venerdì 31 luglio 2015

Francesco Alliata, "il Mediterraneo era il mio regno. Memorie di un aristocratico siciliano"(ed. Neri Pozza)

di Tommaso Romano


Non sono pochi i libri di memorie di aristocratici siciliani, scritti o dettati, e/o pubblicati in memoria capaci di suscitare l’interesse non solo di una fetta di lettori appassionati e di cultori di tradizioni patrie, ma anche utilizzati per ricostruire una storia di famiglie molto spesso complessa , articolata e ricca, che si pretende di obliare o di mortificare – in troppe snobistiche occasioni – come un residuo da cui disfarsi perché ingombrante, impegnativo, e forse perché interroga la coscienza degli ignavi e dei responsabili della deturpazione anche edilizia e del paesaggio, unite al colpevole disinteresse delle “autorità”, alle mani mafiose e a volte politiche stese sui patrimoni ceduti e/o sottratti con il raggiro, con la violenza o con artigli voraci.
Una storia ancora da ricapitolare per intero, dalla parte di chi ha fatto la storia di Sicilia rispetto agli incapaci sciacalletti, alle macchiette, ai ladri e delinquenti che da troppi decenni infangano l’isola e la manomettono gettandola nel caos e nel disgusto, nel saccheggio e nello sfregio alla sua millenaria e, diciamolo gloriosa storia.

