di Antonio Martorana
Se è vero che, come insegna Gérard
Genette, a definire la specificità dello statuto di un testo letterario ed i
confini della sua circolarità ermeneutica concorre il complesso di fattori
paratestuali che lo arricchiscono, volendo adottare il paradigma teorico da lui
proposto alla lettura della silloge poetica di Pasquale Attard, Il tuo regno viene (Palermo, Thule
2014) bisogna partire dal contributo, tutt’altro che irrilevante, offerto
all'orizzonte interpretativo di quest'opera da vari parametri apparentemente
estrinseci alla stessa. Vi riscontriamo, infatti, e provvederemo ad effettuare
un analisi tassonomica, un "insieme eteroclito" di elementi accessori
("segnali" li definisce Genette) che contornano il testo e precisano
l'istanza autoriale, anche sotto forma di commento velato, estendendo
l'orizzonte interpretativo dell'opera. Tocchiamo qui quella che è la
sua"dimensione pragmatica", il suo materializzarsi in un manufatto
cartaceo, che ha un preciso scopo, quello di agire sul lettore, coinvolgendo sul
messaggio che essa contiene.
Nell'inventario degli elementi
paratestuali della silloge citata figurano:
il titolo;l'illustrazione di copertina;
la collocazione nell’ambito di una collana poetica;
il logo della Casa Editrice;
la preparazione allografa (a firma di Tommaso Romano);
la nota autografa;
la dedica a Sua Eminenza Gianfranco Ravasi (p.97);
il profilo biografico dell'autore (sul retro della copertina)
La citata produzione verbale
(autografe e allografe) e non verbali determinano l'aria paratestuale, quella
che Genette chiama soglia, il terreno
di transizione, (o meglio di "transazione", precisa lo studioso), tra
il dentro e fuori. Se vogliamo definire
la specificità ontologica del testo attardiano, non possiamo fare a meno di
attraversare quella soglia, per recuperare tasselli necessari al completamento
del mosaico. Ove rinunciassimo, optando per una lettura "minimalista"
del testo, ci troveremmo in presenza di uno statuto denudato dagli abiti
confezionati dalla sartoria autoriale. Fuor di metafora, la sfrondatura
comporterebbe un restringimento dell'orizzonte interpretativo con evidente
ricaduta negativa sotto il profilo pragmatico e funzionale. Non
dimentichiamoci, che Genette afferma con estrema sicurezza «che non esiste e
non è mai esistito un testo senza paratesto.
Paradossalmente, esistono invece, sia pure accidentalmente, dei paratesti senza
testo, come ad esempio nel corso di opere scomparse o abortite» (G.Genette, Soglie. I dintorni del testo, a cura di
Camilla Maria Cederna, tr. it, Torino Einaudi, 1989, pp. 5-6).
Colpisce la perfetta
interrelazione tra il titolo, dal sapore biblico, e la produzione iconica di
copertina, consistente nel pannello maiolicato con l'immagine di un angelo,
tratta da un’incisione raffigurante l'Apocalisse (10. 1-9). L'angelo ha qui la
funzione di "commento ufficioso" a quanto il titolo ci dice,
coinvolgendo il lettore in una visione escatologica del mondo.
Prima di procedere alla lettura dei versi, il
lettore intuisce di avere tra le mani una creazione poetica pervasa dal
ministero avvolgente dell’Oltranza. Quando entrerà in medias res potrà percorrere la vicenda personale dell'autore, costellata
da occorrenze fattuali rivelatesi fonte spesso di delusioni e di amarezza , ma
supportata sempre da una fede che lo fa sentire investito dal compito, per
usare un'espressione di Paul Claudel , di «ricevere l’essere e restituire
l'eterno». Attingendo ai sacri testi il poeta coglie l'incanto del verbo
emanante dal dettato di biblico:«dalle Scritture \ l'urlo giunge possente ,
come promesso ai Padri \ non si disperde niente». Così suona la seconda strofe
di Parusia.
