mercoledì 21 giugno 2017

Anche Falcone seguiva l'indagine sui finanziamenti del Pcus ai partiti comunisti fratelli

di Domenico Bonvegna

Ogni anno in occasione dell'anniversario della “strage di Capaci” che comportò l'uccisione del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta, si assiste alle solite ripetitive ritualità, perlopiù monopolizzate dai professionisti dell'antimafia. Nel profluvio dei discorsi nessuno però ricorda tra i tanti commenti che,"tra la fine di maggio e i primi di giugno Falcone sarebbe dovuto venire a Mosca per coordinare le indagini sul trasferimento all’estero dei soldi del Pcus". Notizia riportata dallo stesso Il Corriere della Sera del 27 maggio 1992. E tanto meno questi professionisti dell'antimafia se ne guardano bene dall'accennare al recente documentato libro-inchiesta, “Il viaggio di Falcone a Mosca”, scritto da Francesco Bigazzi e Valentin Stepankov, con i contributi di Carlo Nordio e Maurizio Tortorella, edito da Mondadori nel 2015. Il testo tratta dell'inchiesta internazionale che Giovanni Falcone aveva iniziato a seguire sulle tracce dell'”Oro di Mosca”: rubli e dollari versati segretamente al Pci per un valore di oltre 989 miliardi di lire tra il 1951 e il 1991.
Infatti, pochi giorni dopo Falcone sarebbe dovuto volare a Mosca per incontrare Valentin Stepankov. Questi era stato nominato l’anno prima, a poco più di quarant’anni, procuratore generale della neonata Repubblica russa, e aveva subito cominciato a indagare sui fondi che il Pcus aveva inviato all’estero. Qualche mese prima Stepankov era stato a Roma, dove aveva incontrato Falcone; ne erano nate una stima e un inizio di collaborazione, che appunto avrebbe dovuto proseguire con un viaggio di Falcone a Mosca in giugno. Ma quel viaggio non ci fu, e all’indomani dell’attentato Stepankov “disse che gli attentatori, tra l’altro, avevano raggiunto ‘l’obiettivo di impedire il suo viaggio a Mosca”. Francesco Bigazzi che è autore insieme a Valerio Riva, dell'”Oro da Mosca” (1999), con questa nuova pubblicazione ritorna su quegli avvenimenti, pubblicando una serie di colloqui con Stepankov e stralci delle inchieste che il procuratore svolse sugli autori del fallito golpe del 1991 che condusse alla fine dell’Urss, sulla misteriosa serie di suicidi che ne seguirono e sugli inquietanti risvolti finanziari della vicenda.
 Dalle carte emerge in primo luogo come i finanziamenti ai partiti fratelli fossero una parte integrante della politica sovietica, al punto che lo stesso Gorbaciov può tranquillamente dichiarare che “Le modalità e i meccanismi con cui si costituiva il Fondo di assistenza internazionale ai partiti e alle organizzazioni operaie e di sinistra mi sono ignoti. A mio parere, tutto si basava sulle informazioni degli esperti di questioni internazionali”.
Nel libro Stepankov racconta con precisione i fatti che riguardano l'inchiesta sulla trasmissione di denaro del Pcus ai partiti fratelli comunisti, e ai movimenti di sinistra stranieri, che avevano avuto inizio a partire dal 1922.
Stepankov racconta con precisione la sua collaborazione con il giudice Falcone, “Stepankov sarà sempre grato - scrive Bigazzi - al giudice Falcone, come ama chiamarlo, per essere stato il primo, e più convinto, magistrato occidentale deciso a collaborare con gli inquirenti dell'appena nata Federazione Russa”. In poco tempo il livello di fiducia arrivò al punto che per la prima volta nella storia dell'Urss,“la Procura generale osa violare gli archivi più segreti del mondo non solo per trovare materiale utile alle proprie inchieste[...]”, ma anche da“consegnare alla procura di un Paese che, fino al giorno prima, si trovava dall'altra parte della cortina di ferro”. C'era tanto materiale che Stepankov voleva affidare personalmente a Falcone, e che dopo la sua morte consegnò ai magistrati romani. Peraltro lo stesso Stepankov, per tenere vivo il ricordo del giudice Falcone, ha pubblicato, una parte cospicua del materiale raccolto, in due libri:“Il complotto del Cremlino” e “GKCP. 73 ore che hanno cambiato il mondo”. Questo materiale è di grande interesse, ha costituito la base per una corretta interpretazione“della complessa problematica legata all''oro di Mosca'. Un meccanismo intricato, dominato da intrighi e spie, Kgb e Pcus”, che Stepankov e i suoi colleghi riescono a sbrogliare. “Si può dire, senza esagerare,  che il giudice Falcone lo abbia aiutato a guardare con occhi diversi una questione che in Russia nessuno aveva mai osato affrontare”.
