mercoledì 3 giugno 2015

Luca Zaia, Adottare la terra (ed. Mondadori)



di Domenico Bonvegna
Raramente mi capita di leggere un libro come quello scritto da Luca Zaia, “Adottare la terra”. Per non morire di fame”, edito da Mondadori. Perché bisogna adottare la terra, come se fosse un’orfana? Perché evidentemente l’uomo non la rispetta. Infatti nel testo si sostiene che basta un pò di buon senso, un po’ di rispetto, di una classe dirigente che si innamori dello spazio e dei luoghi che abita, che le cose cambiano. Per fare questo scrive Zaia, bisogna cambiare mentalità: “bisogna abbandonare l’idea che il mondo rurale rappresenti una sorta di residuo del passato”.
Luca Zaia, leghista, già ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, riconfermato con un esito plebiscitario governatore del Veneto, in questo testo cerca di riscoprire un mondo che è morto o che sta per morire. E’ il mondo dei contadini, dell’agricoltura, dove la terra è come una madre, “forza generatrice che dà frutto, che viene lavorata, che si bagna del loro sudore”. E’ una terra che ormai è sconosciuta a troppi giovani. Leggendo le pagine del libro si intuisce che questo mondo agricolo è troppo importante, non può essere abbandonato, ecco perché l’ex ministro, provocatoriamente scrive che bisogna adottarlo, per non morire di fame.
Questo mondo “oggi più che mai incarna, una realtà viva, ricca di risorse e di valori; è il settore fondamentale, ‘primario’ nel senso pieno del termine, per il nostro futuro”. Il libro è stato è stato prefato dal direttore della Sala stampa del Sacro Convento di Assisi, padre Enzo Fortunato, che dalla terra di San Francesco, lancia una sfida: aprirsi a un confronto sincero e aperto perché si arrivi alla promozione e difesa della terra contro le minacce del nostro tempo.
Chiaramente il fratelloZaia accetta la sfida, e da ministro come racconta in questo libro, si è messo al lavoro in difesa delle varie comunità italiane. Innanzitutto Luca Zaia intende stare dalla parte della multinazionaledei contadini, come ama chiamarli. Da ministro e forse ragionando da leghista, Zaia ha rotto un tabù, quello di avvicinarsi al mondo contadino, storicamente lontano dagli apparati istituzionali. “Infrangere il diaframma fra politica e comunità rurali: questo è l’imperativo categorico da porre alla base del rinnovamento della politica agricola nazionale”. Zaia crede nel mondo contadino, fino a percorrere in lungo e in largo la penisola, entrando in aziende e stalle, visitando campi coltivati e allevamenti. Zaia da ministro dell’agricoltura si è occupato davvero della terra, una persona che si è impegnata a difendere gli interessi dei contadini, e soprattutto, ha detto basta “una volta per tutte alla gestione imbalsamata e burocratica della res pubblica”. Sostanzialmente Luca Zaia, ha avuto il coraggio di “farla finita con l’agricoltura ‘urbanizzata’ dei convegni, delle conventicole di esperti, delle multinazionali come centrali di comando, delle università lontane dalla realtà rurale”.A questo punto dopo la recente vittoria elettorale, conoscere il metodo politico dell’ex ministro è importante, per la verità conoscevo poco Luca Zaia, anche se non ho mai abboccato agli stereotipi della sinistra che considera i leghisti, “rozzi, anti-italiani e razzisti”. Dopo aver letto il testo penso che il leghista cattolico Zaia potrebbe offrire tanti contributi per il futuro politico del nostro Paese.
