di Domenico Bonvegna
E’
un quesito che si trova nel testo che sto presentando, “Inchiostro e Incenso”,
di Ilaria Mattioni, edizioni Nerbini (2012). Dell’argomento si interessò fin da
subito con la pubblicazione de Il
Giornalino, don Giacomo Alberione nel 1924. Dopo i primi mesi Il Giornalino
acquisiva una sua fisionomia con un taglio religioso e più educativo e meno
didascalico. Il periodico come del resto la stampa cattolica per ragazzi a
lungo ha usato il metodo educativo,“degli
esempi contrapposti, da un lato il bambino perfetto che possedeva tutte le
virtù, dall’altro il fanciullo che rappresentava la summa di tutti i vizi”. Tanta importanza per don Alberione
rivestiva l’esame di coscienza,
attraverso la quale i ragazzi prendevano atto delle proprie mancanze e si
impegnavano a migliorare. Dal 1931 Il
Giornalino pubblicò mensilmente la “pagellina
degli Amici di Gesù, una tabella
comprensiva di tutti i giorni del mese che avrebbe dovuto essere riempita
quotidianamente dal lettore con le azioni buone compiute, le preghiere dette, i
sacrifici fatti e le manchevolezze”. L’iniziativa ha avuto successo tra i
lettori, “A ogni pagellina mensile
corrispondeva una ‘crociata’ che di
volta in volta poteva essere per la riparazione delle bestemmie, la sconfitta
dell’ateismo…”. Con l’esame di coscienza, come metodo educativo, il
ragazzo, il fanciullo, “si sentiva
responsabilizzato e reso consapevole che ogni suo agire influiva sul mondo
circostante. Con il suo comportamento poteva essere, ad esempio, modello
positivo o negativo per i bambini più piccoli, con la sua preghiera poteva
contribuire a far trionfare la Chiesa”.
Pertanto,
in quel momento storico, il compito del periodico per ragazzi deve essere
quello di educare e non di divertire. Si ammetteva che entrambi coabitavano
nello stessa pubblicazione, ma l’intento doveva rimanere sempre quello
formativo.
Interessante
a questo proposito il riferimento della Mattioni a Luigi Gedda, presidente
dell’Azione Cattolica, fondatore dei Comitati
Civici e grande esponente cattolico del Novecento, per lui,“il
ragazzo doveva essere abituato a passare dall’azione al pensiero, un certo tipo
di stampa lo manteneva legato ai valori dell’azione provocando, di fatto, un
ritardo nella maturazione psichica del soggetto”. Una stampa realmente
cattolica, per Gedda, “avrebbe dovuto
porsi come apologia del sacrificio e della
rinuncia”. Invece stigmatizzava il comportamento di certa stampa che
proponeva ai ragazzi esempi dove veniva promosso l’ottenimento del proprio
interesse, del tornaconto personale.
Gedda
si rendeva conto che i ragazzi erano indifesi dal punto di vista mentale, erano
“una città aperta a tutte le influenze,
buone e cattive”. Così era il giornale per i ragazzi, il periodico
educativo, che “doveva assumersi la
responsabilità di tutelare le debolezze del giovane”. Il giornale formativo
che tanta influenza aveva avuto per noi adulti, ora deve essere riproposto a
questi ragazzi di oggi, ne era convinto l’illustre esponente cattolico. “E’ una missione angelica perché angelo vuol
dire annunciatore, messaggero; se siamo i messaggeri di una storia, di una
generazione alla generazione del futuro, alla storia che viene, dobbiamo essere
degli angeli”.
La
pubblicazione paolina in questo periodo storico, respirò un’aria fortemente
moralistica per Ilaria Mattioni. Si ebbe una svolta negli sessanta, con il sessantotto, adesso i bambini non
potevano essere educati ancora attraverso semplici raccontini moralizzanti, “figli di un’Italia che ormai non esisteva
più”. C’erano nuovi problemi da affrontare, come il razzismo, il
consumismo, la violenza. “Il Giornalino –
scrive Mattioni – non abdicò al proprio
ruolo formativo, ma capì per tempo che avrebbe dovuto essere una guida pedante
per i propri lettori, ma compagno di viaggio, per insegnare loro a diventare
‘uomini capaci di decidere liberamente’, responsabili delle proprie scelte”.
Un giornale al passo con i tempi:
fumetto, fotoromanzo, cinema, tv…
Fin
dagli inizi don Alberione voleva un settimanale illustrato, credeva nelle
immagini, sono fondamentali per catturare l’attenzione dei ragazzini. Ben
presto il periodico delle Paoline si avvicina al Corriere dei Piccoli, che appare vincente, e iniziò a pubblicare
proprie “storie a quadretti”. Non
tutti nel mondo cattolico però erano d’accordo sull’utilizzo del mondo delle nuvolette, c’era la paura
che fomentasse la violenza; il dibattito sull’utilizzo dei fumetti era aperto. Il Giornalino ha accolto il loro
utilizzo, si cercò di creare fumetti “impregnati
di eticità”. Tra i tanti problemi, c’era quello delle armi, legato ai vari fumetti, era una questione sentita nel mondo
cattolico.
Il Giornalino non dimenticando lo spirito
cristiano, era convinto che bisognava anche guardare la realtà, fatta,
purtroppo di violenze e di delinquenza. In una risposta a una signora, il
direttore don Dino Cappellaro, nel 1974, scriveva: “Noi non vogliamo ingannare i nostri lettori presentando un mondo che
sia tutto bello, pulito, pacifico, teso al bene…”. La società è piena di
rapine, omicidi e tanto altro, tuttavia il Giornalino, non intende esaltare
queste bruttezze.
Nel
dibattito intorno alla preparazione del Giornalino subentra anche la questione cinema, anche qui occorre discernere
come per tutti gli strumenti, i film, sicuramente vanno utilizzati. Bisogna
utilizzare questi mezzi per il bene e la salute delle anime, come diceva don
Alberione.“L’importanza di creare film
pensati appositamente per bambini e adolescenti sarebbe stata ripetutamente
ribadita dal settimanale della San Paolo in nome della specificità del mondo
del fanciullo”.
Dopo
con la comparsa della TV, si ricava, che proprio i bambini erano considerati
particolarmente esposti al fascino emanato dalla televisione. Il Giornalino nel
1955 si faceva portavoce delle preoccupazioni di Pio XII: “Attenti, cari fanciulli! Quando vi capita di assistere a spettacoli
che il progresso vi ha portato fin dentro le vostre case, fate attenzione!
Spesso vi è il serpente nascosto, che vuol mordervi, che vuol strapparvi
a Gesù…”.
Il
Giornalino intanto aveva capito che “la
televisione stava cambiando le abitudini e l’immaginario dei ragazzi, pur
tentando comunque di portare i giovani a dominare il mezzo televisivo,
attraverso una scelta consapevole dei programmi, e non lasciarsi dominare passivamente”.
Interessante la descrizione della Mattioni quando descrive il rapporto con i
lettori del Giornalino, visto come un amico di carta. “Il Giornalino è, per i ragazzi, un po’ come
un fratello maggiore a cui rivolgersi per chiedere quelle cose che non sempre
si chiedono ai genitori o agli adulti”, lo dice a conclusione dello studio
di Mattioni, il direttore Gorla.
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