Possiamo vedere come in Attard
l'investigazione ontologica della parola avviene all'interno di un percorso di
nominazione-creazione. Il poeta è colui che nomina (nomen-numen) , colui che scandisce la bipolarità del destino
dell'uomo: salvezza o dannazione: «anima senza Dio \ Satana è il tuo desio. \
Potere e perdizione, \ tormento, esaltazione, \ dissidio senza fine: \ nulla è
tuo confine» (Alla foce, Dio).
Leggendo questi versi ci sembra
di toccare quello che Claudel chiamava "metronomo interiore", per
l'esattezza il cuore, l'organo che detta il ritmo di ogni evento.
È proprio il cuore a ricondurre
tutti i momenti del racconto autobiografico contenuto nella silloge, alla
verità profonda della Parola: «"Beati gli invitati \ al banchetto dell’Agnello"
\ hai detto tu, Signore: \ verbo mai fu più bello » ( Il tuo Regno viene). Consideriamo adesso l’interrelazione
sussistente tra i seguenti "segnali" paratestuali: la dedica a Sua
Eminenza Gianfranco Ravasi nella lirica Parusia
, la preparazione allografa a firma di Tommaso Romano, la collocazione del
testo nell'ambito della Collana poetica
Oltre il sole, diretta dallo stesso, il logo della Casa Editrice Thule.
L’omaggio reso a Ravasi, oggi Cardinale di Ssanta Romana Chiesa, sottende,
essendo l’illustre porporato il responsabile della politica culturale del Vaticano,
la consapevolezza da parte di Attard, dell’attenzione con cui la Chiesa guarda
al mondo dell’arte. Pensiamo soprattutto all’appello che Giovanni Paolo II
rivolse agli artisti con la sua lettera del 4 aprile 1999, per la Pasqua di Resurrezione
: «la vostra arte contribuisca all’affermarsi di una bellezza autentica che,
quasi riverbero dello spirito di dio, trasfiguri la materia, aprendo gli animi
al senso dell’eterno».
Doveva lasciare il segno
quell’esortazione proferita dalle labbra di Sommo Pontefice affinché la
creazione artistica sia adempimento di un dovere magistrale. L’esortazione
assumeva il carattere di un cogente imperativo etico, tale da imporre alla
coscienza dell’artista il riconoscimento che la «Bellezza è la vocazione a lui
rivolta dal Creatore». Nella sua silloge poetica, illuminata dalla visione
escatologica del mondo, Attard è in linea con il messaggio pontificio in base
al quale ogni manifestazione artistica è una « via d’accesso alla realtà più
profonda dell’uomo e del mondo. Come tale essa costituisce un approccio molto
valido all’orizzonte della fede, in cui la vicenda umana trova la sua
interpretazione compiuta».
Non sarà allora casuale il fatto
che Attard abbia invitato a stendere la prefazione al suo testo proprio alla
figura di intellettuale-artista, dotato di un carisma “oracolare”, più che di
ogni altro “sente” dentro di sé il cogente imperativo etico wojtyliano,
auspicando un profondo rinnovamento palingenetico grazie all’arte: Tommaso Romano.
Le parole di quest’ultimo sono illuminanti nel cogliere « il senso di tutta la silloge, il regno di
Dio che viene a congiungere i cieli e la terra, la vita che trionfa sulla
menzogna, sulla morte, sull’odio, sulla violenza. Il Verbo ritorna Carne per
una Verità fatta di Giustizia, di Amore, di Pace tanto lontana dagli slogans
del nostro tempo di crisi, demoniaci, eppure auspicio che si fonda nel credere
e nel meditare a realtà anche attraverso la sacra scrittura, attraverso la
Parola , che, se accettata, redime e fa vivere, se respinta disperde nella
morte. Tutto è scritto e i versi finali che invocano il Divino e Celeste Amore
del Re Vero, Gesù, inondano il cuore del poeta ». E non è allora nemmeno
casuale il fatto che la silloge di Attard si pregi del logo della prestigiosa e
incredibilmente prolifica casa Editrice Thule, diretta da Tommaso Romano, e che
sia contrassegnata dal numero 62, nell’ambito della Collana Oltre il sole (pagine di poesia a cura
di Tommaso Romano). Sì può dire, metaforicamente, che è il sessantaduesimo vagone
di un lungo treno che trasporta tanti tasselli di quel patrimonio immateriale
che può salvare il mondo: la poesia.