Del resto Bigazzi sottolinea come in nessun altro Paese al mondo era esistito un Partito comunista come quello dell'Urss.“Il Pcus era una struttura sovrastatale, viveva secondo le proprie leggi e non era sottoposto a nessun controllo dall'esterno, inoltre questa sua posizione eccezionale era ribadita nella Costituzione”. Era una condizione eccezionale e privilegiata, mai vista prima, e proprio per questo risiedono le cause di tutte le difficoltà dell'inchiesta. Naturalmente i capi e i funzionari del Pcus, non si piegano al pentimento o alle confessioni, anzi spesso negano di aver versato soldi del partito ai partiti fratelli.
Bigazzi ci tiene a precisare che “una delle caratteristiche più paradossali del Partito comunista sovietico era la sua irriducibile tendenza all'illegalità. Infatti, “Pur essendo 'dirigente e direttivo', detenendo ogni immaginabile e inimmaginabile diritto, il partito preferiva sbrigare i propri affari in gran segreto, e durante tutto il lungo periodo in cui governò incontrastato non uscì sostanzialmente mai allo scoperto. Peraltro, “Le diciture SEGRETO e SEGRETISSIMO precedevano la maggior parte della documentazione di partito”.
Naturalmente anche le finanze erano rigorosamente coperte dal segreto, soprattutto quelle riguardanti il conto n.1 della Vnesheconombank. Nella sezione internazionale del Comitato centrale del Pcus, erano pochi dipendenti a conoscere il conto secretato e quasi tutti i documenti che lo riguardavano erano scritti a mano, le dattilografe non potevano essere ammesse a segreti tanto importanti. E quelli che hanno ricevuto negli ultimi dieci anni un consistente aiuto materiale da parte del Fondo sono stati i partiti comunisti di Francia, Stati Uniti, Italia, Finlandia, Portogallo, Cile e Israele, mentre in quantità minore sono stati finanziati più di novanta partiti in tutti i continenti. “Mandate qualcuno a prendere il tabacco”, i sovietici, lo chiamavano così, con un linguaggio convenuto, il denaro per i partiti comunisti stranieri. Una somma complessiva affluita nelle casse dei partiti di oltre 200 milioni di dollari Usa.
Dopo la morte di Falcone, Valentin Stepankov consegnò ai giudici romani il dossier che riguardava tutte le malefatte dei dirigenti del Pcus e dell'Urss: Un quadro completo che interessa tutti i partiti comunisti del mondo. Una parte riguarda anche il Pci.
Secondo Bigazzi il Pci è senza dubbio il partito comunista occidentale che ha maggiormente beneficiato dell'”assistenza fraterna” del Pcus. “Eppure questi finanziamenti, che potremmo definire 'effettuati alla luce del sole', sono di gran lunga inferiori a quelli che il partito comunista italiano, tramite numerose società di comodo, per non parlare delle cooperative rosse, è riuscito a intascare attraverso operazioni ritenute illegali dagli inquirenti russi”. Nel libro vengono pubblicati documenti che spiegano con estrema chiarezza i meccanismi usati dai dirigenti comunisti italiani per alcune di queste operazioni.
