di Domenico Bonvegna
Qual è il male italiano? Chi può
rispondere a questa domanda se non il presidente dell'Autorità dell'anticorruzione
Raffaele Cantone, peraltro già pm della Direzione distrettuale
antimafia. Qualche anno fa il magistrato ha pubblicato un libro-intervista con
il giornalista Gianluca Di Feo, “Il Male italiano. Liberarsi
dalla corruzione per cambiare il paese”, Rizzoli (2015).
In questo scritto il magistrato
ripercorre sinteticamente la storia recente della corruzione, il male atavico,
nel nostro Paese. E' un cancro presente costantemente nel nostro sistema degli
appalti, ma non solo, anche nella politica, nella pubblica amministrazione,
nell'imprenditoria, fino a compromettere le fondamenta della vita civile. In
particolare Cantone e De Feo, percorrono le vicende dell'Expo di
Milano, del Mose di Venezia e di Mafia Capitale a
Roma. I due si confrontano per individuare i problemi chiave del nostro Paese e
per suggerire delle soluzioni.
Ma prima di passare a soluzioni
tecniche per debellare la corruzione, secondo Cantone è necessaria una
rivoluzione culturale. Pertanto,“ogni soluzione passa attraverso un
cambiamento culturale: smettere di considerare la corruzione come un problema
solo di tangenti, ma affrontare la questione della degenerazione della vita
pubblica in ogni suo aspetto”.
Nel combattere la criminalità
organizzata non c'è stato bisogno di troppe spiegazioni, tutti hanno capito che
bisognava mobilitarsi. Lo stesso ora bisogna fare nei confronti del malaffare
della corruzione. Infatti sono tanti quelli che ancora non hanno capito la
gravità della questione.“E' un male che aggredisce sempre più profondamente
la qualità della nostra vita. Distrugge il libero mercato, annulla la
competizione economica, partorisce servizi scadenti per i cittadini, ci
consegna infrastrutture tanto costose quanto inefficienti” Tra i tanti
sterminati mali, collaterali del malaffare, per Cantone, c'è quella della cosiddetta “fuga dei
cervelli”, “un'intera generazione, quella dei nostri figli, è costretta
a cercare lontano dall'Italia il riconoscimento dei meriti che qui sono negati
ai più, per garantire privilegi di pochi”. E' di questi giorni la notizia
dell'aumento nel 2015 del 15% dei giovani fuggiti dall'Italia.
Tuttavia la corruzione
rappresenta il male italiano più diffuso e tutte le rilevazioni internazionali
ci bollano come un Paese incapace di affrontare la questione. Eppure ci sono
stati tanti “chirurghi” che hanno cercato di risolvere la questione, a cominciare
nel 1992 da “Mani Pulite”, che ha cambiato molte cose, ma non è
riuscita ad estirpare il male. Secondo Cantone le cose non sono cambiate perché
“non c'è mai stata prevenzione [...]In Italia non si è mai neppure provato a
fare prevenzione”.
La Corte dei Conti sostiene che
ogni anno, “il sistema delle tangenti inghiotta sessanta miliardi di
euro”.
Dopo l'intervento dei magistrati
a Tangentopoli,“non si è fatto assolutamente nulla. Non sono stati
introdotti correttivi, non sono state affrontate le zone infette, anzi sono
state messe in campo via via misure che andavano in senso contrario[...]”.
Per la lotta alla corruzione
servono in sinergia tre fattori: prevenire, continuare la repressione penale e
infine“è indispensabile una grande presa di coscienza della pericolosità del
male, del danno che crea a tutti i cittadini, una vera rivoluzione culturale”.
Sulla difficoltà del cambiamento
di mentalità di certi ambienti dell'amministrazione pubblica italiana, il
magistrato napoletano di Giugliano, ricorda l'episodio che ha scandalizzato
tutti: quello dei vigili urbani di Roma che a Capodanno hanno disertato il
servizio, presentando certificati medici e altre giustificazioni. Qui
addirittura i sindacati hanno contrastato la possibilità di far ruotare i
comandanti dei vigili o di spostarli ad altra zona di Roma. Sul ruolo del
sindacato nella pubblica amministrazione, il magistrato napoletano si sofferma
nel 6° capitolo. I sindacati a parere del magistrato, spesso seguono una logica
corporativa, custodi della peggiore burocrazia. Cantone denuncia quell'”inquietante
alleanza tra chi vuole mantenere lo status quo per salvaguardare i diritti dei
lavoratori e chi lo fa per patrocinare posizioni individuali”.
