie Sarraute, lanciata da Jean
Paul Sartre, con la prefazione per la ristampa , nel 1957, al suo racconto “
Portrait d’un inconnu “ ( Ritratto d’ignoto ).
Sotto il profilo stilistico la
narrazione della nostra Autrice si presenta come un lungo ininterrotto
monologo, tenuto dal protagonista con un ascoltatore immaginario.
Ritornando alle analogie, è noto
come la forma monologica venga utilizzata da Beckett nella sua trilogia,
scritta in lingua francese ( Molley , Malone Muore e L’Innominabile, datate
tutte nei primi anni cinquanta ) , ma anche dalla Sarraute tramite la “ sous –
conversation “, sul cui filo scorre il citato “ Ritratto d’ignoto “. Quel
conversare interiore è la voce del “ sous monde “ fatto di istinti e desideri,
talora inconfessabili che si agitano sotto la superficie dell’esistenza
quotidiana, restandovi celati dal velo di menzogne della comunicazione
abituale.
Se questo individuo monologante ha
preso la decisione di vuotare il sacco, non esitando ad esternare anche i suoi
più agghiaccianti segreti, è perché non ce la fa proprio più a tenere ancora
compresso nelle viscere del proprio intus quel magma incandescente che è il
ricordo di una vita scellerata. Dando un’occhiata retrospettiva, quel passato
appare come un torbido amalgama di quelle che un osservatore critico come
Umberto Galimberti definisce come “ le idee pigre “ del lusso, del vizio, del
divertimento, del confort, del sesso e della trasgressione: idee pigre
partorite dall’idolatria del denaro, vero generatore simbolico di tutti i
valori.
Proviamo adesso a calarci
nell’involucro caratteriale del protagonista; si tratta di un imprenditore
veneto cinquantenne: Cesare Molinari, titolare di un’avviata azienda di
famiglia di supporti medici, ereditata “ da
una delle famiglie più ricche e potenti
del Nord – Est “ ( pag 16 )
Dal monologo - confessione si
delineano le due dimensioni della sua vita: quella pubblica, segnata dalla
velleità di essere un modello di imprenditorialità rampante e spregiudicata, e,
quella privata, dove egli rivela il prodotto della proliferazione cancerogena
dell’assioma deleterio per cui un uomo vale, nel contesto sociale, per quello
che è l’ammontare del suo conto in banca e la consistenza del suo patrimonio
immobiliare.
In tal senso Cesare, ostentando uno
status – symbol di uomo di successo, è figura paradigmatica di una società
moralmente bacata, facile preda della strumentalizzazione messa in atto
dall’industria culturale che la vuole asservita ai falsi miti dell’effimero. Il
lato più aberrante della personalità di Cesare è una forma di satiriasi
tendente a degenerare patologicamente in condotte etero - aggressive, dagli
effetti devastanti sul corpo delle povere vittime tanto da costringerle a
ricorrere alle cure presso strutture sanitarie. Vivere la sessualità è per lui
un associare immancabilmente il piacere al dolore per cui il massimo dell’eccitazione
coincide con la vista del sangue che tinge di rosso le carni candide. E’ Cesare
stesso ad ammettere che tali eccessi lo hanno portato ad un passo dall’uccidere
e ne sa qualcosa la giovane prostituta Dafne, da lui stuprata in una squallida
camera d’albergo.
Ma l’episodio più drammatico che ha
segnato la sua vita è l’aggressione effettuata con furia selvaggia, ai danni di
Camilla, la donna che non corrispondeva la sua passione. La dinamica di
quell’evento così concitato è descritta in incalzanti sequenze destinate a
rimanere impresse nel lettore per la crudezza del loro realismo, offrendo una
prova del talento narrativo dell’ Autrice.
Si comprende così la centralità
della simbiosi erotismo – violenza nel tessuto narrativo del romanzo, un
rapporto che culmina nella contiguità erotismo-morte, tema molto presente
nell’opera narrativa di Georges Bataille, specie in quell’autentico capolavoro
che è “ Storia dell’occhio “, pubblicato nel 1928. Osservatore attento dei
processi di degradazione fisiologica e materiale dei corpi in cui si
esteriorizzano la morte e il nulla, Bataille vede nel binomio erotismo –
violenza lo strumento di un’esperienza mistica “ senza Dio “.
Sarà una poesia di Prévert, in un
libro ritrovato sul luogo dello stupro appartenente a Camilla, a colpirlo come
un’improvvisa folgorazione. L’angolino in alto a destra in una determinata
pagina a mo’ di segnalibro guida gli occhi di Cesare su quei versi che così
suonano: Dove vai bel carceriere /con
quella chiave macchiata di sangue ?