Non è possibile prescindere poi,
ai fini di una puntuale ricezione del messaggio di Attard, dalla nota introduttiva, produzione verbale autografa
che, in poche battute, condensa il commento autoriale sul testo. Centrale è qui
il motivo della coppia oppositiva luce-buio , che rende il travaglio di un
percorso dove momenti di criticità esistenziale si alternano a fiduciose
ripartenze.
Il racconto autobiografico è
segnato, inizialmente, dall'insistenza quasi ossessiva sul tema della morte che
già è fonte di turbamento in età preadolescenziale « Foglie morte! \ La morte
che ancora indugia \ sui selciati delle strade \ lugubre, in quello scempio »(Foglie morte). Il contrasto ritorna né L’alba, dove la solarità di un paesaggio
ridente si spegne nelle inquietanti ombre di lugubri immagini sepolcrali: «
L’aria, \ nuova campagna del sole, \ soffiando la Vita, espande sul Tutto, \ la
magia del calore. \ Nei camposanti, \ i morti, \ silenti ombre svestite del
fango, \ richiudono le bare, \ senza svegliare nessuno ».
La morte diventa bersaglio di una
risentita e virile apostrofe da parte del poeta, deciso a smascherare tutta la
perfidia, ne Il calice della Vita: «
Tra sorrisi \ che hanno il sapore \ della menzogna, \ tu, o Morte, \ aspetti
nell’ombra \ che la coppa sia vuota, \ per venire col Sonno. \ Amaro calice
della vita, io so \ che dovrò bere , \ sino all’ultima goccia, \ il veleno che
tu mi porgi».
Una risentita considerazione
sulla crudeltà della morte, rea di aver ghermito brutalmente una tenera e
innocente creatura, è ancora in
Piccolino: «Feroce morte \ il volo tuo ha spezzato».
La sensibilità inquieta del
poeta, che pur registra momenti di serenità e di estasi contemplativa, tradisce
talora la congettualità insanabile di una natura ribelle, attestata su
posizioni di netto rifiuto nei confronti delle istituzioni e delle forme del
vivere (matrimonio e divorzio, amore e vita, dolore e morte). È un rifiuto che
culmina in un’agghiacciante dichiarazione: «io, \ sono contrario a me stesso» (Conflitto).
Sembrerebbe evincere da quelle
sconsolate parole che il poeta si trovi sul punto di essere risucchiato dalle
sabbie mobili del nichilismo, quando, improvvisamente, come era accaduto a
Paolo sulla via di Damasco, la luce della trinaria Grazia deve averlo
“risvegliato”: «Alfine risvegliato \ sul pianeta ritorno, \ dolce veleggio in
seno \ al mare ormai placato»(Vertigine).
Quel dolce veleggiare su distese marine serene è chiara allusione ad una rotta,
che , al riparo da ogni tempesta, conduce direttamente a Dio.
Credo che una chiave di lettura
della silloge di Attard possa essere trovata in un passo tratto dal libro Sotto il sole di satana di Geoges Bernanos:
« La verità è che la vita è confusione e disordine solo per chi la contempla dal di fuori, perciò l’uomo superiore,
per quanto alto lo porti il suo amore, è sempre a suo agio, e la sua vita non
soffre più di vertigini non appena che egli abbia ricevuto i magnifici doni
dello spirito».
Ad una condizione esistenziale
che si proietta verso l’Assoluto, trovando il suo rispecchiamento emblematico
nei Sacri Testi, corrisponde la polimetria di un pentagramma estremamente
vario, che Franco Trifuoggi ha analizzato in tutte le sue sfaccettature in una
bella recensione apparsa su Rassegna
siciliana di Storia e Cultura, diretta da Tommaso Romano (settembre 2014 -
aprile 2015).
Per il messaggio di trascendenza
che veicolano, soffriranno certo i versi del nostro autore di origine maltese a
restare segregati in una prigione di carta. Mi ricordano i Pesci rossi di Emilio Cecchi, che, chiusi nella palla di vetro,
«s’erano portati dietro in prigione l’infinito»
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