di Domenico Bonvegna
Raramente mi capita di leggere un libro come quello scritto
da Luca Zaia, “Adottare la terra”. Per non morire di fame”, edito da Mondadori.
Perché bisogna adottare la terra, come se fosse un’orfana? Perché evidentemente
l’uomo non la rispetta. Infatti nel testo si sostiene che basta un pò di buon
senso, un po’ di rispetto, di una classe dirigente che si innamori dello spazio
e dei luoghi che abita, che le cose cambiano. Per fare questo scrive Zaia, bisogna
cambiare mentalità: “bisogna abbandonare l’idea che il mondo rurale rappresenti
una sorta di residuo del passato”.
Luca Zaia, leghista, già ministro delle Politiche Agricole,
Alimentari e Forestali, riconfermato con un esito
plebiscitario governatore del Veneto, in questo testo cerca di riscoprire un
mondo che è morto o che sta per morire. E’ il mondo dei contadini,
dell’agricoltura, dove la terra è come una madre, “forza generatrice che dà
frutto, che viene lavorata, che si bagna del loro sudore”. E’ una terra che
ormai è sconosciuta a troppi giovani. Leggendo le pagine del libro si intuisce
che questo mondo agricolo è troppo importante, non può essere abbandonato, ecco
perché l’ex ministro, provocatoriamente scrive che bisogna adottarlo, per non
morire di fame.
Questo mondo “oggi più che mai incarna, una realtà viva,
ricca di risorse e di valori; è il settore fondamentale, ‘primario’ nel senso
pieno del termine, per il nostro futuro”. Il libro è stato è stato prefato dal direttore
della Sala stampa del Sacro Convento di Assisi, padre Enzo Fortunato, che dalla
terra di San Francesco, lancia una sfida: aprirsi a un confronto sincero e
aperto perché si arrivi alla promozione e difesa della terra contro le minacce
del nostro tempo.
Chiaramente il fratelloZaia accetta la sfida, e da ministro
come racconta in questo libro, si è messo al lavoro in difesa delle varie
comunità italiane. Innanzitutto Luca Zaia intende stare dalla parte della multinazionaledei
contadini, come ama chiamarli. Da ministro e forse ragionando da leghista, Zaia
ha rotto un tabù, quello di avvicinarsi al mondo contadino, storicamente
lontano dagli apparati istituzionali. “Infrangere il diaframma fra politica e
comunità rurali: questo è l’imperativo categorico da porre alla base del rinnovamento
della politica agricola nazionale”. Zaia crede nel mondo contadino, fino a
percorrere in lungo e in largo la penisola, entrando in aziende e stalle,
visitando campi coltivati e allevamenti. Zaia da ministro dell’agricoltura si è
occupato davvero della terra, una persona che si è impegnata a difendere gli
interessi dei contadini, e soprattutto, ha detto basta “una volta per tutte
alla gestione imbalsamata e burocratica della res pubblica”. Sostanzialmente
Luca Zaia, ha avuto il coraggio di “farla finita con l’agricoltura
‘urbanizzata’ dei convegni, delle conventicole di esperti, delle multinazionali
come centrali di comando, delle università lontane dalla realtà rurale”.A
questo punto dopo la recente vittoria elettorale, conoscere il metodo politico
dell’ex ministro è importante, per la verità conoscevo poco Luca Zaia, anche se
non ho mai abboccato agli stereotipi della sinistra che considera i leghisti,
“rozzi, anti-italiani e razzisti”. Dopo aver letto il testo penso che il leghista
cattolico Zaia potrebbe offrire tanti contributi per il futuro politico del
nostro Paese.
