di Maria Patrizia Allotta
Tu non sfogli soltanto un testo. Tu ti perdi
in quel magico intreccio fatto di parole e immagini, dove la parola diventa versus, ovvero, viaggio iniziatico,
cammino mistico, fede che intuisce la Tradizione rivelata generando l’eterno
ritorno, come dire, quasi credo spirituale che sostanzia il divenire
dell’esistenza, mentre l’immagine diviene forma del passato, sembianza di ciò
che non può essere dimenticato, aspetto vitale, rappresentazione raffinata
perché unione d’armonia e redenzione.
Tu non tocchi esclusivamente un’opera
artistica. Vai oltre, perché naturalmente riesci ad avvertire l’immediatezza
del linguaggio, la lucidità dello stile, l’espressività del semplice idioma, la
linearità della tecnica, l’assenza dell’inutile allitterazione, il mancato
vezzo retorico, la chiarezza dell’immagine, la preziosità dello scatto
improvviso, tutti elementi questi che meglio fanno lambire le emozioni
esplicitate, la palese sincerità, la schietta realtà storica raccontata senza
inutili infingimenti e, soprattutto, senza quel falso inseguimento delle mode
letterarie che spesso involgarisce i testi, banalizza i valori, esaspera il
lettore.
Ma non è tutto. Tu non sei in presenza del
ricordo dettato dalla sterile cronaca o dall’avulsa registrazione di eventi,
oppure dalla estranea individuazione dei fatti, tutt’altro - così come
perfettamente suggerisce Stendhal nel suo capolavoro intitolato Henry Brulard dove si celebra
l’importanza del “bel ricordo”, o come magistralmente rammenta Marcel Proust in
Alla ricerca del tempo perduto dove
si officia “il vero valore della
rievocazione malinconica del passato perduto”,
oppure come attesta nei suoi Racconti
lo stesso Giuseppe Tomasi di Lampedusa che della memoria ne fa letteratura
- tu sei davanti alla sublimazione delle rimembranze che in quanto tali
esaltano quelle virtù tanto più comuni quanto più nobili, sei davanti a quelle
memorie che riconducono alle origini e alle tradizioni autoctone, sei davanti a quelle rievocazioni soggettive che
si dilatano fino ad abbracciare l’oggettività universale divenendo, forse
inconsapevolmente, pneuma vitale per il nostro esserci.
E ancora. Tu non leggi per subito dopo
dimenticare, così come molto spesso ultimamente capita. Tu leggi e
inevitabilmente annoti, nel cuore e nella mente, l’alto magistero che
abbraccia, in buona sostanza, tre insegnamenti fondamentali: l’importanza della
ricostruzione storica, la preziosità del rapporto dialogico tra maestro e
allievo, la rarità esplicativa dell’arte.
Tre lezioni che - nello spazio di 125 pagine -
s’intrecciano fino a formare un tessuto musivo di carattere pedagogico di alta
qualità.
La prima lezione, si diceva, è data
dall’esaltazione dell’importanza di quella ricostruzione storica capace però di
magnificare il mito dell’identità unitamente alla celebrazione delle proprie
radici, del proprio ceppo, della propria terra che in questo caso è Bagheria,
patria d’illustri artisti tra i quali - tanto per fare soltanto qualche esempio
- si ricordano Renato Guttuso, Dacia Maraini, nipote del Duca di Salaparuta,
Castrenze Civello, Giuseppe Tornatore e Ferdinando Scianna.
La seconda lezione - che inevitabilmente ci
riconduce ai grandi insegnamenti socratici - è data dal dialogo continuo tra un
anziano maestro e un giovane allievo.
Il giovane impara, l’anziano educa. L’allievo
ascolta silenziosamente, convinto che il vero senso dell’insegnamento è dato
dall’occasione di cogliere le virtù di chi conosce di più per intraprendere poi
un cammino autonomo che si concretizza nella pratica della libertà; il Maestro,
in modo austero, a volte severo, più raramente divertente - facendo leva anche
sulla lezione di Rousseau - erudisce indirettamente, ammaestra informalmente,
avvia, quasi inconsciamente, verso i difficili sentieri della vita.
Ma, nel leggere le pagine, ciò che più piace è
il rispetto reverenziale del discepolo nei confronti del maestro, la sua
ossequiosa disponibilità, la devota ammirazione, la fidata stima, la capacità
d’ascolto e, soprattutto, la sincera amicizia che lega due generazioni sostanzialmente
diverse eppure unita da un unico abbraccio.
Uno spaccato di vita d’altri tempi.
E sembrerebbe, inoltre, che mentre l’anziano
educa il giovane al senso dell’umano dando prova della sua stessa poliedrica
umanità, il giovane diviene più umano cogliendo l’umanità - a volte
sorprendente - dell’anziano.
Infatti, attraverso diciotto racconti e 100
fotografie, l’Autore - che, per dovere di chiarezza è lo stesso
giovane-allievo-artista - si diverte a mettere in luce il carattere ora
illimitatamente spigoloso, ora infinitamente amorevole del vero protagonista
del libro ovvero l’anziano Maestro-Poeta, anche Lui nato a Bagheria nel lontano
1899, uno dei più significativi lirici dialettali del ’900.
Ecco allora che l’anziano Maestro-Poeta viene
colto e raccontato dal giovane Allievo-Artista-Autore ora nella sua
quotidianità (A putia), ora nella sua
straordinarietà (Nelle piazze della
Sicilia); ora in qualità di maschilista-erotico (Visita alla casa di Ignazio), ora come esaltatore della bellezza
femminile e della grazia del gentil sesso (La
poetessa); ora come amante del sapere e della cultura (Una serata con Quasimodo), ora come ammiratore del Cosmo tutto e
degli animali in particolare (Il poeta e
gli animali); ora come soggetto insolito e burbero (Una recita a Palazzo Butera - Il
divorzio dalle sigarette), ora come individuo sensibilissimo, perdutamente
innamorato della vita e per questo contrario a ogni tipo di violenza e avverso
ad ogni forma di guerra (Quelli del 1899).
La terza lezione, infine, è data dall’amore
per l’Arte. I due protagonisti, uno affermato poeta dialettale e l’altro
scrittore, scultore e pittore allora ancora in erba, per dirla alla Tommaso
Romano, celebrano, entrambi, l’“Arte come l’unica possibile verità capace di
promuove e svelare”.
Infatti, l’arte dello scrivere in versi svela
l’essenza del Maestro, così la capacità di raccontare e fissare l’immagine
attraverso le arti figurative rivela la vera natura dell’allievo il quale, in
qualità di Autore, utilizza anche la fotografia che appare all’interno del
testo, sia singolare mezzo capace di destare alla mente inesprimibili memorie
sia come pregiato strumento capace di rappresentare l’anima di chi fotografa e
di chi si lascia fotografare.
Scrive Christian Bobin: “… un libro così denso
che, una volta chiuso, esso diventa lettore di se stesso. La sua presenza che
ci irradia intorno a noi diffonde una profonda pace. Cosa contiene questo
libro? Nient’altro che il perfetto racconto di una vita umana che si dispiega e
che ci colpisce”.Ma nel leggere, nel toccare e nello sfogliare il testo
intitolato Ignazio Buttitta il presente della memoria 100 foto e 18 racconti - edito dall’Istituto Siciliano Studi
Politici ed Economici - tu assisti contemporaneamente al racconto di due vite
umane: quella di Carlo Puleo e
quella di Ignazio Buttitta.
Il primo è il giovane-allievo-artista nonché
Autore del testo sopra menzionato, il secondo è semplicemente il grande
Maestro.
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