Sia Di Feo che Cantone
concordano sul fatto che,“il concetto di interesse pubblico è sempre stato
molto debole nella storia del nostro Paese”, e che inoltre le “corporazioni
sono i poteri più forti d'Italia”. La vicenda dei vigili romani ne è un
esempio eclatante. Praticamente dimostra che la nostra società ancora non è
pronta a lottare contro la corruzione. Infatti per Cantone,“corruzione non
significa solo mazzette, è un complesso sistema di malaffare che potrebbe
prescindere dalle bustarelle”. Tuttavia la prevenzione non bisogna farla
nei confronti di chi è realmente corrotto, ma nei confronti di tutti.
Nel Paese delle varie caste, del
malaffare, una istituzione nata con lo scopo di debellare la corruzione suscita
poca fiducia e credibilità. Qualcuno potrebbe sostenere che si è istituito il
solito carrozzone politico italiano. Cantone ne è consapevole, peraltro,
presentando la sua carriera, il magistrato napoletano, manifesta la sua
indipendenza. Dalle sue risposte, non appare un uomo compromesso con qualche
specifica forza politica, anche se ha conosciuto e avuto contatti con molti
esponenti politici di governo e di minoranza. Cantone non mi sembra un novello
giacobino che preso dal furore iconoclasta contro la corruzione diffusa, prende
decisioni ideologiche, come sembra essere il recente nuovo codice antimafia,
definito dal settimanale Panorama: “un ultimo
malsano successo del “populismo giudiziario”, l’assurdo rigurgito di
giacobinismo che sta avvelenando l’Italia”. E peraltro non mi sembra
neanche un professionista dell'antimafia, come altri magistrati.
La sua nomina a presidente dell'
anticorruzione è stata designata sì dal governo Renzi, ma votata all'unanimità
da tutto il Parlamento. Certo è stato sempre disponibile ad andare a parlare
nei vari palcoscenici della politica. Lo stesso Di Feo, intervistandolo, sottolinea
che anche Cantone, potrebbe essere considerato “un uomo di potere”, gode
della stima di tutti, appare spesso in tv e viene intervistato dai giornali. Ma
il magistrato ci tiene a mantenere un ruolo super partes. Peraltro,
nell'intervista Cantone afferma esplicitamente di aver rifiutato le avance del
Pd di Renzi che voleva arruolarlo.
L'istituzione presieduta da
Cantone sta cercando di instaurare una cultura della trasparenza della pubblica
amministrazione e dell'etica dei comportamenti individuali che richiederanno
del tempo, ma potrebbero davvero far fare un passo in avanti decisivo
all'Italia. Il rispetto delle regole come valore, per riprendere la citazione
del libro, è il cuore del problema. Fino a quando riterremo di essere al di
sopra delle regole o che le regole riguardino gli altri e non noi, non
riusciremo a cambiare.
“L'autorità è un referente,
pronto a collaborare con chiunque”, afferma Cantone. Del resto per debellare la corruzione
serve la trasversalità della politica: “senza una mobilitazione generale non
si può sperare di combattere la corruzione”.
Già alle prime settimane dal suo
insediamento Cantone ha dovuto intervenire per bloccare lo scandalo delle
tangenti dell'Expo di Milano, intervento che ha rischiato di minare la
credibilità stessa della manifestazione.“Ma abbiamo dimostrato di saper
reagire. E che, quando ci sono volontà e un impegno condiviso, si può cercare
di raddrizzare le cose”. A questo proposito il magistrato ricorda di
essersi scontrato con una certa “mentalità imprenditoriale milanese: una
cultura del fare a ogni costo, un istinto a correre che spesso si traduce in
un'insofferenza verso i controlli burocratici, considerati ostacoli e come tali
da aggirare”. E qui Di Feo sottolinea il fattore che negli ultimi decenni,
spesso si è cercato di gestire “attività pubbliche secondo criteri privati.
Con una confusione di regole e ruoli che, invece di aumentare la managerialità,
ha favorito scelte più disinvolte”. Del resto l'evento dell'Expo,
consisteva in una spesa da undici miliardi di euro, una somma che mette in moto
appetiti altrettanto grandi, soprattutto in un momento di profonda crisi.