Biografie, storie, aneddoti, cedimenti e resistenze della parte nobile che l’indimenticabile Amico Bent Parodi di Belsito non smise mai di riproporre e sottolineare a partire dalle vicende, dagli intrecci fra successi, tonfi, rovine e orgogliosi ritiri in solitudine, ad appannaggio di straordinari personaggi  sui cui, appunto, le memorie proposte risultano avere un peso notevole da non disgiungersi dal fascino e dal rammarico che prende leggendo le loro pagine o le loro biografie. Non tutti i capolavori letterari, sia chiaro, ma pezzi, tasselli utilissimi per comprendere il valore, le contraddizioni, il peso dell’aristocrazia e di colore che hanno saputo restare in piedi in campi molto diversi, o hanno saputo conservare preservare la bellezza che il volgo, gli arricchiti illecitamente, la borghesia dei “villini” non poteva comprendere.
Storie a volte emblematiche, a volte tragiche, ma storie, vicende vere, anche – per non pochi – nel crepuscolo del declino inarrestabile e nel cupio dissolvi.
Certamente, capostipite indiscusso di tali memoriali memorabili dovrebbe essere giustamente considerato il famoso Marchese Francesco Maria Emanuele e Gaetani di Villabianca con i suoi opuscoli infiniti, minuziosi, a volte pedanti sulla società settecentesca, non solo aristocratica. A cui è giusto aggiungere il poligrafo reazionario e tradizionalista Vincenzo Mortillaro di Villarena, che mi pregio aver restituito alla luce che gli è dovuta.
Ma il filone a cui mi riferisco, anche a causa della fine della regalità in Sicilia e nel resto del continente, data appunto a partire dai testi che, nel periodo a noi più contemporaneo, indubbiamente hanno in Giuseppe Tomasi di Lampedusa e nel Suo immortale Gattopardo , la pietra miliare, che ha dato via alla scia delle memorie proprie e di famiglia intessute fra religiosità, affari, politica, amori, eroismi, dissesti finanziari, bella vita e povertà, professioni borghesi e voluti annullamenti di stato, in nome di una presunta novella eguaglianza che si è tradotta nel livellamento verso il basso.
Va appena ricordato che tutte le famiglie assurte a distinzioni premiali e onorifiche e graziate di titoli e di prebende, hanno avuto i loro fondatori, non nobili . come dire che la nobiltà dovrebbe essere per tutti i dotati di virtù, una sorta di aspirazione al meglio, votata alle grandi e significative conquiste, ad un riconoscimento more nobilium impegnativo, altruistic verso disagiati e sfortunati, che dovrebbe essere sempre sorretto da spirito cavalleresco e non da albagia e utilitarismo. Pena l’annullamento del titolo stesso.
Questa non breve premessa, con la promessa a me stesso di tornare più ampiamente sul tema, anche storiograficamente oltre che dal punto di vista letterario e dottrinale, per raccontare adesso finalmente del bel libro di Francesco Alliata di Villafranca, Il Mediterraneo era il mio regno. Memorie di un aristocratico siciliano , Neri Pozza editore di Vicenza(2015) con una bella introduzione di Stefano Malatesta a sua volta autore di libri imperdibili su fatti, ambienti e persone di Sicilia.
Ho letto in due riprese questo libro – avvincente per altro – del Principe Alliata. Appena uscito, infatti, sapendone e attendendone la comparsa in libreria, mi sono fiondato avidamente nella lettura, riponendolo per circa un mese data l’impressione in me suscitata dalla scomparsa a quasi novantasei anni, del Principe a pochi giorni dall’uscita del suo libro-verità, che spero abbia avuto fra le mani prima della scomparsa.
Formidabile protagonista in Sicilia di un intero secolo,amava dire che bisogna essere Principi prima di apparirlo.
Ho avuto il privilegio della conoscenza di questa unica figura di aristocratico siciliano, che ha fatto onore alla sua vocazione, alle sue vicende personali, alla sua famiglia e alla nostra sempre bellissima e ineguagliabile terra. Grazie devo subito dire, soprattutto a Nino Aquila  che me lo presentò, un gentiluomo e letterato che tanto ci manca, e a Rita Cedrini, docente universitaria e antropologa di valore, giustamente celebrata nel libro di Alliata come punto di riferimento della rivalutazione delle sue imprese novecentesche, a volte veramente epiche. Ricordo un afoso pomeriggio di qualche anno fa, alla Sala delle Lapidi di Palermo in cui gli conferimmo, grazie a Rita in particolare e al Dott. Anello e a chi scrive fra i giurati, il Premio Speciale Arenella-Città di Palermo per tutto ciò che oggi, grazie anche al libro sappiamo nel dettaglio, nella briosa narrazione, nelle combattive scelte e determinazioni dettate dal fare e che l’autore rivendica in toto, pur con talune ingenuità unite a tanta buona fede, non sempre corrisposta peraltro. La storia quasi millenaria della famiglia degli Alliata – che vanta parecchi rami ancora oggi – fra guerrieri, letterati, Santi, uomini di potere e Beati, ha inizio a Pisa.  Mercanti di quella Repubblica aristocratica ( le cui gesta furono oggetto di un volume storico di grande importanza che dobbiamo a Marco Tangheroni, valoroso medievalista e caro Amico, troppo presto scomparso) che presero dimora in Sicilia assurgendo le più alte care del Regnum e gestendo il servizio di posta. Vicende che la zia di Francesco, Felicita (1876-1974) aveva ricordato in un suo imperdibile volume anch’esso di memorie Cose che furono attraverso la storia di un’antica famigli italiana, edito da Flaccovio nel lontano 1949, e in cui le origini della famiglia, come si usava nei secoli scorsi, sono ricordate avvolte nella mitologia antica, ma ben documentate quelle degli ultimi secoli, non esenti da aneddoti ed esaltazioni che invece mancano, ed è un bene, alla fluida scrittura di Francesco.
