di Maria
Elena Mignosi Picone
Dopo
la prima raccolta di poesie, “Sillabe nel vento”, Giovanna Fileccia ce ne offre
un’altra, dal titolo, per la verità, Piuttosto enigmatico e sibillino, “La giostra
dorata del ragno che tesse”. Di fronte a questo titolo, così complesso e in cui
c’è evidentemente tutto un simbolismo, ci viene spontaneo chiederci: “Ma che
cosa vuole intendere l’autrice con queste parole?”
Andiamo
allora a scoprire il significato metaforico, partendo proprio dal titolo,
perché in questo è sempre racchiuso il significato del libro.
Innanzi
tutto prendiamo l’avvio da una poesia che è come la chiave per entrare in
questo mistero, ed è “Guscio di lumaca”, che troviamo proprio quasi all’inizio,
e in cui la poetessa pone questo dilemma: “E’ meglio morire per vivere meglio?”;
ma noi non potremmo comprendere il senso di questo interrogativo se non
rivolgiamo l’attenzione ad un episodio della vita dell’autrice, cui ella si
riferisce nella poesia “Artiglio sulla schiena”, dove dice: “Uccello rapace dai
malefici artigli…L’aquila poggiata sulla schiena aspetta che io diventi
evanescente”. Allude qui al disagio provato nell’impatto col nuovo ambiente
quando, essendo lei ragazzina, la sua famiglia si trasferì da Palermo a Cinisi
per motivi di lavoro del padre, ed ella ne soffrì tanto che ne risentì perfino
la sua salute. In seguito i medici addirittura le sconsigliavano il matrimonio.
E qui subentra il dilemma: “E’ meglio morire per vivere meglio?”, cioè
rassegnarsi ad una vita grigia ma tranquilla o non piuttosto affrontare il
rischio in vista della felicità? Giovanna coraggiosamente sceglie per il
matrimonio. Si sposa e diviene pure madre.
Nella
poesia “Il guscio di lumaca” immagina però di avere preso la decisione
contraria: “Scambiai di posto con colei che uscendo sussurrava: “per vivere
meglio è meglio morire”. E così mi ritrovai bloccata in una vita non mia,
mentre la lumaca col filo di bava usciva dal tranquillo viale dell’andare
sicuro avviandosi libera per la sua strada. Ed io, scaraventata nel guscio,
vissi al suo misero posto. E ancora dimoro in porto sicuro dove il coraggio è
nato già morto”. Certo neanche la natura vuole questo. Infatti: “La madre Terra
piangente sorella urla dolore per la sua prole. Mi domanda con nenia
struggente: “E’meglio morire per vivere meglio?”
La
vita allora può essere rischiosa, presentare incognite, svolgersi labile e
precaria come “Sul pericolante ponte in bilico tra corde oscillanti”.
E
qui cade a proposito il ragno, questo esserino che sospeso nel vuoto oscilla
sempre, pare che debba cadere da un momento all’altro, fragile e tremolante, ma
che con tenacia laboriosità e pazienza tesse una tela fatta di fili sottili che
formano dei pieni e dei vuoti, anch’essa
labile e caduca.
Fuor
di metafora, il ragno che tesse la ragnatela simboleggia l’uomo che costruisce
la sua esistenza con tenacia laboriosità e pazienza, una esistenza però non
piatta ma costituita da pieni e da vuoti, cioè da gioie e dolori, lacrime e sorrisi.
Una esistenza piena di trepidazione e di gioia.
Ora
quale cosa meglio della giostra può esprimere trepidazione e gioia? La giostra
ne è proprio l’emblema. E’ l’emblema della vita. E’, come dice Giovanna, il
Tutto che attornia, dove confluiscono le esistenze di tutti gli uomini.
Ciascuno poi ha il proprio Tutto che l’attornia, costituito dal proprio ambito,
parentela, amicizia, e così via, pubblico anche, nel caso di un artista.
La
giostra è fatta di tempo e di luogo. Fatta di tempo: giri e giri, generazioni e
generazioni di bambini che si susseguono nel salire. Fatta di spazio: il Tutto
che attornia non è solo costituito dall’elemento umano, ma anche dalla natura
in cui si è immersi.
E
la vita è sempre un “Muoversi tra tempo e spazio oscillando in bilico”.