Interessanti le idee sul radicamento e l’appartenenza, il
governatore veneto, riferendosi a Simone Weil, ribadisce l’importanza della
persona reale che vive legata a una comunità. “Il radicamento è forse
l’esigenza più importante e misconosciuta dell’anima umana”. Ogni essere umano
ha bisogno di radici multiple, morali, intellettuali, spirituali. Zaia spiega
perché fa riferimento alla Weil. La piccola e minuta parigina afferma la visione
dell’uomo concreto e reale che vive immerso nelle relazione con altre persone
in determinato luogo, la comunità, contro le dottrina totalitarie nazionaliste
o socialiste. Scrive Zaia: “le radici di cui scrive Simone sono anche la base
dell’esperienza politica leghista, che pone al centro della propria visione le
comunità locali, quelle radicate nel territorio e che quel territorio
modificano creando paesaggi identitari, la cui struttura portante per lo più è
fondata sull’esperienza rurale”.Zaia recupera il concetto di comunità, contro
il pensiero neo-illuminista, che egemonizza da un paio di secoli la politica e
oggi anche contro l’ideologia nichilista. Purtroppo, scrive Zaia, sono poche le
voci che si levano per “risvegliare le coscienze dal torpore dell’ultima
versione del pensiero nichilista: la società globalizzata dal mercato”. La voce
più forte è stata quella di Joseph Ratzinger. “… è impossibile non ascoltare il
monito di Benedetto XVI circa il fatto che il tramonto della follia dei grandi
pensieri totalitari – il comunismo e il nazismo – non è coinciso con la morte
della loro causa: il nichilismo. Anzi, quest’ultimo è ancora all’opera in molta
parte della cultura contemporanea”.
Luca Zaiacrede nel mondo rurale dei contadini, il loro
radicamento è un’esperienza vitale. Quei contadini che “hanno bisogno di
credere che oltre quella siepe c’è sempre un Dio a cui affidarsi”. I contadini,
forse, sono quelli che sanno che cosa sia fare comunità: “stare insieme,
condividere il pane e i valori, la lingua, la sapienza dei gesti di tutti i
giorni”. Ecco perchésecondo Zaia, i contadini “sono diventati le vittime
privilegiate delle ideologie dello sradicamento”, come “la deportazione dei
kulaki”, “una tragedia enorme del primo Novecento, ancora non sufficientemente
entrata nella coscienza collettiva italiana, anche grazie alle reticenze di una
parte del mondo intellettuale”. I contadini erano un impedimento alla
rivoluzione staliniana della costruzione del Mondo Nuovo.
Chiaramente Zaia ci rassicura che le sue riflessioni non sono
guidate per ricreare un mondo arcaico bucolico, è convinto che oggi il
contadino debba essere anche un buon manager, un bravo imprenditore, un
eccellente artigiano. Parlando di multinazionali Zaia racconta come sia
riuscito a convincere la grande multinazionale McDonald’s ad usare i prodotti
agricoli made in Italy. “Migliaia di tonnellate di cibo vendute alla catena,
per un correspettivo, in crescita, di tre milioni e mezzo di fatturato al mese”.
Sono tanti gli spunti che il libro di Zaia offre a chi lo
legge. A cominciare, da un certo ambientalismo ideologico, che porta a un
atteggiamento suicida nei confronti della nostra economia agraria, “che guarda
all’agricoltura e non al contadino, convinto che un presunto ritorno alla Natura
debba essere l’unico criterio guida nelle attività rurali”. Ma per Zaia, i
contadini non possono essere considerati
semplici custodi del territorio.
L’ex ministro è convinto che bisogna educare gli italiani a
mangiare diversamente. Cominciando dall’infanzia, dalla scuola primaria e
rilancia l’idea della frutta a scuola.
Naturalmente sono interessanti le riflessioni intorno al
federalismo come Foedus, e alla politica centralista del nostro Stato. Altre
considerazioni notevoli sono quelle sul riconoscimento della comunità dalla sua
identità alimentare. E poi le lingue locali come scrigni di identità e cultura.
Infine la questione delle questioni: la fame nel mondo e le cattive soluzioni
dei vari celebrieties, Bono, Bob Geldof, Angelina Jolie, Madonna. A questo
proposito, sono interessanti e sorprendenti le dichiarazioni denuncia di DambisaMoyo,
apprezzata economista dello Zambia. In pratica, gli aiuti occidentali non
aiutano per niente la terra africana. Ancora più sorprendente la soluzione del
politico Zaia per aiutare questi paesi in via di sviluppo: “l’attore principale
sul campo resta la Chiesa”. Ma questo è un tema che va ripreso e affrontato in
un prossimo intervento.
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