di Ciro Spataro
Leggendo la
raccolta “ VISIONE TRA LE OMBRE” di Maria Favarò ho subito compreso che per lei
la poesia non è solo astrazione artistica, non è un momento passivo
dell’esistenza, ma uno scavo psicologico, una ricerca continua in cui vediamo,
poesia dopo poesia, come ogni parola è concreta ed al tempo stesso rivelatrice
del pathos e della solitudine dell’io della poetessa. Maria Favarò si muove
sicuramente sulle orme del filone della poesia postmontaliana e man mano che mi
immergevo nel libro non ho potuto fare a meno di pensare alla lirica di Eugenio
Montale “ Portami il girasole ch’io lo trapianti” e soprattutto i versi: “
tendono alla chiarità le cose oscure, si esauriscono i corpi in un fluire di
tinte; queste in musiche. Svanire è dunque la ventura delle venture “. ( tratta
da Ossi di Seppia).
L’originalità della raccolta di Maria
Favarò sta proprio nel linguaggio asciutto, sintetico che mira all’essenziale.
Quello che preme alla poetessa non è tanto l’effetto da raggiungere quanto la
pregnanza di un significato per dire quel che ha dentro e comunicarlo, per
manifestare uno stato d’animo certamente sofferto. Eppure c’è da ritenere, come
dice Agostino d’Ippona, che la verità è dentro di noi, in interiore homine
abitat veritas. È una poesia scevra di orpelli in cui conta soltanto l’essere e
non l’apparire, basti pensare alla lirica” Diva” dove la prima donna ha
soltanto la voglia di primeggiare, non comprende la vanità delle cose e la
precarietà dell’esistenza: “la luce si affievolisce nella morte incombente,
pallido sole, visione tra le ombre”.
Alla base di questa poesia c’è un
vissuto di notevoli traumi a livello interiore in cui “ solitudini s’
infrangono”. Ma attenzione lo stesso pessimismo ha una caratura culturale e la
lirica ” Lacrima” ne è un esempio meraviglioso: “ Impregnata dei tuoi umori
scivoli, calda, salmastra sulle rughe della pelle. Cauterizzi nel dolore,
segnando nel tempo, questo attimo già passato”.
Solo nel mare del silenzio si può
sentire viva la verità che è in noi, la
Favarò lo afferma in modo deciso, e proprio nel silenzio ci si accorge del valore
dell’amore come categoria essenziale della vita: “ Lascia che Eros ti riporti
nel tuo ventre ad amore tornando”.
Nella lirica “Risurrezione” l’autrice
vede consumare piano piano l’esistenza, ma invita a non autocommiserarsi, “in
questo mio tramonto non piangere, lascio la vita nelle tue mani nell’attimo del
suo fiorire”.
Appare evidente dalla raccolta come
Maria Favarò nella sua poetica, senta l’antinomia vita morte e la fa sua
sviluppandola in maniera davvero originale, perfettamente consapevole che “
inesorabile il tempo segna le strade” ed
è proprio per questa amara dimensione del tempo che Maria Favarò nella poesia
“Identità” con versi bellissimi afferma come “ Vivendo sto già morendo”.
Il
lettore scorrendo il libro rimane colpito dalle liriche della Favarò,
vive gli stati d’animo della poestessa che quasi disperatamente cerca una via
che appaghi il suo essere e la sua umanità.
La conclusione è che bisogna
aggrapparsi con forza alle illusioni perché ci aiutano sicuramente a vivere
anche se spesso si corre il rischio che si trasformino in disillusioni, ma vale
la pena di provare.
Diceva il grande scrittore americano
Mark Twain: “ Non separarti dalle illusioni quando se ne saranno andate può
darsi che tu ci sia ancora, ma avrai cessato di vivere”. Personalmente sono
convinto che le piccole grandi illusioni ci fanno veramente vivere, sperare
fino alla fine soprattutto quelle che ci fanno sognare ad occhi aperti tutti i
giorni. Proprio come affermava Gaston Bachelard nella poetica della “reverie” .
Il poeta è un sognatore di particolare sensibilità che crea giorno per giorno
ad occhi aperti in quanto questa capacità immaginativa della “ reverie” anima
il nostro futuro.
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