E’ nella figura del geôlier che
egli scopre la sua vera identità: “ Sono
io le geôlier della poesia di Jaques Prévert “ , Comprende come quella
carriera di stupratore famelico e spietato lo abbia portato ad essere il
carceriere di se stesso, un ruolo che adesso aborre, deciso a spezzare le
catene che lo legano al passato. Il sostegno di una nuova figura femminile
rivelatasi provvidenziale, lo induce a intraprendere un percorso riabilitativo
che potrebbe avere come meta finale Napoli, la città dove vive la figlia
ignorata.
L’azione dal Veneto, dove Cesare
aveva abboccato alle trame separatiste di una pericolosa organizzazione
clandestina, si sposta al Sud. E così la topologia del romanzo, quella che
Lotman definisce la “ geografia” degli spazi che si contrappongono, sia sotto
un profilo ideologico , sia sotto un profilo sociale ( Nord – Sud ), pare sia
prossimo ad innestare, relativamente a Cesare, un elemento trasformativo nella
dialettica tra uno status iniziale, di cui si colgono le nefandezze e i limiti,
e uno status finale di equilibrio ritrovato. Quel quadro dialettico in cui il
protagonista si muove potrebbe essere letto, in base alla teorizzazione di
Lévi- Strauss, al di sotto del terreno immaginativo, in chiave ideologica e
culturale più profonda come cifra narrativa di contraddizioni radicate in tutta
l’esperienza umana.
Sarebbe estremamente interessante
una lettura in chiave psicoanalitica del romanzo. Visto da un ottica freudiana,
Cesare è un soggetto che associa il culto del denaro ad un investimento
libidico sulla propria persona come oggetto d’amore ( Narcisismo ) che si pone
in rapporto simmetrico con l’investimento libidico sugli oggetti esterni ( auto
sportive, orologi rolex, le cravatte di Marinella, il corpo stesso di Camilla,
oggetto delle sue brame .
E’ proprio Freud a sottolineare
come “ fondamentalmente l’investimento
dell’ Io persiste e si comporta nei confronti degli investimenti oggettuali
come il corpo di un animaletto protoplasmatico nei confronti degli pseudopodi
da esso prodotti. “
Solo che quella simmetricità è
destinata a saltare con la degenerazione nel sadismo da parte di Cesare. Ed il
sadismo, avverte Freud, contiene sempre un seme di masochismo” : “ un sadico è
sempre allo stesso tempo un masochista, anzi è proprio, nella fase
masochistica, corrispondente ad una conversione dell’attività in passività, che
il far soffrire diventa un elemento essenziale. “ ( S. Freud, Gessamelte Werke,
London, Imago, 1940-52, vol. V pag.59 )
Cesare Molinari, sotto un profilo
sessuologico, è dunque una figura emblematica della combinazione delle due
perversioni analizzate da Freud, sadismo e masochismo, tema questo che in Francia
è stato oggetto di approfondimento da parte di Daniel Lagache in un suo
contributo fondamentale “ Situation de l’aggressivité, ( in “ Bul . Psyco “
vol. XIV, 1, 1960, pp. 99 – 112 ), dove viene sottolineata l’interrelazione tra
le due posizioni, sia nel conflitto intersoggettivo ( dominio – sottomissione )
che nella strutturazione della persona ( autopunizione ).
Il comportamento sessuale di Cesare
presenta una dinamica che vede scattare in lui una “ pulsione “ di aggressione “ Aggressionstrieb “ ( pulsione di aggressività
espressione introdotta da Alfred Adler
nel 1908 ) che si traduce immediatamente in “ pulsione di distruzione o
di morte “ ( nozione introdotta da S. Freud nell’opera “ Al di là del Principio
deL Piacere, 1920 ).
Per fortuna Cesare saprà trovare la
via di fuga da quell’inferno di perversione e disfacimento, così ben
rappresentato da Sandra Guddo, nella scia di quanto magistralmente aveva
fatto Goerges Bataille nella “ Storia dell’occhio “ .
E così la “ logica profonda” che
accompagna lo sviluppo dell’ azione, approdando ad una conclusione di equilibrio
ritrovato, è pienamente coerente con lo schema di Vladimir Propp nel suo
classico studio “ Morfologia della fiaba “, considerato l’archetipo di ogni
ricerca narratologica.
Nessun commento:
Posta un commento