Questi
corsi e ricorsi di generazioni seguono un movimento a spirale. E qui si rivela
la visione ottimistica dell’autrice che vede la vita sempre in continua
evoluzione: “Il tempo scorre e continuo a vedere bambini in scena, nascosti in
conchiglie dai gusci a spirale”.
Ma
anche di fronte alla giostra i bambini si trovano di fronte ad un’alternativa:
salire o non salire? Coraggio o paura? “Aspettando chela giostra del divenire
si fermi, e loro possano finalmente decidere se vivere o d’inezia morire”.
Ma
ella esorta: “Salite sulla giostra del divenire, dove l’andare è più importante
del dire”. Dove il vivere è più importante del discorrere.
Ora
però attenzione: questa giostra non è una giostra qualunque, è una giostra
dorata. E se in una giostra tutti salgono, buoni e cattivi: chi onora, chi
perdona, chi vuole andare all’indietro (pensare al passato), però sulla giostra
dorata sale solo un determinato tipo di persone. E se la giostra indica gioia,
la giostra dorata indica più che gioia, felicità! Non dunque la gioia
superficiale, effimera e fallace (in una mente perversa anche la soddisfazione
di una vendetta può essere una gioia), ma la gioia , che è felicità, che
proviene dalla scelta del bene, dalla scelta dell’amore.
Allora
il Tutto che attornia, nella giostra dorata, è un regno d’amore, amore in tutte
le sue sfaccettature: rispetto, considerazione, sollecitudine, solidarietà, e
così via. E amore non solo fra gli esseri umani, ma fra tutti, e anche verso la
natura. Nella poesia “Solitudine” leggiamo: “Siamo soli e non lo siamo. Il
Tutto che attornia risana ferite attraverso la bellezza. IL Creatore invita:
“Guàrdati intorno, o uomo, non sei solo, abbi cura della natura ed essa ti
ricambierà con amore” e continua: “Se aneli un abbraccio, alza gli occhi e
guarda oltre te stesso: scoprirai l’Amore del mondo”.
Nel
Tutto che attornia, nella giostra, c’è un fulcro, che ha anch’esso un
significato metaforico: tra tutti gli esseri umani che ci circondano ce ne
sonoi alcuni che costituiscono il nostro punto di riferimento, come la
famiglia. Giovanna così scrive: “A mio marito Alessandro e ai miei figli, punti
cardini che mi completano; loro rappresentano il fulcro, attorno al quale gira
la mia giostra”; sono il “Perno attorno al quale la giostra, veloce, va bramando
l’asse dell’equilibrio”.
Così
quel mondo, che prima non riusciva a signoreggiare ( “mondo, mondo, sèguiti a
sfuggirmi mentre cerco di afferrarti”) quel mondo con cui non riusciva a
sentirsi in armonia, , ora invece lo guarda con occhi d’amore e se ne sente
pure ricambiata. E in questo certamente un ruolo fondamentale ha avuto il
marito, il fulcro della sua vita: “è attraverso altri occhi che vedo il mondo
adesso; il mondo mio, attraverso gli occhi tuoi , adesso è” E ancora gli si
rivolge così: “Ti riconosco. La tua voce vibra con la mia. Anticipi i miei
pensieri…concludi i miei pensieri, che aleggiando nell’aria mi ricordano che io
attraverso te esisto”.
E
il mondo è anche la natura. Pure verso di questa ha accenti di ammirazione e
quasi di ebbrezza: “Applaudi al cielo e alla terra. Ammira il Tutto che ti
attornia. Inèbriati di beata esistenza. Ubriàcati di gioconda presenza. E
ama…come non hai mai amato”. E l’amore che si dà ritorna: “Con giocosa
meraviglia dona amore e il suo amare a lei torna”.
In
definitiva noi potremmo tradurre il titolo “La giostra dorata del ragno che
tesse”, al di fuori della metafora, con questa espressione: “La vita felice
dell’uomo che costruisce la sua esistenza, secondo scelte di bene, scelte di
amore”.
Non
sempre è così però. E la poetessa constata che “Bene, buon senso e calore umano
gettati in un fosso” e vede “ Orecchie chiuse all’ascolto Bocche chiuse al
conforto mani chiuse all’abbraccio occhi rifiutano di guardare l’altro”. E
chiede all’uomo: “Perché uccidi con leggerezza?” E indignata prorompe:
“Fèrmati. Perché usi il libero arbitrio contro te stesso?”