Per quanto riguarda il Mose
di Venezia, trasformato in un pozzo di malaffare senza fondo che ha
inghiottito una massa sconvolgente di soldi pubblici, Cantone è molto chiaro.“Grazie
a questi denari, da Venezia la corruzione si è insinuata ovunque, non c'è
istituzione locale o nazionale che non sia stata coinvolta nelle indagini, con
accuse a esponenti di tutti gli schieramenti politici”. Cantone è convinto
che non è questione di norme, anche cambiandole,“le regole sugli appalti, mi
pare difficile che si riesca a impedire il ripetersi di situazioni così
incancrenite, in cui sono invischiati controllati, controllori, ceto politico:
un'intera classe dirigente, compresi appartenenti a forze dell'ordine e a
organismi di controllo, è stata coinvolta negli intrallazzi o ha chiuso gli
occhi”.
Infine perveniamo all'inchiesta
di Roma, “Mafia capitale”. Cantone ha studiato il simbolo dei cantieri
dispendiosi di Roma: la linea C della Metropolitana. Dal 2007 ci sono
state “quarantacinque varianti”, fatte dalle varie giunte
capitoline. Roma rischia di trasformarsi in una palude, lo dice chiaramente
Cantone. “La prassi degli uffici pubblici sembra essere diventata la
seguente: 'io di regola non prendo decisioni, quindi, se ci tieni che la
pratica vada a buon fine, devi pagare'”. Sostanzialmente in cambio di
questa particolare attenzione, “si cede di tutto, non solo denaro o beni
materiali: sul piatto finiscono favori, sconti, raccomandazioni, promozioni,
assunzioni, anche in maniera, trasversale e obliqua”.
In questa palude che si
materializza nel 2014, lo scandalo di Mafia Capitale, ancora più sconvolgente
rispetto a quello dell'Expo o del Mose. Qualcuno fino a cinque anni fa ancora
continuava a sostenere che le cosche a Roma non erano arrivate.“La mafia
c'era eccome, - afferma Cantone - e nel frattempo Cosa nostra, ma
soprattutto camorra e 'ndrangheta, hanno messo radici sul territorio, di fatto
indisturbate”. Qui i due concordano nel fatto che magari la criminalità non
era tanto evidente a Roma come a Milano, perchè non si era manifestata
violentemente come a Napoli e a Palermo. Ma il problema esiste eccome.
Il libro intervista affronta
altri temi, tutti interessanti, e meritevoli di essere presentati. La
questione della sanità italiana, la principale spesa pubblica, nonostante
la spending review, nel 2013 lo Stato ha investito centonove miliardi di
euro per cercare di garantire la salute dei cittadini. “Tutti soldi gestiti
dalle Regioni, tramite le Asl: organismi espressione della politica locale e
quindi maggiormente soggetti sia alla lottizzazione sia all'infiltrazione
mafiosa”. Non è una tesi peregrina, ma è quello che hanno detto i pentiti
di Cosa Nostra.
Il 4° capitolo del testo viene
dedicato alla politica in sé, ai partiti, ai riti elettorali.
I politici sono passati dalla trasversalità alla transumanza. Pertanto certi
sistemi elettoriali secondo Cantone hanno reso più facile le infiltrazioni
criminali nei partiti. “E' un fenomeno che ho incontrato spesso - scrive
Cantone - nelle inchieste di camorra: politici che migrano da un movimento
all'altro, oppure inventano liste civiche e alleanze trasversali, con l'unico
obiettivo di continuare ad assecondare i disegni dei clan. Tra Napoli e Caserta
ci sono stati casi clamorosi di giunte comunali fatte saltare perché non
approvavano i progetti dei boss, crisi pilotate da figure che poi riuscivano ad
architettare nuove maggioranze compiacenti”.
Per gli autori del libro il
corpo di grazia ai partiti e alle loro strutture centrali è stato dato con la
fine del finanziamento pubblico. “Un meccanismo nato sotto nobili auspici e
poi degenerato in un sistema impazzito”. Poi ci sono le fondazioni, che
viaggiano fuori da ogni possibilità di controllo, dove ormai passa buona parte
dei soldi che alimentano le campagne elettorali.
