di Tommaso Romano
"La bicicletta volante" è
opera prima di un docente di lettere al Liceo Classico di San Benedetto del
Tronto, Fabio Giallombardo. L'Autore ha vissuto la sua giovinezza, formazione
intellettuale e civile a Palermo - è nato nel 1973 a Padova - e della città nel
libro, a piene mani, coglie le profonde contraddizioni, la violenza, il
degrado, la mafia. Alla maniera di Seneca, il libro si snoda attraverso una
lunga e circostanziata lettera che Gaspare Traina scrive al figlio Salvatore,
dove si incontrano e si scontrano lacerti di umanità, di sconfitte e di
speranze.
La finzione letteraria nasce
dall'invio di un manoscritto spedito a un Procuratore, Ettore Toselli, da un
tale Fava, dal cardiochirurgo Traina al figlio, pochi giorni dopo l'immatura
morte, per un incidente in bicicletta dello stesso Salvatore. Gaspare Traina è
figlio, a sua volta, di Achille uno stimato medico coinvolto in pesanti
dichiarazioni di un pentito, accusato di essere "il medico della
mafia" e poi assolto. Gaspare Traina scrive così il testo a Salvatore, una
sorta di autobiografia, per raccontare la sua storia, gli incontri d'amore, la
giovanile caparbietà verso un rinnovamento possibile di sé, con l'impegno per i
più giovani all'interno di un quartiere popolare, il Capo, si racconta di una
convivenza difficile con una giovane prostituta, che diventa la sua amante e il
fratello più piccolo. Poi la partenza per Milano, lasciando così la giovane
Rosalia.
Su tutto domina la mafia urbana
descritta così dall’Autore: "organismo tentacolare capace di lavorare in
sinergia con i servizi segreti e con le multinazionali del riciclaggio",
nella commistione ulteriore con la
politica. L'Autore denuncia le ambiguità della cittadina borghesia, carica di
compromessi e ipocrisie, di vizi che si manifestano tanto subdoli quanto
violenti, specie sui bambini, feriti dalla pedofilia, con gli interessi
illeciti dominanti. Senza moralismi e facili cadute nella drammaturgia la
scrittura di Giallombardo, che ha parentele con il noir di Carofiglio, si intreccia e si distende con un lessico
ricercato su più piani narrativi, "a scatole cinesi", dove però è
possibile trovare il filo d'Arianna di una sorta di laico apologo, in cui i
"vinti" hanno pure una parola. Senza per questo cadere nelle
illusioni, anche se appare come probabile la rivincita della giustizia.
Intanto, continuando a vivere nella normalità e nel servizio al prossimo, con
uno scatto di civile volontà, per fare uscire, in tal modo, anche scrivendo un
libro, dallo stato di anestesia in cui continua a trovarsi la Sicilia e
raccontando-attraverso personaggi emblematici-volontari, sacerdoti,
bambini-coraggio, maestri elementari, la voglia di uscire dal ghetto. L'Autore
ci conduce con abilità nel labirinto delle storie che s'incrociano, con
incursioni nella lingua madre efficaci (corredate alla fine da utile
glossario), ricordando nella lettera, a ritroso, l'idea di testimoniare e
combattere per un mondo migliore, per recuperare il filo di un rapporto
interrotto e mai espressosi con la totalità dovuta, di Gaspare con il figlio
morto.
Una ricerca introspettiva, insomma, delicata,
per riannodare i fili spezzati e i sentimenti e della storia.
Emergono che le figure dei
magistrati uccisi dalla mafia, metafore di una realtà complessa e, appunto,
labirintica. Comunque non scontata negli esiti finali dell'auspicata
risorgenza, della vittoria sulla mafia.
Una frase del libro ci dà poi la
chiave per comprendere, letterariamente ma non solo, la consapevolezza e la
prospettiva di Giallombardo: "E tutti noi scriviamo solo per narcotizzare,
a rendere così sopportabile, la coscienza della nostra infelicità".
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