Ecco,
l’uso del libero arbitrio può andare in due direzioni: verso il bene o verso il
male. L’insieme allora delle poesie che riguardano la malvagità umana, e che
sembrano stonare a tutta prima con la giostra dorata, invece non risultano
avulse dal contesto, ma sono assolutamente pertinenti e rappresentano come una
contro testimonianza , una testimonianza in negativo, della giostra dorata.
E
questo contribuisce all’unità dell’opera, dove unità significa compattezza nel
concepimento dell’intera opera, significa che non ci sono divagazioni,
dispersioni di idee. E l’unità è arte,
fa l’arte. Perciò possiamo concludere che la poesia di Giovanna Fileccia è
arte.
Il
nucleo poi di tutta l’opera, il punto focale, sembra essere proprio l’uso del
libero arbitrio, che sta alla radice di tutto, proprio cioè la scelta, che
sprofondando le radici nell’animo di Giovanna, ne sia ella consapevole o no,
può essere stata la molla, la scintilla, che ha fatto scattare in lei il
concepimento di quest’opera. Ne sia stato il motivo ispiratore. E collima
ancora con il messaggio che scaturisce che ce lo conferma: “Salite sulla
giostra del divenire”.
E’
un invito a scegliere con coraggio, a operare , a vivere, senza tirarsi
indietro, nelle scelte di bene evidentemente.
Giovanna,
donna intraprendente e coraggiosa, iasima la viltà, l’indifferenza, l’inezia.
Schietta e generosa, detesta l’egoismo e l’ipocrisia. Il suo sdegno comunque
non è sterile e si apre alla speranza. Ne “La casa di Tano” dice: “Capto voci
d’odio del passato dedico voci d’amore al presente immagino voci di speranza
nel futuro”. Ella condanna la violenza e l’oppressione; il suo animo sensibile
e pietoso la induce a compenetrarsi nel dolore di chi subisce, ed è pronta a
soffrire con chi soffre, a piangere con chi piange. Lamenta “dove sia finito il
senso fraterno di tendersi la mano nel momento del bisogno”.
Ora,
come il tema del male forma un tutt’uno con la giostra dorata, così è per il
tema dell’arte, della poesia. Afferma infatti Giovanna: “Anche il poeta è un
ragno che tesse” e aggiunge: “Mi piace pensare alla poesia come una ragnatela
di parole, con gli spazi vuoti, intervallati da versi e strofe”. E osserva:
“Gli artisti, proprio come il ragno, tessono la propria tela, ognuno con il
proprio strumento: il pittore con i colori, lo scultore con l’argilla, il
musicista con le note musicali, e così via”. E come la giostra è sempre uguale
e sempre diversa, così Giovanna sente se stessa come poetessa: “Frammenti
vetrosi riflettono parvenze di mille me stesse, tutte uguali eppure diverse” e
ribadisce ancora: “Pezzetti di vetro …Raccontano storie di mille me stesse,
tutte uguali eppure tutte diverse”. Questo perché la poesia di lei è sempre in
evoluzione. Scrive: “Ma è giusto dirti che tutto è in perpetuo movimento”. Una
poesia, la sua, sempre in moto, come la giostra: “…perdermi tra i meandri della
mente percorrendo dedali intricati, grovigli creativi, labirinti dai mutevoli
ideali”. Possiede uno spirito creativo effervescente, in ebollizione, è un
vulcano, un fiume in piena. Ma i suoi versi non sono irruenti o impetuosi, anzi
soavi e e delicati. Dice: “scrivendo versi fragili come piume e foglie (come i
fili della ragnatela), celando tra pause e spazi molto più di quel che dice”.
La sua poesia è appunto come la tela del ragno, aerea, fragile, dove anche i
vuoti sono pregni di un significato recondito: “Svolazzano colori, emozioni
compresse in fluenti estensioni” Talora il senso è un po’ vago, ma ella affida
i suoi versi alla libera interpretazione: “Rimuovo le parole lasciando il
colore libero di espandersi nella interpretazione”. Ma sempre i versi vibrano
dei palpiti del cuore: “fluenti emozioni piene di un sé vibrante” dice.