Cantone accenna alla questione
del contrasto tra magistratura e politici e ricorda che “il giudice arriva a
reato commesso, mentre la selezione preventiva dei candidati la dovrebbero
svolgere i partiti i quali, in caso di errore, possono ricorrere ai propri
codici etici e allontanare un esponente che si è rivelato disonesto”.
Viene affrontata la questione
del conflitto di interessi, e non c'è solo Berlusconi. “La trasparenza è
l'unico elemento che può funzionare contro il conflitto di interessi. Se non ho
niente da nascondere, che male c'è a indicare dove lavorano e quanto guadagnano
i miei familiari?”. Inoltre si affronta la questione delle primarie, dei
rimborsi elettorali, dei privilegi, degli sprechi, la vergogna delle ambasciate
regionali all'estero. Le cifre folli delle 8.000 municipalizzate, le società
miste costruite dagli enti pubblici. Invece di riformare gli uffici si è
preferito inventare organismi privati a controllo pubblico. Ibridi diventati
predatori di fondi, fino a mandare all'aria i conti di Comuni, Regioni e
persino ministeri. Riducendo questi enti si poteva risparmiare 3 miliardi di
euro. “Perché molte sono soltanto dei poltronifici, con più dirigenti che
dipendenti: l'unica funzione è garantire uno stipendio ai politici trombati e
al loro staff. In pratica, l'evoluzione estrema della lottizzazione”.
Poi c'è la questione del “labirinto
della burocrazia”, ci sono 3 milioni e trecentomila persone della Pubblica
Amministrazione, l'industria più importante d'Italia. Con un
costo di 158 miliardi di euro l'anno, una cifra pari all'undici per cento del
Pil. “Ha cambiato volto nel corso degli anni, ma una cosa è rimasta
costante: la corruzione passa inevitabilmente dai suoi uffici ed è alimentata
dalla cattiva burocrazia. Ed è proprio su questo fronte che si gioca la
battaglia della legalità”.
Mentre porto a termine la
recensione del testo apprendo che viene approvato il nuovo Codice antimafia,
che dovrebbe dare più regole e trasparenza e quindi equiparare i reati di
corruzione a quelli di mafia. Senza entrare nel merito, leggo dal settimanale
“Panorama”, il parere che dà Cantone in particolare sul "giudizio di
prevenzione". A nulla sono servite le tante riserve, manifestate anche da
soggetti autorevoli come Raffaele Cantone. Il presidente
dell’Autorità nazionale anticorruzione aveva detto: “Si rischia di
snaturare un sistema di prevenzione che ha il suo carattere eccezionale legato
alle mafie. Credo sia poco opportuno inserirlo con riferimento alla
corruzione, e si rischia di avere effetti tutt’altro che positivi”. Nessuno ha
ascoltato”. (Maurizio Tortorella, Nuovo Codice Antimafia: perché è un
obbrobrio giudiziario, 27.9.17, Panorama)
Mi devo fermare avrei voluto
continuare per approfondire la situazione della P.A. Affrontare l'incresciosa
abitudine dei troppi impiegati comunali che si permettono di timbrare i
cartellini per la presenza e poi regolarmente scomparire per ore e ore, andando
a spasso per i campi. In questi ambienti non si riesce a premiare il merito e
spesso neppure a punire i comportamenti scorretti, “così - per Cantone -
si disincentivano l'impegno e la professionalità: se lavori male o se fai il
tuo dovere, vieni trattato alla stessa maniera, perchè le procedure
disciplinari non funzionano”.
Poi c'è tutta la questione delle
università, e qui si entra nell'attualità dei concorsi truccati di
questi giorni all'università di Firenze. A proposito degli scandali delle
raccomandazioni e delle consorterie parentali all'interno delle università,
scrive Di Feo:“il rischio è che si impartisca alla futura classe dirigente
una lezione nefasta: gli atenei insegnano ai giovani che il merito non
conta, perché in cattedra si sale grazie agli intrallazzi. Non è un caso
che la fuga dei cervelli ormai sia diventata un esodo: i migliori
ricercatori vanno all'estero perché da noi non c'è speranza di ottenere un
posto”.
Un'ultima annotazione
dall'ottima sintesi sulla corruzione in Italia, che ha offerto l'ex pm Raffaele
Cantone, forse, possiamo capire perché mancano le risorse, i soldi per
espletare il sacrosanto diritto dei lavoratori, di andare in pensione dopo che
hanno versato, anno dopo anno fior di contributi.
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