di Giovanni Taibi
L’esigenza di lasciare tracce del proprio passaggio della
nostra avventura mondana è sempre stata
connaturata nell’uomo, sin dai tempi in cui si circondava nelle caverne di
graffiti che rappresentavano scene di vita familiari e volti amici e i primi
ideogrammi con cui ingenuamente esprimeva i propri sentimenti. Questi altro non
sono che gli antenati della parola scritta che ha permesso all’uomo di
tramandare ai posteri le sue memorie e i suoi accadimenti. La Parola per
sopravvivere all’oblio e al silenzio che inevitabilmente rischia di essere il
nostro destino.
È questo il senso ultimo del nuovo libro del prolifico
scrittore, poeta e saggista agrigentino Nino Agnello “Per sopravvivere al silenzio”
( Edizioni Thule 2012 Euro 15,00 ).
“Un segno è già una parola vera che durerà nel tempo”
(cfr pag. 5) è l’incipit della prefazione di Tommaso Romano. “Nino Agnello,
continua Romano, è un credente nella parola come manifestazione del profondo,
nello spirito, nell’Amore che dall’identità sa inverarsi nell’universalità”(
Ibidem).
Con uno stile ammaliante, pur nella sua plastica
semplicità, l’autore ci conduce dentro la grande casa dei suoi ricordi, già
dalla prima fanciullezza, alla scoperta di un mondo ormai scomparso, di
personaggi amati e ormai perduti nella realtà ma non nella memoria, dei suoi
spostamenti in giro per l’Italia per seguire la sua carriera di docente, per
obblighi familiari o semplicemente per diletto. Ma dovunque andasse “mi seguiva
e mi confortava la poesia come compagna sempre disponibile al sostegno morale,
all’aiuto per impadronirmi di uno stile personale ( Cfr pag. 29 ).
A darci ulteriore aiuto nel dipanarsi dei suoi
ricordi, Nino Agnello ha sapientemente diviso il volume in tre parti intitolandole Res familiares,
Res Amicales e Res Sapientiales, in omaggio alla cultura latina e generalmente
classica di cui il nostro si è nutrito l’anima.
Nel libro di Nino Agnello si respira ad ogni pagina un
senso di umanità che ha del prodigioso. Ricordando un amico medico, Vincenzo
Terrana, così dice a proposito della sua missione : “Sconfiggere l’utilitarismo
e lo sfruttamento del dolore altrui: a questo pensava e rivolgeva ogni giorno
la mente, e sconfiggere anche il dolore, la sofferenza, anche l’ignoranza: e
godeva se altri a ciò si adoperassero.” ( cfr pag. 33)
O ancora “Che vale la scienza se non alleggerisce il
peso del dolore, che vale il dono della parola se non toglie ombre dalla mente
e dal cuore di chi soffre nelle angustie della tristezza o nel buio
dell’ignoranza o anche della sudditanza ?” ( cfr pag. 34) .
Non è difficile trovare echi di foscoliana memoria a
proposito del compito supremo della poesia di saper eternare il ricordo di un
uomo. Ricordando un altro amico poeta, Gigi Peritore, nell’anniversario della
scomparsa: “Per me che lo avevo detto vivente nel mio volume antologico
Agrigento in versi, poteva continuare a dirsi vivente …perché così a tutti
appariva potendosi ancora quasi sentire il suo respiro, l’alito della sua
presenza in mezzo a noi che…risentivamo l’eco calda e pastosa della sua voce,
dei suoi versi, della sua prosa.” ( cfr pag. 35)
Perché l’amicizia, quando è vera e sincera, supera i
confini materiali e mortali e si mantiene nel tempo. Diceva ancora Foscolo nei
Sepolcri “Sol chi non lascia eredità d’affetti/ poca gioia ha dell’urna” ( cfr
vv 42,43).
Tante dunque sono le figure di amici che a vario
titolo compaiono nella seconda sezione Res Amicales, da un lato rimpiante ma
dall’altro amate come se fossero ancora presenti in carne ed ossa.
Non poteva mancare nelle memorie di un uomo che ha
trascorso tutta la sua vita professionale a scuola un capitolo dedicato al
mondo dell’insegnamento. È la terza parte Res Sapientiales, dove l’autore fa
rivivere i suoi trascorsi scolastici non disdegnando di inserire commenti su
fatti personali anche cuiriosi.
Ma la parte più apprezzabile del capitolo è quella in
cui Agnello, molto in anticipo sui tempi, lamenta due gravi problemi legati
all’insegnamento della letteratura italiana. La prima riguardava gli autori del
Novecento non si affrontavano affatto. “Avevo conosciuto colleghi che si
fermavano ancora a Carducci ignorando Pascoli e tutto il resto.” ( cfr pag. 79
) Per questo lui già nel primo biennio introduceva lo studio di autore del
Novecento.
La seconda questione riguarda lo studio del testo
letterario, in particolare quello poetico,
in maniera analitica e scientifica. I manuali erano ancora fermi alla
sola parafrasi ignorando la metrica, la sintassi e l’uso delle figure
retoriche.
Così afferma Agnello “Avevo trovato da solo il
sistema, per cui per me era un grande piacere farne edotti alunni e anche
colleghi vicini e lontani, che lo apprendevano con meravigliato stupore.” (
Cfr. pag. 79)
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