Talora
c’è nella sua poesia un non so che di teatrale. In quella intitolata “Scena”,
così scrive: “…il cuore batte. Tam Tam di vita. Si va in scena. Note vibrano,
raccontano d’aria, d’allegria, di morte di gioia di stupore di sensi d’amore,
di terre specchiate in mari a colori” mentre “Fili avvolgon la platea. E piove
su visi grondanti emozioni”. E così come avviene nel teatro, dove si ha di
fronte la platea, Giovanna Fileccia, con la poesia, sente viva l’esigenza di
comunicare col pubblico, e di coinvolgerlo: “…mentre affidavo trecce di
pensieri al vento affinchè raggiungessero ogni luogo nascosto, ogni creatura
vivente”. La sua poesia si apre allora ad un afflato cosmico: “…e mi aggrappai
alle trecce, e lì stetti ad ascoltare il linguaggio universale”. La poesia
accomuna tutti, perché siamo tutti fatti della stessa pasta; unisce tutti i
popoli della terra, così come unisce terra e cielo: E’ anche riflesso di cielo.
La poesia infatti riflette verità, bontà e bellezza, che sono prerogative di
Dio: “…non piangere o luna la mia urgenza del nuovo che vortica nell’essenza
divina”.
La
poesia di Giovanna Fileccia è anche originale, personale direi, inconfondibile,
sia per il contenuto che per la forma. L’andamento dei versi talora si distacca
dagli schemi convenzionali, e fluttua libero nel foglio in un movimento ondoso,
quasi a seguire i palpiti del cuore; il verso talora un po’ teatrale, scorre
agile e veloce, con immediatezza e vivacità. Lo possiamo notare in “Desiderio
d’allegria: “Basta piangere! Di gioia vorrei ridere. Come posso fare? Bandendo
la tristezza, lasciando fluire, quella brezza d’aria pura che sommessa
fuoriesce incalzando l’onda scura”.
Ora
tutta la poesia di Giovanna Fileccia è di buon tono, forbita ed elegante,
attraente e suggestiva. Anche i titoli sono molto poetici: “L’ombroso azzurro”,
“Melodia silente”, “Fiore di mare”. Uno stile che è un ricamo. Afferma: “Spesso
paragono la scrittura ad un ricamo prezioso; piccoli punti che fanno affiorare
un disegno ben definito; una nave che lascia la scia, un gabbiano che stride
nel cielo…”Uno stile soave e delicato, che riflette un animo puro, capace di
stupore,come quello di un infante. Mi ha colpito una frase in un libro di
poesie in dialetto che ho recensito tempo fa, in cui l’autore osservava: “U pueta avi l’occhi di nutricu”.
E questo si addice perfettamente a Giovanna Fileccia.
E
come il bimbo guarda verso la sua mamma. Così alla si rivolge alla madre nella
dedica in esergo al libro: “E al Ragno, madre amorevole, che protegge con la
sua ragnatela”. Inoltre ci confida la
nostra poetessa: “Da qualche tempo ho la sensazione che sopra la mia testa ci
sia un invisibile ragno che tesse una ragnatela. Spesso ho la sensazione che
questo ragno invisibile si diverta a creare situazioni che all’apparenza non
hanno alcun senso
Ma a distanza di tempo si rivelano essere
decisivi per il mio percorso artistico”. E questo ragno che sovrasta la
giostra, che sta al disopra del Tutto che attornia, veglia e protegge, guida e
dirige l’umanità che ne sta al di sotto.
Un’idea
simile la troviamo nella deliziosa poesia, quasi un poemetto, che chiude tutta
l’opera, “La mano dorata”. Anche qui il ragno ha la funzione di proteggere e
difendere l’umanità. E’ una suggestiva immagine. Negli ultimi versi Leggiamo
infatti: “…il ragno continuò a tessere la sua ragnatela che oltre ai raggi del
sole, arricchì di polvere di luna, di pioggia cristallina, di vento di frescura
e di bontà divina. E ancora oggi, nelle notti di luna piena si intravede la
mano perlacea, intessuta dal ragno, a illuminar la sera”.
E il Ragno tessitore continua a fabbricare trame intessute di parole lievi e pesanti. Ringrazio la prof.ssa Maria Elena Mignosi Picone, e il prof. Tommaso Romano.
RispondiEliminaGiovanna Fileccia