Altro libro che voglio ricordare è quello delle memorie di Gianfranco Alliata di Montereale, principe anch’Egli, e di un altro ramo della famiglia, pure ricordato nel libro attuale del Villafranca insieme alla memoria della madre di Gianfranco, Olga Matarazzo. Mentre di Francesco sono stato un buon conoscente, come lo sono della degna figlia Vittoria, scrittrice e fiera imprenditrice (a cui ebbi l’onore a Bagheria di attribuire nel 2012 il Premio Socialità e Cultura del Circolo Giacomo Giardina, presieduto da Giuseppe Bagnasco), che è stata capace di riunificare le proprietà disperse della villa bagherese di famiglia, teatro in un recente passato di corvi rapaci e di interessi e presenze mafiose, di Gianfranco Principe del Sacro Romano Impero, che dilapidò una fortuna fra la politica monarchica (fu più volte deputato, le donne, la massoneria, l’esilio per improbabili golpe), sono stato amico e mi legano a lui tanti ricordi di comuni imprese culturali in Grecia, a Malta, a Roma e oltre che ovviamente a Palermo.
Il libro dicevo, fa il periplo di un secolo storia propria e di Sicilia. Scorrono in modo lieve le tappe della formazione, la famiglia, l’iniziazione alla cultura con la correzione di 7500 pagine di bozze, le proprietà sparse in tutta l’isola, il ricordo vivo del maestoso Palazzo Villafranca a piazza Bologni a Palermo con una Crocifissione di Van Dyck, i viaggi la vita militare da ufficiale addetto alle riprese cinematografiche, la guerra, la passione mai venuta meno per il mare, per la fotografia, per il cinema, per gli affari (non sempre andati a buon fine), la difesa della proprietà avita di palazzi, ville, delle terre dall’assalto dei nuovi barbari della burocrazia sclerotica e del malaffare mafioso. 
Certo dire di Francesco Alliata, è dire innanzitutto della sua creatura più riuscita: la Panaria film, fondata nel 1946. Il cuore del libro,  e certamente il più riuscito. Una volontaristica impresa tutta siciliana condotta con i sodali Pietro Moncada, Renzo Avanzo (veneto e primo marito di Uberta Visconti, sorella di Luchino e poi moglie del compositore e direttore d’orchestra Franco Mannino) nonché da Quintino di Napoli (poi raffinato artista che mi onorò della sua considerazione con bellissime conversazioni domenicali a piazza San Domenico , e nella sua casa a largo dei Cavalieri di Malta. Tutte le vicende di questa coraggiosa casa di produzione che prendeva il nome dall’isola di Panarea nelle Eolie, vi sono minuziosamente e con godimento raccontate, insieme all’invenzione con le prime riprese subacquee al mondo (una volta si diceva sottomarine) nonché dei documentari e dei film prodotti. Memorabile resta la storia del “duello” cinematografico tra la Panaria e Roberto Rossellini, e fra due film emblematici “Vulcano” con Anna Magnani e “Stromboli terra di Dio”  con la Bergman in funzioni di rivali sul set e non solo artisticamente, contendendosi le due attrici un Rossellini ormai stanco di Nannarella e innamorato della sensuale Ingrid. Vulcano della Panaria fu notevolmente e artatamente ostacolato da svariate forze clericali e politico-cristiane e da interessi geoculturali anche americani, che sfuggivano però ad Alliata ed ai suoi amici. Altra impresa da ricordare fu “La carrozza d’oro” un film altrettanto bello e significativo che ebbe per regista il grande Renoir. Le  vicende, anche di costume, sono semplicemente e onestamente narrate nel libro da Alliata con l’occhio   rivolto anche ad altri comprimari e co-protagonisti delle sue imprese, fra i tanti magnificamente descritti svetta un Luchino Visconti, geniale regista ed esteta decadente, immerso nella sua turris aeburnea, scostante rampollo comunista con ville splendide e camerieri in livrea, il cui corpo morto venne esposte a Botteghe Oscure. Non manca inoltre il ricordo di un funambolico, affascinante Raimondo Lanza di Trabia, su cui si sono scritte tante pagine, ultime quelle della figlia Raimonda e del bravo Vincenzo Prestigiacomo in un libro edito alla Nuova Ipsa. Decine le figure di contorno illustrate, che sono però citate sempre a proposito e con garbo, avvolte con giusta esecrazione , specie fra la fauna dei politici di professione e dei responsabili del mancato decollo dell’economia del secondo dopoguerra, autori di politiche dissennate di presunto sviluppo (a cominciare dalla disgraziata Cassa per il Mezzogiorno) di cementificatori senza scrupoli e di affaristi  impuniti. S’inquadra in tale contesto la seconda parte del libro legata alle nuove avventure di Moncada e Alliata, nella pista delle surgelazioni e dei gelati confezionati in quel di Catania.
Chiude il volume la dettagliata Odissea, fino ai più piccoli particolari, patita da Francesco e da Vittoria per i beni di famiglia “donati” dalla cognata di Francesco al seminario della Curia di Palermo (l’amato palazzo cittadino), e all’Opus dei (quello bagherese, a cui l’Opera rinuncerà saggiamente a favore degli Alliata ). Una pagina oscura, ancora non risolta nelle complesse appendici che certo getta ombre contraddittorie, non solo nello specifico caso, sull’incameramento dei beni storico-monumentali. Non fa difetto la narrazione dei fatti un violento atto di accusa, con nomi e cognomi , nei confronti della politica di tutela della Sopraintendenza ai Beni Culturali e a quella per i Beni Archivistici.
La lotta fino allo stremo per difendere la residenza straordinaria di Bagheria, per fino dalle mani ingorde e sporche di sangue della mafia, è un altro segmento importante di questo libro, che è anche un civile atto di accusa. Paradosso, come nella migliore o peggiore, che è meglio dire, tradizione pirandelliana siciliana, e  la miope messa in stato di accusa di Francesco Alliata da parte della magistratura con l’imputazione di non badare al patrimonio…  controsenso per i vincoli e gli ostacoli insormontabili che invece la burocrazia imponeva e tutt’ora impone, alle strutture in degnado.
Insomma, un libro da leggere e godere e su cui riflettere, specie pensando ad un micromondo  come Bagheria tanti bella quanto perseguitata e  violentata dal malaffare. A proposito di Bagheria non si manchi di visitare l’appena aperta al pubblico Villa Sant’Isidoro de Cordoba, un gioiellino ancora miracolosamente intatto anche negli arredi, che un’altra storia da raccontare.   

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