di Giovanni Lugaresi
“Cinquant’anni. Finalmente ritornano in patria i resti di tanti giovani soldati morti nella neve. Di novecentonovantadue (sono tanti) si conoscono nomi e cognomi. Possiamo immaginare l’emozione delle famiglie che non solo hanno ora delle certezze dopo un buio così lungo, ma anche una tomba su cui piangere. Non è facile trovare parole fuori della retorica, in certi momenti. Ci riesce don Enelio Franzoni che a nome di tutti i coraggiosi cappellani militari è voluto tornare in Russia per accompagnare gli ex commilitoni in quello che è davvero l’ultimo viaggio. ‘Ieri sera ho potuto parlare con loro, con tutti quei mille. Siamo stati a lungo insieme’, dice facendomi venire i brividi. ‘Noi parlavamo sempre. Per loro, noi cappellani eravamo amici, la famiglia, tutto. Abbiamo aspettato tanto tempo questo viaggio. Se non tornavano loro, non tornavo neanch’io. Li ho aspettati. Ecco, adesso posso dire di tornare a casa’…”.
E anche al lettore, immerso in pagine coinvolgenti, vengono i brividi a scorrere le ultime righe di questo “Armir – Sulle tracce di un esercito perduto” (Tra le righe Libri – Andrea Giannasi editore; pagine 255, Euro 16,00 – Prefazione di Demetrio Volcic) di Pino Scaccia, storico inviato speciale della Raitv, testimone di un’operazione straordinaria quale quella compiuta dal generale Benito Gavazza (1926-2010), già comandante delle Truppe Alpine, e già tanti altri comandi, ma soprattutto, nel caso specifico, commissario di Onorcaduti all’indomani dalla Caduta del Muro di Berlino, dell’implosione del comunismo nell’Urss, della glasnost di Gorbaciov. E l’immagine di don Enelio Franzoni, medaglia d’oro al valor militare, si staglia a tutto tondo nella sua grandezza di sacerdote e di uomo vicino ai suoi soldati sempre: al fronte e poi nella prigionia sovietica, come emerge anche dalle testimonianze di chi tornò, fra i quali il padovano Bassi…
Armir (Armata italiana in Russia) ed è detto tutto: la follia di un cinico dittatore, il sacrificio spesso eroico di giovani che seppero compiere il loro dovere, restando feriti, congelati, che caddero nei combattimenti di quella campagna di guerra, o nella ritirata, o ancora lungo le strade del “davaj”, cioè verso i gulag del dolore e dell’abbruttimento.
L’Armata, l’8. del Regio Esercito, contava 220mila uomini; 74.800 furono i Caduti, sepolti in cimiteri allestiti dai cappellani militari, o in fosse comuni fatte alla bell’e meglio dai russi.
Il dramma delle famiglie in attesa, l’impegno del generale Gavazza e dei suoi, la collaborazione delle autorità e della stessa popolazione rivivono in questo libro di Pino Scaccia, che seguendo Onorcaduti con telecamere, penna e taccuino, ci fa partecipi di un’avventura di pietas, di solidarietà, di pace.
La prima fase del recupero riguardò un migliaio di salme; si calcola poi che sino ad oggi siano state quattromila. Perché, se nel frattempo il generale Gavazza aveva cessato dall’incarico, per poi “andare avanti”, come si usa dire nel parlare degli Alpini per chi muore, l’opera di Onorcaduti era proseguita…
Nel libro di Pino Scaccia entra infine di sfuggita, per così dire, ma il lettore attento non mancherà di rilevarlo, l’impresa delle Penne Nere in congedo: la progettazione e costruzione di un asilo nido-scuola materna per 150 bambini in quel di Rossosch, dove, durante la campagna di Russia aveva sede il comando del Corpo d’Armata Alpino. Una struttura voluta e realizzata dai volontari dell’Ana per onorare, mezzo secolo dopo la battaglia di Nikolajewka, coloro che non erano tornati a baita, e donata alla popolazione di quella città come segno di pace e di amicizia. Come non manca, fra gli incontri dell’inviato speciale della Raitv, quello con lo studioso di Rossosch Alim Morozov, promotore, realizzatore di un museo storico sulla guerra, e che, ragazzino, visse l’esperienza della occupazione italiana, ricavandone, peraltro, una impressione positiva.
Un libro, insomma, quello di Pino Scaccia, nel quale si trovano voci molto eloquenti, al di là del diretto interesse specifico di chi quell’avventura visse (ormai sono pochissimi) e/o dei familiari di chi più non ritornò, coltivando peraltro la speranza di un segno, di un avviso, di una notizia dei sui e dei loro cari.
Il libro ha il ritmo di un reportage televisivo, inteso ovviamente nel migliore dei modi, e perciò lo si legge d’un fiato.
Armir (Armata italiana in Russia) ed è detto tutto: la follia di un cinico dittatore, il sacrificio spesso eroico di giovani che seppero compiere il loro dovere, restando feriti, congelati, che caddero nei combattimenti di quella campagna di guerra, o nella ritirata, o ancora lungo le strade del “davaj”, cioè verso i gulag del dolore e dell’abbruttimento.
L’Armata, l’8. del Regio Esercito, contava 220mila uomini; 74.800 furono i Caduti, sepolti in cimiteri allestiti dai cappellani militari, o in fosse comuni fatte alla bell’e meglio dai russi.
Il dramma delle famiglie in attesa, l’impegno del generale Gavazza e dei suoi, la collaborazione delle autorità e della stessa popolazione rivivono in questo libro di Pino Scaccia, che seguendo Onorcaduti con telecamere, penna e taccuino, ci fa partecipi di un’avventura di pietas, di solidarietà, di pace.
La prima fase del recupero riguardò un migliaio di salme; si calcola poi che sino ad oggi siano state quattromila. Perché, se nel frattempo il generale Gavazza aveva cessato dall’incarico, per poi “andare avanti”, come si usa dire nel parlare degli Alpini per chi muore, l’opera di Onorcaduti era proseguita…
Nel libro di Pino Scaccia entra infine di sfuggita, per così dire, ma il lettore attento non mancherà di rilevarlo, l’impresa delle Penne Nere in congedo: la progettazione e costruzione di un asilo nido-scuola materna per 150 bambini in quel di Rossosch, dove, durante la campagna di Russia aveva sede il comando del Corpo d’Armata Alpino. Una struttura voluta e realizzata dai volontari dell’Ana per onorare, mezzo secolo dopo la battaglia di Nikolajewka, coloro che non erano tornati a baita, e donata alla popolazione di quella città come segno di pace e di amicizia. Come non manca, fra gli incontri dell’inviato speciale della Raitv, quello con lo studioso di Rossosch Alim Morozov, promotore, realizzatore di un museo storico sulla guerra, e che, ragazzino, visse l’esperienza della occupazione italiana, ricavandone, peraltro, una impressione positiva.
Un libro, insomma, quello di Pino Scaccia, nel quale si trovano voci molto eloquenti, al di là del diretto interesse specifico di chi quell’avventura visse (ormai sono pochissimi) e/o dei familiari di chi più non ritornò, coltivando peraltro la speranza di un segno, di un avviso, di una notizia dei sui e dei loro cari.
Il libro ha il ritmo di un reportage televisivo, inteso ovviamente nel migliore dei modi, e perciò lo si legge d’un fiato.
da: Riscossa Cristina
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