Interessanti le idee sul radicamento e l’appartenenza, il governatore veneto, riferendosi a Simone Weil, ribadisce l’importanza della persona reale che vive legata a una comunità. “Il radicamento è forse l’esigenza più importante e misconosciuta dell’anima umana”. Ogni essere umano ha bisogno di radici multiple, morali, intellettuali, spirituali. Zaia spiega perché fa riferimento alla Weil. La piccola e minuta parigina afferma la visione dell’uomo concreto e reale che vive immerso nelle relazione con altre persone in determinato luogo, la comunità, contro le dottrina totalitarie nazionaliste o socialiste. Scrive Zaia: “le radici di cui scrive Simone sono anche la base dell’esperienza politica leghista, che pone al centro della propria visione le comunità locali, quelle radicate nel territorio e che quel territorio modificano creando paesaggi identitari, la cui struttura portante per lo più è fondata sull’esperienza rurale”.Zaia recupera il concetto di comunità, contro il pensiero neo-illuminista, che egemonizza da un paio di secoli la politica e oggi anche contro l’ideologia nichilista. Purtroppo, scrive Zaia, sono poche le voci che si levano per “risvegliare le coscienze dal torpore dell’ultima versione del pensiero nichilista: la società globalizzata dal mercato”. La voce più forte è stata quella di Joseph Ratzinger. “… è impossibile non ascoltare il monito di Benedetto XVI circa il fatto che il tramonto della follia dei grandi pensieri totalitari – il comunismo e il nazismo – non è coinciso con la morte della loro causa: il nichilismo. Anzi, quest’ultimo è ancora all’opera in molta parte della cultura contemporanea”.
Luca Zaiacrede nel mondo rurale dei contadini, il loro radicamento è un’esperienza vitale. Quei contadini che “hanno bisogno di credere che oltre quella siepe c’è sempre un Dio a cui affidarsi”. I contadini, forse, sono quelli che sanno che cosa sia fare comunità: “stare insieme, condividere il pane e i valori, la lingua, la sapienza dei gesti di tutti i giorni”. Ecco perchésecondo Zaia, i contadini “sono diventati le vittime privilegiate delle ideologie dello sradicamento”, come “la deportazione dei kulaki”, “una tragedia enorme del primo Novecento, ancora non sufficientemente entrata nella coscienza collettiva italiana, anche grazie alle reticenze di una parte del mondo intellettuale”. I contadini erano un impedimento alla rivoluzione staliniana della costruzione del Mondo Nuovo.
Chiaramente Zaia ci rassicura che le sue riflessioni non sono guidate per ricreare un mondo arcaico bucolico, è convinto che oggi il contadino debba essere anche un buon manager, un bravo imprenditore, un eccellente artigiano. Parlando di multinazionali Zaia racconta come sia riuscito a convincere la grande multinazionale McDonald’s ad usare i prodotti agricoli made in Italy. “Migliaia di tonnellate di cibo vendute alla catena, per un correspettivo, in crescita, di tre milioni e mezzo di fatturato al mese”.
Sono tanti gli spunti che il libro di Zaia offre a chi lo legge. A cominciare, da un certo ambientalismo ideologico, che porta a un atteggiamento suicida nei confronti della nostra economia agraria, “che guarda all’agricoltura e non al contadino, convinto che un presunto ritorno alla Natura debba essere l’unico criterio guida nelle attività rurali”. Ma per Zaia, i contadini non possono essere considerati  semplici custodi del territorio.
L’ex ministro è convinto che bisogna educare gli italiani a mangiare diversamente. Cominciando dall’infanzia, dalla scuola primaria e rilancia l’idea della frutta a scuola.
Naturalmente sono interessanti le riflessioni intorno al federalismo come Foedus, e alla politica centralista del nostro Stato. Altre considerazioni notevoli sono quelle sul riconoscimento della comunità dalla sua identità alimentare. E poi le lingue locali come scrigni di identità e cultura. Infine la questione delle questioni: la fame nel mondo e le cattive soluzioni dei vari celebrieties, Bono, Bob Geldof, Angelina Jolie, Madonna. A questo proposito, sono interessanti e sorprendenti le dichiarazioni denuncia di DambisaMoyo, apprezzata economista dello Zambia. In pratica, gli aiuti occidentali non aiutano per niente la terra africana. Ancora più sorprendente la soluzione del politico Zaia per aiutare questi paesi in via di sviluppo: “l’attore principale sul campo resta la Chiesa”. Ma questo è un tema che va ripreso e affrontato in un prossimo intervento.

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