A preoccupare sia Stepankov che Falcone era quell'”economia invisibile”, che avevano creato i vertici finanziari del Pcus, prima di implodere. Risulta chiaramente come alla vigilia della dissoluzione dell’Urss il flusso di denaro all’estero diventi un modo per costruire una via di scampo dai cambiamenti che si profilano. Occorre, recita infatti una nota del Comitato centrale del Pcus del 23 agosto 1990, classificata come “SEGRETISSIMO”, “preparare proposte circa la creazione di strutture economiche nuove, ‘intermediarie’ (fondazioni, associazioni, ecc.), che con un minimo di legami ‘visibili’ con il Comitato centrale del Pcus possano diventare centri di formazione di un’economia del partito ‘invisibile’”. Che cosa c’entra tutto questo con Falcone? Bigazzi lo dice con le parole di un articolo pubblicato il 5 giugno del 1992 nientemeno che da Repubblica: “I rubli che lasciavano l’Urss arrivavano anche alle cosche siciliane. Ecco perché, dicono, se ne interessava anche Falcone”. Ed ecco perché – stavolta è Giulio Andreotti intervistato da Bruno Vespa – “l’attentato a Falcone fu organizzato in modo così spettacolare che, né prima né dopo, la mafia da sola fece niente di simile”.
Il testo racconta dei 1746 suicidi eccellenti dei vertici dell'ex Pcus, registrate in soli 3 mesi.“La grande maggioranza dei suicidi riguarda personaggi che avevano avuto a che fare, ricoprendo talora posizioni di grandissimo rilievo, con quelle immense ricchezze del partito di cui si sono perse le tracce e che forse nessuno è mai riuscito davvero a quantificare”. Al primo posto ci sono gli ultimi due tesorieri del Pcus, Nikolaj Krucina e Georgij Pavlov, entrambi si gettarono nel vuoto dalla finestra di casa. A questo proposito è interessante la “Nota” con misure urgenti di Krucina, redatta a dieci mesi dalla caduta del Muro di Berlino. Come organizzare le attività commerciali del partito all'interno e all'estero. Società miste, concepite per far fuggire capitali dalla Russia e farli scomparire oltreconfine, le famose Joint-venture.“Una vera e propria bibbia dei fondi neri”.
In appendice al libro si trovano due contributi, uno del vicedirettore di Panorama, Maurizio Tortorella e l'altro di Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia. Il primo si sofferma sulla montagna di denaro spedita in quarant'anni al Pci fino al suo scioglimento. Si tratta di quasi 1000 miliardi di lire. L'Italia era una destinazione privilegiata del fondo del Pcus, pesava per il 55 per cento dei versamenti. Certo molti hanno negato di questi finanziamenti, ma Martelli, l'ex Guardasigilli in un convegno romano di presentazione del libro “Oro da Mosca”, conferma che Falcone era coinvolto nell'indagine tra Italia e Russia e peraltro secondo il quotidiano russo, “Novye Izvestia”, Falcone era stato invitato a coordinare le indagine dal presidente Francesco Cossiga in persona.
Il 6 giugno sul “Corriere della Sera”, si racconta che perfino le campagne dei comunisti italiani per i referendum sull'aborto e sul divorzio furono pagate dai sovietici.
Carlo Nordio nel suo contributo si occupa della cosiddetta “questione morale”, della cosiddetta “superiorità morale” del Pci, sopravvissuto a Tangentopoli. Secondo Nordio “i democristiani avrebbero avuto molti argomenti per rispedire al mittente le bizzarre argomentazioni della questione morale”, magari “per zittire i moralismi berlingueriani” .Gli ineffabili eredi di De Gasperi secondo Nordio, erano terrorizzati dalla scoperta di analoghi finanziamenti americani.
Concludo con una mia riflessione personale: la fine di Giovanni Falcone, per certi versi mi ricorda quella di Ippolito Nievo, il tesoriere dei garibaldini, che possedeva tutti i registri, i libri-paga della cosiddetta “Spedizione dei Mille” in Sicilia. Nievo era depositario nonché conoscente di numerosi fatti scomodi e segreti di cui era meglio non sapere. Quelle carte compromettenti per qualcuno non dovevano arrivare a Torino e all'estero. E' chiaro che nelle carte emergeva tra tanto altro, il coinvolgimento della spedizione garibaldina del governo Cavour e soprattutto dell'Inghilterra. Pertanto Nievo richiamato dal generale Acerbi, urgentemente a Torino, si imbarcò a Palermo sul piroscafo “Ercole”, che stranamente naufragò nelle acque di fronte alla Calabria. Certo la Storia non si ripete mai identica, ma talvolta qualche analogia si riscontra. 


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